Medicina, due Nobel per la vita

Due studiosi sono stati premiati per le loro ricerche sulla riprogrammazione delle cellule umane. In futuro le malattie degenerative potrebbero essere solo un brutto ricordo.

09/10/2012
Shinya Yamanaka, nuovo premio Nobel per la medicina per la sua ricerca sulle cellule staminali. (Foto Corbis)
Shinya Yamanaka, nuovo premio Nobel per la medicina per la sua ricerca sulle cellule staminali. (Foto Corbis)

Si chiamano Shinya Yamanaka  (50 anni) e John Gurdon (78) e sono i due scienziati a cui è stato assegnato ieri il prestigioso premio Nobel per la medicina. Giapponese il primo e britannico il secondo, i due studiosi si sono visti attribuire il massimo riconoscimento scientifico mondiale per la loro specifica ricerca sulla riprogrammazione delle cellule staminali adulte (dette Ips), che potrebbe aprire fra non molto tempo nuove prospettive per la diagnosi e la cura delle malattie neurovegetative, come la Sla e il morbo di Parkinson. Le cellule staminali sono cellule “totipotenti”, cioè non specializzate e in grado quindi di evolvere e trasformarsi in cellule dei vari tipi di tessuto del corpo umano (epiteliali, nervose, etc.), eventualmente sostituendo i tessuti degenerati o necrotizzati. Esistono varie tipologie di cellule staminali. Le principali sono di tre tipi: quelle embrionali, ricavate cioè da embrioni nei primissimi giorni dalla sua formazione; quelle cordonali, contenute nel sangue del cordone ombelicale; quelle adulte, che si trovano invece negli organismi umani degli individui adulti.

La scoperta di Yamanaka e Gurdon ha permesso di riprogrammare colonie di cellule adulte (cioè di normali parti del corpo di un individuo vivente) facendole “regredire” a cellule staminali pluripotenti, simili, come potenzialità, a quelle embrionali. Gli esiti della ricerca e il riscontro a livello mondiale che ne  conferisce il Nobel permettono un deciso superamento di tutti quegli studi che, spesso anche con fondi pubblici, si basano sull’uso di cellule embrionali, la cui eticità è più che dubbia in quanto, per ricavare le cellule su cui fare poi gli esperimenti e le eventuali applicazioni, comportano la distruzione dell’embrione e quindi la morte della stessa persona umana di cui l’embrione è il primo “progetto”. Quello che si può a questo punto prefigurare ­in futuro – ma, occorre dirlo, il tempo delle ulteriori ricerche non sarà breve – è la possibilità di sviluppare a livello generale la medicina rigenerativa, sia, come detto, a livello diagnostico che terapico. Si potrebbe così, ad esempio attraverso il prelevamento di cellule della pelle di un individuo malato, riprogrammare queste cellule facendole “regredire” allo stato di staminali per poi, attraverso i processi sperimentati da Yamanaka e Gurdon, farle “progredire” nel tessuto da sostituire. La possibilità di un rigetto, in questo caso, sarebbe limitato in quanto la provenienza delle cellule sarebbe dallo stesso individuo che poi ne farebbe uso. Per il momento qualcosa di più di una semplice promessa.

Stefano Stimamiglio
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