Libia, vi racconto la verità

Tiziana Gamannossi, l'unica imprenditrice italiana rimasta in Libia, critica la missione contro Gheddafi e il Governo italiano. Ecco perché.

12/05/2011
ribelli libici a Misurata.
ribelli libici a Misurata.

Nei giorni scorsi Tiziana Gamannossi è ripartita per Tripoli; unica italiana, oltre al vescovo, monsignor Martinelli, ad essere rimasta dopo lo scoppio della rivolta a fine febbraio e in seguito all’attacco da parte della coalizione occidentale. Tiziana è un’imprenditrice che nel 2001 comincia a lavorare con la Libia, dopo la fine dell’embargo dell’Onu nel 1999. I suoi viaggi d’affari si intensificano di anno in anno finché nel 2005 quello libico diventa il suo unico mercato. Si occupa di import-export, inizia come fornitore di pezzi di ricambio per Eni Gas, “valvole, tubi e tutto quello che serve per un impianto petrolifero”, poi diventa consulente per le imprese italiane che forniscono impianti industriali: “fornaci per mattoni nell’edilizia, impianti alimentari per produrre la pasta e per lavorare la polpa di pomodoro, che costituiscono anche il pezzo forte della struttura industriale italiana”.

     Tiziana fa il consulente per il mercato libico: “Un mercato che bisogna conoscere molto bene perché non è affatto semplice”, racconta. Quando in Libia scoppia la rivolta ha tra i suoi clienti una ventina di aziende, tra le quali alcune francesi.  La sua vita ora è in Libia, e si dissocia con forza dal Governo italiano “perché noi siamo stati sempre amici dei libici e non ho condiviso il fatto che, nel momento in cui loro ci chiedevano delle commissioni d’inchiesta per andare a verificare la situazione, prima di adottare qualunque risoluzione, non c’è stata risposta e anzi sono iniziati i bombardamenti”.

Gheddafi con due delle sue famose guardie del corpo.
Gheddafi con due delle sue famose guardie del corpo.

 

      Tiziana è molto ferma anche a negare le stragi e le notizie di eccidi di cui si è parlato: “A Tripoli no” ripete con fermezza, “a Bengasi non c’ero, ma a Tripoli no”. A due mesi dall’inizio della rivolta ha deciso di fondare la Non Governmental fact finding commission on the current events in Lybia, una commissione per stabilire la realtà dei fatti.  

- Perché è nata, di cosa si occupa e da chi è composta la commissione della quale sei fondatrice?

     "Ci arrivava un flusso di notizie contrastanti da entrambe le parti in conflitto, abbiamo così deciso di fondare una commissione indipendente formata da stranieri e da libici della quale fanno parte, oltre a me, insegnanti, professionisti e persone della società civile. Al momento siamo una quindicina. Ci occupiamo di raccogliere informazioni su quello che sta avvenendo. Da noi vengono varie Ong dalla Germania, dall’Egitto, dall’Inghilterra e dalla Francia per collaborare e per verificare le notizie che arrivano dai media o tramite You Tube".  

- Ti senti sicura in Libia?

     "Non ho mai temuto per la mia incolumità, perché i miei amici libici mi hanno sempre detto che se ci fosse stato pericolo mi avrebbero portato con loro nelle fattorie dell’interno, dove eventualmente loro stessi si sarebbero rifugiati in caso di attacchi o di scontri particolarmente violenti. La zona in cui vivo dista al più uno o due chilometri da Tajura, quartiere in cui ci sarebbero stati diversi scontri e non ho mai avuto problemi. Mi hanno anche intervistata per la loro tivù pubblica quando hanno saputo che ero italiana ed ero rimasta lì. Erano molto orgogliosi del fatto che fossi una imprenditrice e per di più donna, loro si sono sentiti abbandonati in particolar modo da noi".  

- Com’è adesso la situazione per le imprese italiane?

     "È diventata molto difficile: praticamente sono due mesi che non lavoriamo. Le imprese italiane sono in grave difficoltà. Ora comincia ad esserci un po’ di ripresa e il Governo libico ci dà comunque la possibilità di andare avanti. Anche se sono l’unico imprenditore che sta tornando giù ora, ho ricevuto le chiamate di molti colleghi pronti a ripartire perché in tanti rischiano il fallimento".  

