Università, l'ora della scelta

Cronaca di un "open day", tra figli assenti e genitori preoccupati. "Sono i figli stessi a chiedere un aiuto nella scelta della facoltà", dice un'esperta.

07/02/2012
Una docente fornisce spiegazioni ad alunni e genitori durante un "open day" all' Università Bicocca.
Una docente fornisce spiegazioni ad alunni e genitori durante un "open day" all' Università Bicocca.

In un sabato mattina di gelata milanese, l'aula Martini dell'Università degli Studi Milano Bicocca è  gremita di mamme e papà di future matricole. I ragazzi sono a scuola, i genitori tra i banchi accademici pronti a chiarirsi qualche dubbio sulla prossima scelta che verrà, decisione che da un po' di anni a questa parte, dicono gli esperti, non è più solitaria esclusiva del ragazzo. Quando i figli si iscrivono all'Università. Dubbi, domande e curiosità dei genitori, titola l'incontro, che ha visto la presenza, tra gli altri, di Loredana Garlati, delegata del rettore per l’orientamento, di Stefania Milani dell'Ufficio orientamento e di Maria Grazia Strepparava, della Facoltà di Medicina e Chirurgia.

«Ricordo la mia reazione quando, circa tre anni fa, dallo Sportello studenti emerse una cosa nuova: «Lo sai che sono arrivati i genitori?», mi si disse. Il servizio esisteva da circa un decennio, non era mai capitato prima». Parla Elisabetta Camussi, psicologa sociale, delegata della Facoltà di Psicologia alla Commissione Orientamento di Ateneo e, tra le altre cose, responsabile dello Sportello studenti. «All'inizio la decisione di aprirsi anche agli adulti fu sofferta, l'orientamento è storicamente destinato ai giovani. Ma la domanda c'era. Il 35% di chi telefonava per contatti informativi era un padre o una madre: a volte chiamavano all'insaputa dei figli, altre per loro conto, altre ancora in presenza dei ragazzi stessi, troppo timidi per parlare in prima persona. Infine c'era chi si spacciava per potenziale studente interessato (e a noi appariva subito l'inganno, perché il genitore sotto copertura sbaglia tutti i termini tecnici). Ci si chiese, quindi, come poter essere utili anche ai grandi. E così iniziarono gli open day, i momenti di riflessioni e di condivisione delle ansie e dei dubbi, mamme e papà che cominciarono a essere presenti anche in due colloqui psicosociali sull'orientamento su dieci insieme ai propri figli, anche perché spesso erano i ragazzi stessi a chiederne la presenza».

Che cosa è cambiato? «Intanto la scuola coinvolge nella scelta la famiglia fin da subito, quasi dall'asilo nido» - aggiunge Elisabetta Camussi - «quindi è quasi naturale proseguire; si sono modificate, poi, le prospettive dei genitori: negli anni '50 si investiva sui figli come aiuto per la vecchiaia, oggi che bambini se ne fanno di meno la famiglia mira alla soddisfazione materiale ed emotiva del ragazzo, ci si augura che abbia una vita buona. Inoltre è cambiato il contesto: in una società liquida la scelta dell'Università è diventata più complessa, con la crisi del mondo del lavoro i genitori sono alla ricerca di informazioni concrete, ma soprattutto della concretezza in sé, contro la fragilità dell'epoca in cui si vive. A volte, però, manca il limite, vorrebbero usare l'operatrice per confermare le propria scelta: «La convince lei che sta sbagliando?», oppure «Non è vero che questa Facoltà va bene?», dicono. Per questo è necessario ricercare l'equilibrio tra l'eccessiva presenza e il disinteresse più totale». Ma come fare?

«La scelta universitaria è rimasto l'unico rito di iniziazione nella nostra società senza riti, fa capire a un giovane che sta entrando nell'età adulta», spiega Laura Formenti, docente di Pedagogia della famiglia e Consulenza Famigliare presso la Facoltà di Scienze della Formazione. «Ho anch'io una figlia di 19 anni, all'ultimo di liceo. Importante è mettersi veramente in ascolto delle loro idee, mettere in discussione le proprie certezze. Spesso i figli dicono: "Il mondo in cui vivo io non è lo stesso nel quale sei vissuta tu". E ci spiazzano. A volte i genitori dicono: "Non voglio assolutamente influenzare la scelta". Ma noi dobbiamo sapere che influenziamo in qualsiasi modo: educhiamo usando inconsciamente modelli diversi, dal "senza di me non ce la farai mai" a "fai tu, sei libero, non mi interessa". E il modello che si utilizza con un figlio a tre mesi lo si ritrova a 20 anni quasi identico. In Italia si tende a perpetuare il presente, l'assenza di rischio, a pensare di dover proteggere. Ma il genitore non deve garantire che un figlio non si faccia male, ci sono rischi connessi alla crescita. Bisogna garantire che se c'è bisogno ci siamo, ma lasciare nel contempo lo spazio perché facciano da soli».

E così, dalla platea, le domande prendono il sopravvento: «Ma se un padre è farmacista o avvocato è giusto almeno dire di proseguire?», arriva dal fondo. Oppure, dal centro: «Siamo preoccupati di ciò che lui si aspetta dopo: le professioni oggi non sono più poche e chiare come un tempo, quando il medico faceva il medico e l'ingegnere l’ingegnere». E anche: «Nelle scuole superiori manca l'approfondimento disciplinare, lo studio che crea passione e va al di là del voto. L'orientamento è informazione, non sempre indagine sui propri desideri. C'è il rischio errore». Le risposte si rincorrono: collaborare con le scuole perché la didattica non sia concentrata solo sui contenuti in funzione dell'esame di maturità; vagliare le opportunità lavorative reali, sapere che studiando si possono scoprire cose nuove e trovare nuovi indirizzi di conoscenza, che esiste l'esperienza all'estero, che se non si trova un lavoro legato alla propria laurea non è una sconfitta. Consci che ricette dettagliate su cosa sia giusto fare non esistono, che momenti come questo per discutere insieme sono necessari ai grandi, che ci si deve  sempre allenare a essere spiazzati dai figli e a cambiare idea senza entrare in crisi: «Personalmente ho sempre avuto il parere che mia figlia potesse fare a sola - conclude Laura Formenti-. L'altro giorno però mi ha chiesto: "Mamma,  ho fissato un colloquio di orientamento in un'Accademia"». «Ero abbastanza soddisfatta. Poi, guardandomi, ha aggiunto: per favore mamma, non è che mi accompagneresti?».

Maria Gallelli
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