28/07/2012
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Non sono società segrete, si tratta
piuttosto di ambienti spesso molto elitari che elaborano riflessioni,
ma soprattutto intessono relazioni. Si chiamano think tank, organizzazioni indipendenti dai Governi che promuovono studi e
seminari per ragionare sul futuro con una prospettiva internazionale.
Con la globalizzazione che aumenta le
interdipendenze, sia la politica sia l’economia si trovano a
giocare sullo scacchiere mondiale. La politica mira a individuare le
forme per coniugare interessi nazionali e globali, guardando in
particolare alla creazione di condizioni di sicurezza e di pace, non
fosse altro che per ridurre le minacce agli interessi nazionali. L'economia ricerca quella medesima sicurezza per usufruirne
nell’apertura di nuovi mercati. In questo l’economia si muove
molto più veloce della politica, ma della politica ha bisogno per
definire il quadro normativo entro cui collocare i contratti che
animano il mercato.
Ovviamente compito della politica non è
solo questo. È il luogo in cui la comunità riconosce e formalizza i
diritti (lo abbiamo fatto con la Costituzione e la Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo), e sceglie obiettivi e strumenti
per costruire un futuro che quei diritti tuteli. L’economia è
parte di questo quadro, non ha regole e etica propria avulse da quei
diritti, anzi è strumento per realizzarli. Stimolare un aumento
dell’occupazione, ad esempio, è fare in modo che un maggior numero
di persone possa vivere con dignità e autonomia, e con la
possibilità di concorrere alla corresponsabilità fiscale per
usufruire, insieme agli altri cittadini, dei servizi pubblici che
difendono la vita, come la scuola e la sanità.
Che condividano questa più ampia
accezione della politica, o che ne considerino solo la parte utile a
garantire il funzionamento del mercato, gli uomini di impresa spesso
cercano il rapporto con la politica e poiché questa si muove più
lenta, in ragione del rispetto dei passaggi di consultazione e
concertazione democratica, tentano di stimolarne e influenzarne il
processo di formazione delle decisioni.
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Come ti influenzo il potere: le lobby
Per farlo, soprattutto negli Usa, si è formata la dinamica delle lobby, gruppi di interesse che si organizzano e lavorano con i preparatissimi lobbysti per influenzare le decisioni dei parlamentari e del governo. Con l’aumentare delle interdipendenze sono nati centri rivolti specificamente a sostenere una attività di ricerca basata sul confronto delle idee e dedicata alla loro diffusione per creare una sorta di cultura comune. I think tank (“squadre di pensiero”, che anni fa avremmo chiamato più prosaicamente centri studi) si sono sviluppati quindi secondo modalità diverse, ma con la cifra comune dell’organizzazione di seminari che fanno incontrare i decisori internazionali. Per farli discutere, per farli conoscere e magari per influenzarli. I think tank più qualificati hanno una intensa attività di ricerca e produzione scientifica, quelli più efficaci hanno soprattutto capacità di relazione e riescono a coinvolgere i personaggi più influenti o con maggior potere.
Il primo Think tank moderno: Rockefeller e la Trilateral
Quello che forse è il primo esempio di think tank moderno nasce nel 1973 su iniziativa di David Rockefeller, attuale decano della ricchissima famiglia americana. Con la consapevolezza che la crescente integrazione internazionale stava ponendo problemi che richiedevano risposte concertate da parte delle tre aree più ricche del pianeta, Rockefeller propose la creazione della Trilateral Commission invitando a farne parte circa 400 personalità degli Stati Uniti, dell’Europa occidentale e del Giappone. Oggi la Trilateral è ancora più influente di quando è nata e si divide in tre gruppi regionali, quello nordamericano, quello europeo e quello pacifico-asiatico. Il primo comprende Stati Uniti, Canada e Messico, il secondo i paesi membri dell’Unione Europea (inizialmente erano solo alcuni membri della Comunità), il terzo Australia e Nuova Zelanda, i giganti India e Cina, e i paesi del Pacifico che formano l’Asean (Association of southeast asian nations) in particolare Thailandia, Filippine, Singapore, Indonesia, nonché Hong Kong e Taiwan (che dunque dialogano nel gruppo con i membri cinesi).
