Moody's & C., i signori del rating

Influenzano le Borse, mettono in ginocchio banche, imprese, interi Stati. Chi sono e come operano le agenzie che promuovo e bocciano a colpi di lettere seguite da più o da meno.

24/07/2012
Il quartiereb generale dell'agenzia di rating Moord's a New York. Foto Ansa. La fotografia di copertina, invece, è dell'agenzia Bloomberg.
Il quartiereb generale dell'agenzia di rating Moord's a New York. Foto Ansa. La fotografia di copertina, invece, è dell'agenzia Bloomberg.

Standard & Poor’s. Moody’s. Fitch. E’ ormai da diverso tempo che assistiamo con regolarità al succedersi dei loro giudizi (severi) e dei commenti (acidi) degli uomini delle istituzioni.  I rating, cioè i voti delle grandi agenzie internazionali  possono influenzare le Borse mondiali e avere effetti di grande rilevanza sul costo del debito dei Paesi che emettono titoli di stato per finanziarsi.  Un giudizio negativo induce gli operatori a considerare quei titoli più rischiosi  e dunque ad acquistarli solo in cambio di tassi di interesse più alti. Per il Paese che li emette questo significa costi maggiori e comporta un fabbisogno finanziario più grande che costringe a ridurre altre voci di spesa pubblica (scuola, giustizia, infrastrutture etc). In qualche caso per coprire il nuovo costo l’unica via, perversa, è quella di emettere nuovi titoli, aumentando ulteriormente il debito.

Da sempre chi ha il compito di valutare il comportamento di qualcun altro si mostra zelante nell’individuare gli errori, sia perché questo aiuta i responsabili a migliorare le performance sia perché cosi facendo il valutatore dimostra la propria capacità professionale (e ottiene nuovi incarichi).  A questo corrisponde il disagio di chi è giudicato, che mal sopporta le critiche alle proprie azioni.  Spesso l’accusa ai valutatori è quella di non capire le situazioni, di formulare giudizi che non tengono conto della realtà particolare…  In un contesto ideale in cui chi formula giudizi è del tutto ‘terzo’ rispetto a chi viene osservato, cioè in una situazione davvero priva di conflitti di interesse questa è una dinamica piuttosto naturale e, in fondo, accettabile senza troppa preoccupazione.

Ma è veramente così nel caso delle agenzie di rating internazionali?  Nel 1860 Henry Varnum Poor pubblicò un dettagliato testo sulle compagnie ferroviarie che operavano negli Stati Uniti. In quell’epoca le ferrovie stavano cambiando il mondo, in modo analogo a quanto avviene oggi con la rivoluzione informatica e i nuovi media. Riducevano le distanze, rivoluzionavano i trasporti e le comunicazioni e animavano la fantasia.  Le compagnie avevano bisogno di grandi capitali per realizzare le nuove vie, capitali che avrebbero potuto ripagare solo col tempo  attraverso la vendita dei biglietti.  Per procurarseli lanciavano grandi prestiti obbligazionari sulle principali Borse internazionali. Gli utili attesi facevano promettere tassi di interesse vantaggiosi e i risparmiatori investivano i loro capitali nel nuovo business.

Ma non sempre l’esperimento funzionava. Come in tutti i nuovi settori in forte espansione alcune compagnie ebbero grande successo mentre altre furono costrette ad abbandonare lasciando nelle mani dei creditori titoli che non valevano più della carta straccia. È successo altrettanto in questi anni con numerose start up nella new economy, le nuove imprese nate per utilizzare Internet.  Per questo il testo di Poor ebbe successo. Conoscere la storia, i comportamenti e la credibilità delle compagnie era prezioso per scegliere quali obbligazioni acquistare investire (titoli comprati dal risparmiatore, il cui valore finanziario di facciata viene restituito al detentore del titolo alla scadenza, che originano il pagamento di interessi periodici) e in quali azioni investire (quote di proprietà rivendibili che offrono ogni anno la possibilità di incassare un dividendo in ragione degli utili maturati dalla società).

Negli anni successivi il mercato finanziario crebbe sempre di più, allargando l’esigenza di informazioni ben oltre le compagnie ferroviarie. Diventava importante disporre di dati statistici adeguati e nel 1906 Luther Lee Blake fonda lo Standard Statistic Bureau. Pochi anni prima John Moody aveva elaborato il Moody's Manual of Industrial and Miscellaneous Securities, che forniva statistiche mirate sulle performance delle società quotate in Borsa. Anche John Konwles Fitch vide l’importanza di fornire informazioni qualificate e nel 1913 specializzò la piccola casa editrice ereditata dal padre avviando la pubblicazione periodica degli indici di affidabilità della borsa di Wall Street. Diverse società entrano in questa attività, sempre più domandata dagli operatori di Wall Street, ma dagli anni ’40, con la fusione della società fondata da padre e figlio Poor con lo Standard Statistic Bureau, si crea una sorta di oligopolio delle “Big Three”:  Standard & Poor’s, spesso semplicemente S&P, Moody’s e Fitch, che tuttora dominano il settore.