- E il Governo del nostro Paese?

     "Nessun segnale, nonostante le nostre richieste di aiuto, visto che fino a un mese prima il Governo ci invogliava a investire in Libia, e poi dal 17 febbraio siamo nel mezzo di questa crisi politica. Non abbiamo ricevuto né risposte né sostegno per andare avanti in un momento così difficile. So che c’è stata una riunione il 23 marzo in Confindustria a Roma alla quale hanno partecipato diverse imprese italiane che operano in Libia e che hanno esposto le problematiche al Governo e agli altri soggetti pubblici come l’Abi e l’Ice. Ma non abbiamo ottenuto risposte, se non negative. All’Associazione bancaria italiana chiedevamo una moratoria sui nostri debiti in Italia, dal momento che la prima azione che le banche italiane hanno intrapreso è stato chiedere il rientro dai vari debiti ai quali erano esposte. Ma l’Abi ha detto no, perché sarebbe stato diseducativo darci una risposta positiva che avrebbe creato un precedente per altre aziende in difficoltà nella stessa situazione. Eppure a quanto mi risulta l’unico trattato di amicizia stipulato dal nostro Paese è con la Libia. E poi...".

Uno dei Tornado italiani impegnati sulla Libia.
Uno dei Tornado italiani impegnati sulla Libia.

- E poi?

     "C’è poi un secondo problema che rende difficoltosi i pagamenti: le banche libiche sono entrate nella lista nera degli istituti di credito a livello mondiale".  

- A cosa sono dovute le difficoltà e gli impedimenti di cui parli?

     "All’embargo occidentale, che crea problemi nelle forniture di merci per l’industria, ma anche per i beni alimentari e i medicinali. Via mare le spedizioni non arrivano perché le navi militari americane intercettano quelle dirette a Tripoli e le scortano a Malta. L’aeroporto di Tripoli è bombardato e c’è la no-fly zone. L’unico modo è via terra dalla Tunisia. Non mi sembra giusto però che vengano bloccati anche medicinali e generi alimentari, perché se le motivazioni della guerra sono quelle di tutelare le persone allora bisogna far entrare in qualsiasi modo i generi di prima necessità. Non è giusto poi neanche che le medicine arrivino a Bengasi e a Tripoli no, non si possono avere due pesi e due misure. Nella città manca il latte per i bambini e i generi alimentari cominciano a scarseggiare. Ho notizie certe che un cargo della compagnia marittima Tarros che trasportava generi alimentari è stato intercettato e scortato a Malta da una nave militare americana. Parlo di generi alimentari, non di armi.  

- Secondo te siamo di fronte a una guerra civile o a una rivoluzione simile a quelle che sono avvenute in Egitto e in Tunisia?

     "Il fatto che Bengasi abbia sempre cercato di staccarsi da Tripoli è risaputo, non è la prima volta. In Libia c’è senza dubbio una struttura tribale e quello che è successo in Egitto e in Tunisia è completamente diverso. I giovani chiedevano qualcosa di più, è vero, però non dobbiamo dimenticare che in Egitto e in Tunisia stanno molto peggio che in Libia. Dalla Tunisia venivano per lavorare. Poi, come in tutti i Paesi, ci sono quelli a favore e quelli contro il Governo".  

- Non è un po’ riduttivo? A dire il vero si è parlato di scontri molto violenti a Tripoli tra la popolazione che manifestava e i soldati fedeli a Gheddafi, molto prima dell’attacco della coalizione.

     "Quello che è successo è che ci sono state manifestazioni ogni venerdì dopo la preghiera; da quello che so erano manifestazioni contro Gheddafi. Le cose sono andate così: dal momento che si sapeva che a Bengasi c’erano stati scontri armati molto duri, qui a Tripoli l’esercito si è presentato con i carri armati e i fucili davanti ai manifestanti, i quali a loro volta erano armati. Si temeva che succedesse la stessa cosa che è successa a Bengasi, dove i manifestanti avevano preso le armi dalle caserme. Personalmente comunque non ho mai visto né sentito di cannonate o bombe sulle persone scese in piazza da parte dell’esercito, almeno qui a Tripoli. Le prime bombe che ho visto sono quelle della Nato, dal 19 marzo, quando la coalizione ha cominciato a bombardare la città".  