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Tuttora si diviene membri per invito e la responsabilità della commissione è condivisa dai tre presidenti regionali: Joseph S. Nye jr., professore ad Harvard e già alto collaboratore del ministero della difesa americano, Jean Claude Trichet, ex governatore della Banca Centrale Europea, e Yotaro Kobayashi, ex presidente della Fuji Xerox. Chairman europeo prima di Trichet era Mario Monti, che diede le dimissioni diventando Presidente del Consiglio italiano. Membri della Trilateral sono capitani d’impresa, banchieri, ex Segretari di Stato come Henry Kissinger, Madeleine Albright e Condoleezza Rice ed economisti che ebbero grandi responsabilità come Larry Summers, già capo economista della Banca Mondiale e consigliere di Clinton, e Paul Volcker, già governatore della FED, la banca centrale Usa e consigliere di Obama. Fra i membri italiani John Elkann, Carlo Secchi, i presidenti di Eni ed Enel, Tronchetti Provera ed Enrico Letta.
Il Bilderberg Club e l'originale lista di 1645 think tank mondiali
La Trilateral ha rafforzato, nelle sue attività, ciò che aveva avviato il Bilderberg Club , una riunione annuale ad inviti che si svolge a porte chiuse a partire dal 1954 coinvolgendo poco più di un centinaio di personalità di spicco del panorama politico ed economico europeo. L’iniziativa nacque allora per promuovere l’atlantismo. Oggi è una occasione per intessere relazioni tra personaggi influenti dei due continenti. I think tank che promuovono studi e occasioni di incontro sono numerosissimi. La Pennsylvania University ha provato a classificarli in base alla loro influenza e alla loro produzione scientifica. Tra i 1645 censiti naturalmente troviamo anche organizzazioni con storie molto diverse. Sono presenti nella lista l’autorevolissimo Sipri (Stockholm international peace research institute) collocato al terzo posto assoluto, enti che si occupano di mettere in rete i soggetti della società civile del Sud del mondo per dare loro maggiore voce nel dibattito internazionale o che controllano la violazione dei diritti come Amnesty international o ancora hanno un impegno ambientalista come il Wwf.
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Nella classifica della Pennsylvania University (Global Go to Think Tank Rankings) compare al primo posto assoluto l’americano Peterson Institute for International Economics, fondato nel 1981, che negli anni ha messo in rete uomini come W. R. Cline, lo stesso Paul Volcker, ancora Larry Summers, Sergio Marchionne, Stanley Fisher (già vice direttore del FMI e attuale governatore della Banca Centrale di Israele) e molti altri. Al secondo troviamo la Chatham House, ufficialmente definito The Royal Institute of International Affairs, basato a Londra. Chatham House è famosa per la Chatham House Rule, una regola che i partecipanti ai seminari accettano e che comporta la facoltà di raccontare all’esterno le idee discusse durante gli incontri ma senza citarne gli autori. In questo modo si sono potuti affrontare con serenità e in modo aperto questioni delicate, sulle quali i giudizi non sono ancora completamente formati, che in una discussione pubblica avrebbero potuto generare fraintendimenti o tensioni.
Se Peterson e Chatham, come Brookings Institute, Nber (National Bureau of Economic Research) e Center for Economic Policy Research (Cepr), per citare alcuni tra i maggiori, hanno una rigorosa attività di ricerca scientifica, alcuni tra i think tank più influenti sono soprattutto organizzazioni che fanno incontrare le persone, magari usando la Chatham House Rule per i propri incontri. Tra questi abbiamo già citato la Trilateral Commission e il Bilderberg Club. Oltre ad essi vanno ricordati la Allen & C. Sun Valley Conference che si svolge ogni anno all’inizio dell’estate, o il World Economic Forum di Davos, che sono diventate occasioni per fare pubblicamente vetrina, ma nella sostanza per creare possibilità di incontro in cui parlare off the record e verificare le reciproche sintonie tra partner e competitori. A Sun Valley, una remota e gradevole località sciistica nello Idaho, dove per la cronaca gareggiarono e vinsero Gustavo Thoeni e Ingemar Stenmark e dove Hemingway scrisse buona parte di “Per chi suona la campana?” nel 1939, ogni anno la Allen & C, un gruppo finanziario statunitense, riunisce i più importanti personaggi dell’economia americana e mondiale per una riunione improntata all’informalità, invitando politici internazionali per parlare delle prospettive economiche.
