26/01/2012
La via principale di Vernazza tre mesi dopo l'alluvione (foto Ansa).
I tre turisti giapponesi si guardano attorno, più attenti che stupiti. Scattano qualche foto alla strada, ancora aperta in due, guardano in alto i balconi, poi la spianata di fango che si è sostituita alla marina. A un certo punto uno di loro, sottovoce, pronuncia chiaramente la parola “Tsunami”. Ma non siamo in Giappone. Siamo a Vernazza, dove la stazione del treno ha riaperto da pochissimi giorni al pubblico: fino a metà gennaio nel paese delle Cinque Terre devastato dalle alluvioni di fine ottobre potevano fermarsi solo i residenti.
E così hanno cominciato ad arrivare i primi turisti: li si può
incontrare a gruppetti di due o tre mentre zigzagano nella via centrale,
via Roma, ormai ripulita dal fango che la aveva ricoperta
completamente, ma ancora allo stato di cantiere aperto. Divisa in due
dagli scavi aperti dagli operai e dagli abitanti che da settimane
lavorano per ripristinare acqua e gas, ingombra di piccole escavatrici,
carriole, attrezzi di ogni genere. I pochi visitatori passano e scattano
qualche fotografia. Vernazza, che sul turismo negli ultimi anni ha
prosperato, per il momento ai turisti non ha molto da offrire. Il borgo
delle Cinque Terre è forse, insieme a Borghetto Vara, quello colpito più
duramente dalle alluvioni del 25 ottobre e per tornate alla normalità
gli serviranno anni. Sono tante le famiglie che non hanno ancora potuto
rientrare in Paese e che tutti i giorni fanno la spola tra Vernazza e La
Spezia, Levanto, Riomaggiore, dove si sono sistemate temporaneamente,
da amici e parenti.
Anche funzionari europei in visita ai cantieri della ricostruzione (foto Ansa).
Fino a pochi giorni fa i colori dominanti a Vernazza erano l'arancione,
il giallo e il blu delle giubbe da lavoro, oltre al rosa scolorito dei
muri delle case, su cui si riconosce ancora il segno del fango, arrivato
fino ai primi piani. Ma a questi ora si sono aggiunti quelli dipinti
dagli oltre sessanta artisti che nel giorno dell'Epifania si sono dati
appuntamento per colorare i portoni provvisori di compensato piazzati ai
piani terra degli edifici. E' la prima cosa a saltare all'occhio appena
scesi dal treno: c'è l'angelo del fango, dipinto da alcuni bambini, c'è
una veduta coloratissima del Paese sovrastata dalla scritta “Insieme
per rifondare”, ci sono i volti gialli e verdi del pittore spezzino
Tedoldi e poi dipinti di pittori milanesi, bolognesi, c'è anche quello
di un artista giapponese.
Una specie di galleria a cielo aperto che accompagna il tragitto fino
alla marina, fino a Piazza Marconi, solo parzialmente ripulita dal fango
e dai detriti che la hanno sommersa nei giorni dell'alluvione. Qui c'è
l'unico bar aperto, davanti ai gazebo del punto di ristoro allestito dai
volontari e dagli abitanti del Paese. In questi giorni dovrebbe
riaprire un ristorante, ma ai più è chiaro che la stagione turistica è
persa.
“La nostra preoccupazione principale - mi racconta nel suo ufficio il
sindaco Vincenzo Resasco - al momento è ancora la messa in sicurezza.
Stiamo lavorando sul canale che passa sotto al Paese, per riportarlo nel
suo alveo. E poi sulle frane, per ora solo le più grosse che sono sette
o otto, in totale qui ne abbiamo avuto centodieci. Per quanto riguarda
gli edifici i problemi più grossi sono chiaramente quelli del centro
storico, attorno alla via centrale, via Roma, dove c'erano quattro e
mezzo di terra. Stiamo ricostruendo tutto, fognature, gas, acqua. Tutto,
perché non c'era più niente”.
Al lavoro nel cuore delle Cinque Terre dopo l'alluvione dello scorso ottobre (foto Ansa).
“Siamo di Vernazza, siamo duri. Ma la situazione non è facile - mi dice
Marco, che sta pulendo l'ingresso di quello che era il suo
negozio - ci metteremo del tempo, ma c'è anche a chi è andata peggio.
Qui in paese i morti sono stati tre e gli sfollati sono ancora tanti.
Casa mia almeno è a posto”.