S&P è oggi una società posseduta dalla Mc Graw Hill una delle più grandi case editrici del mondo presente soprattutto nell’editoria scientifica, che a sua volta è detenuta da un azionariato diffuso. Moody’s ha un giro di azionisti molto più ristretto e tra questi spicca il finanziere Warren Buffett, uno degli uomini più ricchi del mondo. FItch è oggi proprietà della famiglia Hearst e della società francese FIMALAC una creatura di Marc Ladreit de Lacharrière, un imprenditore francese. Le tre agenzie tuttora effettuano valutazioni  indipendenti sulla credibilità dei titoli in circolazione nel mercato finanziario.  I rating riguardano anche i titoli di Stato, vista l’importanza che questi hanno assunto.  Le Big Three giudicano se i titoli emessi da un Paese hanno la probabilità di essere pagati o no, offrendo loro elementi per scegliere il livello degli interessi adeguato a pagare il rischio, esattamente come faceva il vecchio Henri Poor con le ferrovie.

Il fatto è che un secolo fa chi voleva queste informazioni pagava le società che le raccoglievano e le ordinavano in pubblicazioni periodiche.  Oggi le agenzie di rating hanno un meccanismo di finanziamento diverso.  Alcune agenzie minori lavorano ancora cosi, con abbonamenti pagati dai clienti, i quali ricevono informazioni settoriali molto specializzate. Le tre grandi, che di fatto monopolizzano il mercato, invece ricevono ‘abbonamenti’ pagati praticamente da tutte le società quotate, cioè da tutte le società che emettono titoli acquistabili sul mercato.  Essere valutati dalle tre agenzie è titolo qualificante, senza rating difficilmente c’è possibilità di vendere i propri titoli perché non valutati e quindi potenzialmente insicuri. Dunque tutti pagano S&P, Moody’s e Fitch. Proprio qui sta il nodo che attira oggi le critiche. 

Il quartier generale di Standard and Poor's, a New York. Foto Ansa.
Il quartier generale di Standard and Poor's, a New York. Foto Ansa.

Come fa ad emettere giudizi indipendenti una agenzia che è pagata dalle società che deve giudicare?  La risposta delle agenzie è che essere pagati da tutti è come non essere pagati da nessuno.  Potrebbe essere vero, ma nessuna delle tre agenzie mostra pubblicamente quanto fa pagare e a chi.  Che tutti paghino per essere nel giro, per comparire sulla lista, non impedisce che alcuni paghino di più o ad hoc acquistando un trattamento privilegiato. Nessuno intende fare un processo alle intenzioni o pensare male pregiudizialmente, però abbiamo tre attori in campo, non una moltitudine. E da che il mercato esiste i comportamenti fraudolenti sono sempre stati combattuti con la pluralità della concorrenza. Qui non c’è concorrenza, ma un oligopolio di tre attori che rende del tutto vulnerabili alla possibilità di manipolazioni. Forse non è un caso che la Lehman Brothers avesse un rating AAA, cioè il massimo della credibilità, poco prima di fallire, insieme a tutte le altre grandi società che con il loro comportamento irresponsabile hanno provocato la crisi finanziaria maturata in modo già visibile nell’estate 2007 e scoppiata nel settembre 2008.

Oggi le tre grandi vengono criticate pesantemente anche per i giudizi che danno sui titoli di Stato.  Quasi tutti i Paesi europei e gli Stati Uniti hanno subìto declassamenti. In particolare questo è avvenuto per i Paesi europei, Francia compresa.  Ogni volta i Governi interessati hanno reagito male. Ultimamente non sono più i singoli Governi a protestare ma è tutta la comunità internazionale.  E’ avvenuto l’anno scorso quando gli Usa sono stati declassati poco dopo l’accordo in Parlamento tra repubblicani e democratici per finanziare il bilancio pubblico. Un controsenso. Si è ripetuto nei giorni scorsi quando Bruxelles, prima di Roma, ha lamentato che il declassamento dell’Italia da parte di Moody’s  non fosse giustificato.  

La motivazione fondamentale di Moody’s per il giudizio negativo sull’Italia stava nell’avvicinarsi del voto che nel 2013 potrebbe eleggere un Governo che non segue le riforme avviate dall’attuale. Una preoccupazione corretta, ma esisteva anche qualche mese fa. Anzi ieri il Governo appariva anche più debole e avrebbe potuto cadere. Perché oggi allora la situazione sarebbe peggiore? Per quanto le agenzie elaborino le loro valutazioni attraverso articolati indici matematici, che compongono numerosi fattori interni e di contesto, rimane una vulnerabilità nei loro giudizi nella formalizzazione quantitativa delle considerazioni di natura politica. Che indice quantitativo può essere dato alla probabilità che un Governo cambi? O che un voto parlamentare possa modificare in modo più o meno consistente una riforma? E’ ovvio che si tratta di valutazioni discrezionali.