La Cancelleria tedesca, Angela Merkel, interviene al Forum di Davos,. Foto Reuters.
Il World Economic Forum di Davos
Negli ultimi anni le star erano state i giovani proprietari delle imprese della new economy, da Google a Facebook, ma la crisi e le loro evoluzioni negative in borsa ne hanno ridotto il fascino quest’anno. In Italia abbiamo avuto notizia di questo incontro soprattutto perché vi ha partecipato il premier Monti a metà luglio. Il Forum di Davos è viceversa più noto in Italia, anche per la vicinanza geografica. Qui dal 1971, su iniziativa di Klaus Schwab, un economista tedesco che ha insegnato per trent’anni all’Università di Ginevra, si celebra il World Economic Forum, che, come recita il suo statuto, “è una organizzazione internazionale indipendente, impegnata nel migliorare lo stato del mondo coinvolgendo leader del mondo delle imprese, della politica e dell’università e altri leader della società per definire le agende globali, regionali e dell’industria”.
E in Italia? Il Forum Villa d'Este di Cernobbio, ad esempio...
Non mancano, infine, le esperienze italiane. Citiamo il Forum Villa d’Este di Cernobbio, l’incontro più ampio tra i Workshop Ambrosetti, e la sezione italiana dell’Aspen Institute, che ha visto per diversi anni la contestuale presidenza di Giulio Tremonti, già Ministro delle Finanze, e la direzione di Marta Dassù, attuale sottosegretario agli Esteri. Leggendo le liste dei partecipanti a queste diverse occasioni di dialogo, si notano spesso gli stessi nomi: ex Segretari di Stato, ex presidenti, ex ministri, insieme a CEO delle principali multinazionali e dei maggiori gruppi finanziari. Sempre più spesso, in qualità di invitati, premier e capi di stato in carica. Che organizzazioni svolgano il servizio di fare riflettere insieme, elaborare e far circolare le idee è prezioso. Ma l’impressione che alcuni di questi gruppi offrono è quella di una élite esclusiva, autoreferenziata, che non include, ma individua da sola il futuro del mondo.
David Rockefeller. Foto Reuters.
Chi non ci sta e reagisce: il World Social Forum, ovvero il popolo di Porto Alegre
Non per nulla dal 2001, proprio in esplicita reazione al World Economic Forum, è nato il World Social Forum. Ogni anno, normalmente nel mese di gennaio, centinaia di migliaia di cittadini di tutto il mondo partecipano all’incontro mondiale, che si è svolto a Porto Alegre, in Brasile, nei primi anni e in altre città del Sud del mondo in quelli anni successivi. La sua preparazione coinvolge milioni di persone e non mancano personalità internazionali del calibro di Noam Chomsky o dell’ex presidente brasiliano Lula, per citarne solo due.
Il perdurare della crisi, provocata dalla irresponsabilità di alcuni gruppi finanziari, che oggi da un lato consente ulteriori guadagni alla speculazione, ma contemporaneamente rischia di indebolire i sistemi economici-sociali e politici fino oltre i desideri degli stessi speculatori, induce l’élite preoccupata della finanza e del potere ad aumentare la frequenza degli incontri dei loro think tank.
Chi scrive ritiene che la politica sia un’arte fortemente ancorata all’etica e nello stesso tempo pragmatica. Incontrare i decisori serve. Parlare e scambiare idee è utile. Facciamolo. Ma ricordiamoci nello stesso tempo che la democrazia è partecipazione di tutti alla scelta del nostro futuro e alla sua realizzazione. Non è qualcosa riservato ad una élite autonominata. Il disoccupato che a 50 anni non riesce a trovare un lavoro, il giovane che deve accettare condizioni umilianti, il pensionato che vede ridotto il suo potere d’acquisto o, peggio, chi pensione praticamente non ha, tutti questi uomini e donne che fanno fatica hanno lo stesso dovere e lo stesso diritto di partecipare che hanno capitani d’impresa e leader internazionali che si incontrano nei seminari a inviti. Facciamo attenzione a non confondere la competenza messa a disposizione della comunità con la selezione elitaria e a non far passare per democrazia qualche sorriso di fronte agli obbiettivi a Sun Valley, in maniche di camicia e braghe corte da 1000 euro.
Riccardo Moro, economista, docente di Politiche dello sviluppo all'Università Statale di Milano