09/09/2011
AKabul piove. La cosa è abbastanza rara.
Curiosa. E la pioggia rende ancora
più surreale l’arrivo in Afghanistan a
10 anni dall’attentato alle Torri gemelle, con
una delegazione promossa dalla Tavola della
pace con l’associazione americana dei familiari
delle vittime. Una delegazione per esprimere
prima di tutto un forte gesto di solidarietà
con il popolo afghano e rendere omaggio
alle vittime della guerra e del terrorismo.
Ma anche un’occasione per riflettere: a cosa
è servito scatenare una simile guerra? E
ora, cosa dobbiamo fare? Sono domande fondamentali
non solo per noi qui a Kabul, ma
per ogni persona che si interroga sul senso di
scelte che segnano la vita di tante, troppe persone.
La guerra e il terrorismo distruggono,
sempre. Lo abbiamo visto con le Torri gemelle,
lo vediamo a Kabul, ma è sotto gli occhi di
tutti anche la situazione dell’Irak, della Palestina
e di Israele, della Libia di questi giorni.
In Afghanistan l’Italia spende 700 milioni
di euro ogni anno. Quante cose si sarebbero
potute fare, e si potrebbero ancora fare,
per la qualità della vita delle persone.
Per dare quelle cose essenziali che rendono
ogni persona degna di questo nome. E non
schiava di chi, per un po’ d’acqua o di pane,
ti arruola nella logica della guerra.
Siamo a Kabul per incontrare i rappresentanti
della società civile afghana. Per invitarli
alla marcia Perugia-Assisi per la pace e la
fratellanza dei popoli, il 25 settembre. Riflettere
è doveroso per demolire tabù che portano
a pensare che tutti gli afghani sono talebani
e terroristi. Che tutti gli americani sono
per la guerra. Visti i risultati disastrosi del
conflitto, evidenti qui in Afghanistan, ma anche
in Irak dove oggi l’energia elettrica, per
esempio, viene erogata solo tre ore al giorno.
Spesso ritorna la domanda: dove sono finiti
i pacifisti? Davanti a ogni tragedia sembra
che la colpa sia sempre di chi vuole la pace.
Certo, dopo le grandi manifestazioni per la
pace dal 2001 fino al 2003, contro la guerra
in Irak, qualcuno si chiede: perché non si vedono
più quei cortei? Innanzitutto va ricordato
che dietro all’appuntamento del prossimo
25 settembre c’è un grandissimo lavoro sommerso
di informazione, riflessione e documentazione
da parte di giovani, associazioni,
Enti locali per la pace. E poi ci sono le denunce
che spesso non vengono raccolte né dai
media né dalla politica né, purtroppo, a volte
dalla Chiesa.
Se dobbiamo difendere la vita, forse bisogna
intraprendere con maggior coraggio il taglio
delle spese per gli armamenti, che uccidono
anche se non vengono usati. In particolare
in Italia il popolo della pace chiede, in
tempi di crisi e di tagli per la Manovra finanziaria,
di ridurre le spese militari. Il progetto
dei cacciabombardieri F 35 ha un costo globale
di oltre 15 miliardi di euro. Ognuno di
questi aerei costa oltre 150 milioni di euro.
Non è pura follia? Perché anche dalla Chiesa
non arriva una forte denuncia di questo spreco
che uccide e crea solo morte?
Ma è significativo il silenzio quasi totale di
questi giorni, da parte dei politici, sulle spese
militari. Si potrebbe definire un vero tabù,
che nasconde, o rivela, grandi interessi, molto
evidenti proprio in questi giorni con la tragica
vicenda della guerra in Libia. È possibile
che di fronte a una guerra le preoccupazioni
più evidenti di una parte della politica siano
state quelle di contrastare l’arrivo dei profughi?
Ecco, chi vuole la pace è accanto ai profughi,
alle vittime, di oggi e di ieri. Grida, nel silenzio
delle strade di Kabul, che la guerra è
avventura senza ritorno.
Intanto a Kabul non piove più. Il sole sta
tramontando e alcuni bambini sul tetto delle
case fanno volare in cielo aquiloni colorati.
Accanto a me un anziano con la barba sorride
con due occhi pieni di tenerezza. Occhi
che un pilota che bombarda da 5 mila metri
di altezza non può vedere.
Don Renato Sacco