Ma proprio qui sta la preoccupazione.  Quella discrezionalità non potrà essere influenzata da qualche interesse? Giudizi cosi poco condivisi sono frutto di una valutazione originale e testarda o non saranno influenzati da un ambiente, da una convenienza? Come abbiamo visto, il downgrade, il peggioramento del giudizio su un Paese, costringe quasi automaticamente a pagare interessi più alti: rende i titoli dichiarati rischiosi più remunerativi.  Come si evita il dubbio che le tante società che sul mercato comperano i titoli pubblici dei grandi Paesi europei e degli Usa non ne trovino vantaggio?  Diffondere informazioni tendenziose che discreditano titoli di questo tipo allontana i piccoli risparmiatori (che non vogliono rischiare) e lascia spazio ai grandi gruppi finanziari che cosi possono acquistare titoli sostanzialmente sicuri, ma resi più remunerativi dal giudizio negativo.

È a partire da preoccupazioni di questo tipo che la procura di Trani, ha avviato in Italia una indagine per capire se da parte delle tre agenzie ci siano state, in particolare durante il 2010, casi di aggiotaggio, cioè la diffusione di notizie tendenziose per influenzare l’andamento dei mercati da cui trarre vantaggio. Non intende qui affermare che le Big Three stiano dando vita in questi anni ad una gigantesca truffa. È importante però far notare le vulnerabilità del sistema.  Per evitare che il pubblico paghi in modo costoso questi limiti e queste contraddizioni, come è già avvenuto nel 2008, e per evitare alle stesse agenzie di trovarsi domani di fronte a crisi di credibilità ancora maggiori.

Qual è la soluzione? Chiudere le agenzie e affidare ad autorità pubbliche il compito di emettere rating e diffondere informazioni qualificate?  Anche in questo caso potremmo creare cortocircuiti e conflitti di interesse. Un'ipotesi potrebbe essere quella di sottomettere le agenzie a periodiche valutazioni indipendenti, che mettano le agenzie che normalmente danno i voti, dalla parte di chi li riceve. Di certo l’aumento del numero dei concorrenti costringerebbe a prestazioni sempre più accurate e ridurrebbe, almeno in teoria, gli spazi di conflitto di interesse.  In passato le autorità per la tutela della concorrenza sono intervenute pesantemente sia in Europa sia negli Usa per ridurre la dimensione delle imprese ‘troppo grandi’ che nel loro settore dominavano e inibivano il mercato. È il caso di riflettere se anche in questo caso non si stia creando una illegittima posizione dominante.

Nella prospettiva di aumentare il numero degli operatori potrebbe dare un po’ di speranza l’ingresso sul tavolo da gioco di Dagong la nuovissima agenzia di rating cinese.  Dal 2010 produce regolari valutazioni che competono con quelle delle Big Three.  Un segnale positivo per la concorrenza.  Ma anche in questo caso, manco a farlo apposta, nasce qualche esitazione: molto severi i giudizi di Dagong su americani ed europei, ma sempre molto positivi quelli sulla Cina, anche di fronte al noto rallentamento degli ultimi mesi… Intanto in rete è nata Wikirating, un sito che elabora giudizi attraverso un meccanismo statistico aperto alla collaborazione di internauti qualificati (non tutti possono interagire, vi è una selezione basata sulla compentenza tecnica). Wikirating si propone di diventare una società profit, con un modello di funzionamento e governance interno molto più aperto delle concorrenti, anche se, come è stato evidente nel caso Wikileaks, il prefisso wiki non garantisce da abusi.  Per ora è poco più di un’idea, domani potrebbe diventare una fonte di informazioni alternativa. Non bisogna dimenticare comunque che il servizio reso dalle agenzie è utile per formulare decisioni, ma non va assolutizzato.

Le agenzie non vanno considerate come se avessero il monopolio della verità, tanto più quando, come abbiamo visto, avrebbero la possibilità di manipolarla. Vale per gli investitori che devono comunque fare esercizio di responsabilità personale per decidere come usare il loro denaro. Vale per i Governi, che vengono eletti dai cittadini e non dai mercati. Vale, è il caso di dirlo, anche per i media, che spesso amplificano in modo perverso ciò che davvero non merita tanta enfasi.

Pechino. Due receptionist nel quartier generale dell'agenzia di rating Dagong creata dalla Cina. Foto Bloomberg.
Pechino. Due receptionist nel quartier generale dell'agenzia di rating Dagong creata dalla Cina. Foto Bloomberg.