Le persone che non sono ancora potute tornare, a tre mesi
dall'alluvione, sono quasi quattrocento. Praticamente la metà degli
abitanti. “Ci sono alcuni - spiega il Sindaco - che sono fuori per
esigenze primarie, come gli anziani, perché qua per adesso servizi non
ce ne sono, anche se la farmacia sta terminando i lavori e a breve
riaprirà, e i bambini, perché le scuole sono chiuse. Insomma è una
situazione difficile, ma speriamo di riuscire a fare tornare
qualcun'altro entro la fine di febbraio. Sicuramente per rimettere a
posto tutto ci vorranno anni e finanziamenti. Non abbiamo ancora la
strada. E noi siamo le Cinque Terre, siamo conosciuti e visibili, altri
rischiano di passarsela peggio”.
Uscendo dal Comune, che resta abbarbicato in cima al Paese, alla fine di
un caruggio, si possono vedere le tracce delle numerose frane che sono
piombate su Vernazza. Una catasta di pale, saranno almeno un centinaio, è
ammassata al lato di un muretto. Per adesso i soldi stanziati sono i
quaranta milioni di euro dell'emergenza, che si vanno ad aggiungere alle
tante donazioni arrivate nelle prime settimane dopo le alluvioni e ai
tredici milioni di euro che sono stati promessi settimana scorsa
dall'Unione Europea. Ma sono fondi che devono essere divisi fra i
tredici comuni alluvionati dello spezzino. Poca cosa a fronte di
centinaia di milioni di danni. Secondo le stime della Regione, quelli
provocati in tutta la Liguria, quindi contando anche l'alluvione di
Genova, superano il miliardo. Il timore che la crisi economica, e magari
anche le scelte della politica, in un periodo di sacrifici per tutti,
rallentino gli stanziamenti, è forte.
Un'immagine di Borghetto, in Val di Vara, travolta da una pieda di fango (foto: QN.Quotidiano.net).
A dirlo senza giri di parole è Fabio Vincenzi, primo cittadino di un
altro centro colpito duramente, quello di Borghetto, in Val di Vara: il
25 ottobre il Paese è stato travolto da un piena di fango e detriti
proveniente dai torrenti Pogliaschina e Gravegnola, intasati dalle
tonnellate di legna accumulate sui corsi più in alto. Interi edifici
sono stati sventrati. La conta dei morti è stata pesantissima: sei le
vittime, più che in ogni altro comune dello spezzino.
“La verità - mi dice Vincenzi - è che noi dal nuovo Governo non abbiamo
ancora visto una lira. Per ora abbiamo messo in sicurezza i torrenti, ma
c'è tantissimo da fare, il nostro territorio è stato devastato e i
soldi non arrivano. Le dirò, il fatto che abbiano dato i fondi per Roma
Capitale e a noi non sia stato dato nessuno stanziamento ulteriore lo
trovo un vero scandalo”.
Solo nel comune amministrato da Vincenzi i danni compresi quelli ai
privati, sono stati nell'ordine di 50 milioni di euro. “Soldi che
servono anche per mettere davvero in sicurezza il territorio, anche
perché non vorremmo che ri-succedesse...”. La stessa preoccupazione
espressa dai cittadini e dagli amministratori di tanti borghi della Val
di Magra e dalla Val di Vara dove negli anni i boschi e le montagne sono
stati abbandonati e dove i contadini lentamente si sono trasformati in
operai, impiegati, con conseguenze ben visibili per la cura del
territorio. Si chiamano Pignone, Casale, Rocchetta Vara, tutti posti
dove ancora adesso si lavora per riparare i danni dell'alluvione e
spostare i detriti, i tronchi, i massi portati a valle dalle piene.
Monterosso dopo l'alluvione (foto: ilsecoloXIX.it).
“Noi siamo abbastanza fortunati - mi dice invece Luisa, che lavora in un
bar di Monterosso, l'ultima delle Cinque Terre - in molti potrebbero
riuscire a riaprire per Pasqua. Il Paese vecchio è quasi pulito. Ma
alcuni miei parenti per esempio abitano ad Aulla e sono dovuti rientrare
a casa anche se non hanno ancora l'agibilità”.
Son quelli delle case popolari del quartiere Matteotti, proprio
sull'argine del fiume Magra, travolte dalla piena del 25 ottobre, di cui
sono ancora chiaramente visibili i segni. Il 15 dicembre scorso, per
loro è scaduto il termine per la provvisoria sistemazione negli
alberghi. Cosi’, alcune famiglie, non avendo trovato ospitalità da
parenti e amici, hanno rioccupato le abitazioni. Nonostante l'ordinanza
di sgombero, le crepe ai muri, l'umidità. E la paura che prima o poi il
fiume esca nuovamente dal suo letto.
Federico Simonelli