- Cosa vorrebbero i ribelli, chiedono più democrazia, elezioni, un sistema partitico?

     "Chi è a favore di Bengasi vorrebbe ovviamente un Governo diverso. Per quanto riguarda il sistema partitico non fa parte della loro logica e della loro cultura: quando io stessa ho chiesto ai miei amici e conoscenti se volevano un sistema bipolare o partitico tipo il nostro mi hanno risposto con una battuta dicendo: “Perché da voi funziona?”. Le votazioni invece le vorrebbero, al momento la gente di Tripoli sarebbe disposta ad andare a elezioni per fare una verifica e dimostrare al mondo che loro veramente vogliono Gheddafi. Ma da Bengasi viene un aut aut: prima di qualunque discussione Gheddafi deve andare via".  

- Quali sono gli effetti dei bombardamenti Nato a Tripoli?

     "Da quasi due mesi la Nato bombarda gli obiettivi militari, ma sono state toccate anche alcune case. Hanno colpito l’abitazione della famiglia di Gheddafi, poi a quanto so io hanno sempre tirato su basi militari e su alcune strade. Però ogni volta che viene colpita una caserma o una base militare c’è uno spazio di deflagrazione, e spesso queste istallazioni sono vicine alle case o peggio agli ospedali. Ci sono state diverse vittime. Nel mio caso il deposito più vicino di armi è a un chilometro di distanza, ma molte persone vivono a cinquanta o cento metri dalle istallazioni".

Alessandro Micci
Preferiti
Condividi questo articolo:
Delicious MySpace

I vostri commenti

Commenta

Per poter scrivere un'opinione è necessario effettuare il login

Se non sei registrato clicca qui

Postato da jerry rawlings il 20/11/2012 12:01

sig salis: essere in una zona di guerra significa vivere nel terrore. Poi ci sono differenze fra stranieri in zona di guerra.Esistono imprenditori ,ben radicati nel territorio,con conoscenze diplomatiche ed interessi diretti nel paese,( investimenti che spesso rappresentano una vita di lavoro), ed esistono stranieri ,giornalisti, in zona di guerra, che le uniche radici le hanno messe all hotel rixos, da dove non uscivano per paura di essere ammazzati a causa delle loro menzogne. E che spesso e volentieri alla sera trascrivevano i comunicati stampa militari,della coalizione dei volenterosi. Inoltre le testimonianze da tripoli non sono come il mainstream ci dice universione, bensi come ci racconta il web, (che toglie potere ai media embedded) tierry messiah, eleonor, joe fallisi, la fact finding commission, fulvio grimaldi..... tutti sul posto, tutti a proprie spese,(non pagati coi soldi dei cittadini) e milioni di video e siti web,testimoniano questa versione dei fatti che sostiene la signora .Oggi la citta di bani walid è sotto assedio....da settimane prosegue uno dei piu tremendi e crudeli assedi della storia umana. tutti tacciono ,sparite le org. umanitarie. nessuna no fly zone nessun intervento immediato contro un genocidio ,tagliata acqua luce gas, niente medicinali e bombe al fosforo e all uranio impoverito........contro la roccaforte dei fedelissimi di gheddafi che nonostante voi resiste!..........Intanto gaza è anche lei sotto le bombe ed il numero dei morti aumenta.Gia i morti voi non li vedete....cosi fermi nella loro assurda immobilità ....come voi.... immobili dentro un sistema che vi incatena a verità non vere.

