Rom in festa per la Madonna Nera

Oggi in Camargue sono riuniti Rom, Manouche e Gitani per celebrare la loro patrona, Sara la Nera. La Chiesa non l'ha mai proclamata santa, ma i Rom la venerano come una di loro.

24/05/2012

Il cantante Piero Pelù è devoto a Santa Sara tanto da essersi fatto tatuare il suo nome sulle braccia. Chissà se oggi si troverà a Saintes Maries de la Mer, in Camargue, dove sono riuniti Rom, Manouche e Gitani per celebrare la loro santa patrona, alternando momenti di profonda religiosità e fede a momenti di festa con canti, balli e danze. Sara la nera, originaria dell'alto Egitto era la serva di Maria Salomè e Maria Iosè, presenti presso la croce di Gesù. Secondo la tradizione le due Marie, una sorella della Vergine e l’altra madre degli apostoli Giacomo e Giovanni, furono abbandonate al largo delle coste della Palestina su una barca senza vele, senza remi e senza viveri. Le salvò Sara, giovane egiziana dalla pelle scura, loro serva: gettato il mantello nell’acqua, questo, per miracolo, si trasformò in barca, permettendo a Sara di guidare il gruppo di esuli in Camargue. Sbarcarono in un luogo che divenne, poi, Saintes-Maries-de-la-Mer.

"Santa" Sara, la Madonna Nera del Popolo Rom (dal sito http://new-romalen.blogspot.it/).
"Santa" Sara, la Madonna Nera del Popolo Rom (dal sito http://new-romalen.blogspot.it/).


La baciano, la vestono, la toccano, la incoronano, la acclamano

La Chiesa non ha mai proclamato Sara Santa, ma i Rom, che la considerano una di loro, venerano la statua di Sara la Nera: la baciano, la vestono, la toccano, la incoronano, la acclamano fino a portarla in processione fino al mare, dove la immergono tre volte, per purificarla. Sostengono che, dopo averla toccata per un anno intero, la statua si carichi di energia negativa, visto che chi lo fa chiede una grazia. Sara la Nera potrebbe essere collegata alla divinità indiana Kali: questo concorda con l'ipotesi dell'origine indiana della comunità Rom, sostenuta anche dal professor Santino Spinelli nel suo libro “Rom Genti Libere” (Dalai editore), che evidenzia le somiglianze tra molti termini della lingua romanì con il sanscrito e alcune lingue indiane.

Non a caso anche la bandiera adottata dai Rom nel loro congresso mondiale tenutosi nel 1971 ha al centro la ruota di carro rossa a simboleggiare il loro lungo viaggio, ma anche il forte legame con l'India, che pure ha una ruota nella bandiera. Tra il 1400 e il 1500 i Rom arrivarono in Europa, fermandosi in particolare nei Balcani, sotto la dominazione turca, ma disperdendosi poi in vari Paesi: in alcuni casi venivano accolti a braccia aperte perché era apprezzata la loro arte divinatoria, in altri casi cacciati perché considerati mendicanti e vagabondi.

In Italia le comunità romanès fecero uso per più di un secolo di una lettera di protezione – forse falsificata – che Papa Martino V gli avrebbe rilasciato. D'altro canto i bandi, le grida e gli editti dei vari Stati europei per allontanare i Rom si susseguivano e non rimaneva loro che spostarsi. “Questo continuo girovagare per difendersi da misure repressive disumane fu scambiato per nomadismo e ancora oggi l'opinione pubblica ha questa errata considerazione della popolazione romanì”, commenta Santino Spinelli, uno dei pochi professori universitari Rom, docente di lingua e cultura romanì all'Università di Chieti.

Campi nomadi o campi di concentramento?

Poco ricordato è anche il genocidio di mezzo milione di Rom e Sinti, vittime dell'odio nazifascista. Fecero la stessa fine degli ebrei, con la differenza che dovevano indossare un triangolo nero come “asociali” invece della stella di David e la “Z” di zingari, invece della “J” di Juden=ebrei. Spinelli condanna i campi nomadi, come “retaggio della cultura nazifascista”: “La parola campo ricorda i campi di concentramento ed è ben lontana dal concetto di accampamento, che pur fa parte della cultura romanì. Il vocabolo “nomadi”, che implica una forma culturale e non una denominazione etnica, nasconde in realtà il nome vero dell'etnia: un popolo che non viene “nominato” non “esiste” e se non “esiste” non ha diritti”.

A volte l'informazione può davvero produrre dei danni e alimentare il razzismo, anche attraverso la reiterazione degli stereotipi. Come disse Einstein “è più facile distruggere un atomo che un luogo comune”. Nel caso dei Rom questo è evidente, ad esempio con l'assunto che i Rom rubano i bambini. Santino Spinelli commenta: “Non un solo caso accertato e mai nessuno realmente condannato. Intanto la propaganda lancia l'allarme: è il caso delle vicende che hanno riguardato la piccola Pipitone, la piccola Celentano e i fratelli di Gravina di Puglia”.

E di fronte ai proclami dei politici contro i Rom, nel libro “Rom Genti Libere” si legge che quel che indigna è il silenzio che ne consegue, e che “solo Famiglia Cristiana ha opposto resistenza. Simili proclami andrebbero perseguiti penalmente in un Paese realmente civile. In Italia, invece, garantiscono voti e anche visibilità mediatica”.

Ed è proprio vero che di pregiudizi ne abbiamo sempre troppi. Quanti si ricordano di un Premio Nobel per la medicina Rom, di un presidente del Brasile molto importante nella storia del suo Paese Rom e di uno che fu beatificato da Giovanni Paolo II nel 1997? Forse è il momento che dei Rom si parli nei libri di storia e non solo nelle pagine di cronaca dei giornali.

Gabriele Salari
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