Malattie rare: diagnosi, terapia e famiglie

Le malattie rare secondo la ricerca “Diaspro rosso” sono un dramma umano, sociale e impoveriscono le famiglie. Le parole e l'esperienza della genetista Dagna Bricarelli.

Le difficoltà delle famiglie

28/02/2013

Quale l’impatto delle malattie rare in una famiglia, soprattutto in tempi di crisi? Costi, disagi e difficoltà ad arrivare alla fine del mese vengono registrati soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, come dimostrano i risultati della ricerca “Diaspro rosso”, svolta dalla onlus Uniamo Fimr e durata oltre un anno, resa possibile grazie al finanziamento del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Le persone intervistate vivono in 9 regioni: Veneto, Liguria, Toscana, Puglia, Lazio, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia.

 «La presenza di un malato raro in famiglia contribuisce in maniera sensibile all’impoverimento del nucleo familiare, non solo perché le necessità assistenziali comportano un’oggettiva riduzione delle capacità lavorative del malato raro e/o dei suoi familiari, ma anche per i costi che la famiglia deve affrontare per trovare una risposta al proprio problema», evidenzia l’associazione. I nuclei familiari arrivano a spendere per un malato raro quasi 7 mila euro l’anno, tra visite specialistiche, riabilitazione, ausili e assistenza, con una media di poco oltre 3mila euro. Secondo lo studio, 6 malati rari su 10 non sono autonomi e 3 persone su 4 richiedono un’assistenza continuativa nella vita quotidiana per cui una famiglia su 4 deve ricorrere a personale a pagamento, con un spesa media di circa 400 euro mensili.

Ma non bisogna considerare solamente il problema economico: «All’aumentare della gravità del malato aumenta l’isolamento sociale e la fragilità della famiglia». A pesare sono anche i tempi lunghi per la diagnosi e la necessità di spostarsi in altre regioni d’Italia per avere risposte certe. Sono 3 persone su 10, infatti, a spostarsi dalla propria regione (soprattutto dal Sud) per ottenere un responso certo, spiega lo studio. «Prima di arrivare alla diagnosi definitiva in 4 casi su 10 sono state fatte altre diagnosi.

In un caso su due, anche dopo la diagnosi, le famiglie cercano conferma da altri specialisti sia del pubblico (44%) che del privato (20%)», rileva l’indagine. Tra gli intervistati, il 14% dichiara di non avere un centro di competenza a cui fare riferimento, mentre la maggioranza di chi ha un centro di riferimento è costretto ad un percorso di 200 km di media per raggiungerlo. «Per molti – spiega lo studio –, soprattutto per chi risiede nelle regioni del sud e per chi ha bisogno di più giorni per fare i controlli, alla distanza si aggiungono le spese per la trasferta, fino a 1.000 euro l’anno per le patologie più gravi».

Inoltre la rete dei servizi si presenta ancora frammentata nel nostro Paese, con notevoli differenze tra regione e regione. I problemi più sentiti? Carenze nell’erogazione di prestazioni di tipo riabilitativo, «per cui in 1 caso su 3 le famiglie contribuiscono, in toto o in parte, al pagamento di questo servizio con una spesa media annua di 1.350 euro, segue la terapia occupazionale e o esercizi per svolgere le attività quotidiane (21,1%), a pagamento in quasi 4 casi su 10 (spesa media annua 1.800 euro) e l’assistenza psicologica ai famigliari (24,7%), a carico delle famiglie in un caso su 2 (spesa media annua 1.000 euro)». A fronte delle notevoli spese, appena l’8,4% delle famiglie è beneficiaria di contributi economici da parte della Regione, della Provincia, dei Comuni o loro delegati nel 2011. Segnalati problemi anche rispetto al riconoscimento della patologia rara in sede di commissione per l’invalidità civile e l’indennità di accompagnamento. 

Per quanto riguarda i problemi sul lavoro per il familiare di riferimento, «sono maggiori nei primi 3 anni successivi all’insorgenza dei sintomi della malattia: una persona su due (53,1%) dichiara di avere problemi sul lavoro. Difficoltà si registrano anche successivamente anche se in misura leggermente più contenuta (38,5%). Nei primi tre anni dall’insorgenza dei sintomi il 7,9% del campione ha fatto ricorso ai due anni di congedo straordinario, il 7,4% si è ritirato dal lavoro e il 6,3% ha cambiato lavoro per essere più vicino a casa». Tuttavia il lavoro è spesso un problema per gli stessi malati rari. Sono pochi, infatti, quelli con età superiore ai 16 anni che trovano occupazione: «Appena 6% sono impiegati, il 3,7% è occupato, il 2,2% è in inserimento lavorativo, il 4,2% è disoccupato. L’insorgenza della malattia rara ha comportato l’abbandono del lavoro per l’8,6% dei malati rari e la riduzione dell’intensità dell’attività lavorativa per il 5,7%».

Laura Badaracchi

Laura Badaracchi e Maria Gallelli
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