Nella prospettiva di aumentare il numero degli operatori potrebbe dare un po’ di speranza l’ingresso sul tavolo da gioco di Dagong la nuovissima agenzia di rating cinese.  Dal 2010 produce regolari valutazioni che competono con quelle delle Big Three.  Un segnale positivo per la concorrenza.  Ma anche in questo caso, manco a farlo apposta, nasce qualche esitazione: molto severi i giudizi di Dagong su americani ed europei, ma sempre molto positivi quelli sulla Cina, anche di fronte al noto rallentamento degli ultimi mesi… Intanto in rete è nata Wikirating, un sito che elabora giudizi attraverso un meccanismo statistico aperto alla collaborazione di internauti qualificati (non tutti possono interagire, vi è una selezione basata sulla compentenza tecnica). Wikirating si propone di diventare una società profit, con un modello di funzionamento e governance interno molto più aperto delle concorrenti, anche se, come è stato evidente nel caso Wikileaks, il prefisso wiki non garantisce da abusi.  Per ora è poco più di un’idea, domani potrebbe diventare una fonte di informazioni alternativa. Non bisogna dimenticare comunque che il servizio reso dalle agenzie è utile per formulare decisioni, ma non va assolutizzato.

Le agenzie non vanno considerate come se avessero il monopolio della verità, tanto più quando, come abbiamo visto, avrebbero la possibilità di manipolarla. Vale per gli investitori che devono comunque fare esercizio di responsabilità personale per decidere come usare il loro denaro. Vale per i Governi, che vengono eletti dai cittadini e non dai mercati. Vale, è il caso di dirlo, anche per i media, che spesso amplificano in modo perverso ciò che davvero non merita tanta enfasi.

Riccardo Moro, economista, docente di Poliche dello sviluppo alla Statale di Milano
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Postato da Rodolfo Vialba il 24/07/2012 11:01

Restano in ogni caso due fatti indiscutibili e, a mio avviso, negativi: 1) le Agenzie di rating sono strumenti al servizio della finanza e della speculazione. A loro poco importa l’economia reale e le condizioni politiche e sociali dei Paesi e delle popolazioni. Se così non fosse utilizzerebbero, tra i criteri di valutazione della credibilità di un Paese sia l’entità della ricchezza sottratta alla normale tassazione (21.000 miliardi di dollari) in quanto depositata nei così detti “paradisi fiscali”, sia le normative di questi “paradisi” che favoriscono l’evasione. Per assurdo che sia avviene che i “paradisi fiscali” abbiano un rating alto e una economia reale debole, mentre dovrebbe essere il contrario. 2) mentre le Agenzie giudicano, e con il loro giudizio ricattano, i Governi liberamente eletti e dunque pienamente legittimati ad assumere decisioni, chi giudica le Agenzie di rating? Perché a queste Agenzie, di fatto, si riconosce il potere di vita e di morte su interi Paesi e sulle loro popolazioni? Non c’è qui un problema vero di dimensione mondiale che la politica e i Governi sono chiamati ad affrontare e risolvere nell’interesse delle popolazioni che rappresentano? Non basta che ogni tanto qualcuno ci ricordi che l’attuale crisi economica e finanziaria è partita negli Stati Uniti a seguito della speculazione immobiliare e dei mutui sub-prime senza che le Agenzie ne rilevassero la pericolosità, forse per interesse del sistema bancario americano o semplicemente per bieca speculazione, occorre passare a scelte politiche che rendano compatibile l’autonomia e la libertà delle Agenzie con l’autorità e la legittimità dei Governi dei singoli Paesi.

Postato da aldo abenavoli il 21/07/2012 18:01

C'è un sistema infallibile per valutare la attendibilità delle agenzie di rating e la loro indipendenza di fronte alle lobby politiche o economiche. L'ex presidente del Consiglio Prodi e quello attuale Monti hanno sicuramente realizzato politiche economiche virtuose mentre l'ex Ministro di Berlusconi Giulio Tremonti, secondo il giudizio di Gianfranco Fini, allora alleato di governo,avrebbe truccato i conti che in effetti sono stati saccheggiati. Dunque per accertare se i giudizi delle agenzie sono stati obiettivi, basta verificare il rating del nostro paese durante i periodi citati. unlaicoallaricercadellaverita.myblog.it

Postato da vkaspar il 21/07/2012 10:22

I signori del rating sono uno degli effetti delle "disarmonie" maturate nel tempo all'interno dell'organizzazione mondiale.Fintanto che le uniche leggi che si vogliono imporre e far rispettare sono quelle del "mercato", beh!,allora c'è poco da recriminare : o si cambia finalmente strada o... si subisce.

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