Postato da flespa il 16/05/2011 04:34

Ho partecipato dal 16 al 20 aprile, insieme coi "British Civilians for Peace in Libia" a una missione in Libia che aveva anche lo scopo di accertare la verità riguardo ai presunti bombardamenti sulla popolazione civile da parte dell'esercito libico. Confermo quanto ha dichiarato all'intervistatore Tiziana Gamannossi, donna coraggiosa. In proposito, niente di quel che ci hanno ammannito i vari mezzi di (dis)informazione (da Al Jazeera a tutti gli altri al traino) si è rivelato vero. Tali menzogne erano necessarie per consentire l'aggressione "politically correct" a uno Stato libero, indipendente e sovrano. Qualcosa di così spudorato, in effetti non era mai successo, neppure nel caso dell'Iraq. Si tratta di problemi interni alla Libia che i libici sarebbero capaci di risolvere tra di loro senza spargimento di sangue, bensì col dialogo costruttivo. Tuttavia, come ogni giorno che passa risulta sempre più chiaro, ciò non interessava e non interessa minimamente alla coalizione dei "volonterosi", il cui scopo è di mandare in frantumi il Paese e di impossessarsene. Sono essi, semmai, i primi violatori, in Africa (v. la Francia in Costa d'Avorio, oltre che in Libia) come altrove, dei "diritti umani", in nome dei quali stanno impestando di uranio impoverito chi mai s'è sognato di dichiarar loro guerra. Purtroppo si tratta di una macchina messa in moto per scopi ben determinati e che difficilmente si fermerà. Ma dovere delle persone oneste amanti della giustizia e della verità è testimoniare quest'ultima e fare quel che è possibile per scongiurare la catastrofe. Tiziana Gamannossi è una di loro. A lei va tutta la mia stima.
Joe Fallisi

Postato da Franco Salis il 13/05/2011 09:47

Bravo,caro vicedirettore,se il servizio avesse detto la Gamannossi dice la "sua verità" non avrei parlato di menzogne,ma porsi come detentrice di verità "assoluta" perché sul luogo,quasi che gli altri giornalisti non siano sul luogo,come traspare dal servizio no.Comunque grazie per la risposta e buon lavoro.

Postato da Franco Salis il 12/05/2011 17:44

Esprimo la più vibrata protesta contro F.C. che ospita servizi chiaramente menzogneri,con l’aggravante dell’utilizzo della forma di inchiesta che può trarre in inganno. Il direttore e qualsiasi altro collaboratore può ovviamente esprimere i giudizi che vuole,ma non è corretto metterli in bocca a terzi,quasi a lanciare il sasso e nascondere la mano. Non è da gentili uomini quali sono i redattori e collaboratori di Famiglia Cristiana. Mi si chiederà conto di un giudizio così severo:non è ammissibile che una sola fonte dica tutto il contrario di tante fonti. Voi mi insegnate che una notizia non fa informazione,ce ne vogliono tre o quattro convergenti e provenienti da fonti diverse. La mia, caro vice direttore, è una testimonianza di amore della verità,che non può essere sacrificata neppure a favore di nobili propositi (la pace) . Ho già detto che la pace va costruita ogni giorno. Io non credo alla massima “pro pacis,para bellum”ma piuttosto “pro pacis para pacem” A mons. Martinelli avevo chiesto che cosa avesse fatto per evitare il conflitto,ma non mi ha degnato di risposta,oppure mi è sfuggita. Non ho pensato, come si dice, “ha la coda di paglia” ho semplicemente pensato che non lo ha ritenuto opportuno o che avesse cose più importanti da fare. Adesso gentile vicedirettore non mi venga a dire che sono “maligno”! Buona sera.

Risposta di: Fulvio Scaglione (vice-direttore FC)

Caro Salis,

bisogna andarci piano prima di dare del bugiardo a qualcuno. Noi abbiamo sentito una persona che tuttora vive in Libia e che ci ha detto la sua. Ha diritto di farlo come tutti gli altri. Le informazioni che arrivano dalla Libia sono scarse, confuse e quasi sempre viziate dall'interesse politico delle parti. Noi diamo tutte quelle che riusciamo a trovare.

Stia bene

tag canale

MODA
Le tendenze, lo stile, gli accessori e tutte le novità
FONDATORI
Le grandi personalità della Chiesa e le loro opere
CARA FAMIGLIA
La vostre testimonianze pubblicate in diretta
I NOSTRI SOLDI
I risparmi, gli investimenti e le notizie per l'economia famigliare
%A
Periodici San Paolo S.r.l. Sede legale: Piazza San Paolo,14 - 12051 Alba (CN)
Cod. fisc./P.Iva e iscrizione al Registro Imprese di Cuneo n. 00980500045 Capitale sociale € 5.164.569,00 i.v.
Copyright © 2012 Periodici San Paolo S.r.l. - Tutti i diritti riservati