Siamo tutti Tom Hanks

Diario di bordo dal nostro inviato a Fiumicino, in un clima surreale, come nel film "The Terminal" di Steven Spielberg.

20/04/2010

Almeno si vedesse questa maledetta nuvola. Potrebbe essere comunque uno spettacolo, qualcosa da fotografare con il telefonino  e poi da mettere su Facebook. Invece niente. Se ne sta lassù, invisibile, ma ti lascia inchiodato a terra. E in questra giornata un di primavera un po' pazza se alzi gli pocchi al cielo vedi un alternarsi di nuvoloni neri di pioggia e di cieli azzurri. A un certo punto piove con il sole e questo mondo ti sembra sempre più pazzo. A Fiumicino, almeno, qualche volo parte e arriva. E' uno dei pochi scali europei parzialmente aperti. Non c'è il blocco totale dei voli imposto ad altri aeroporti.  Ma dipende da dove arrivano o dove sono destinati gli aerei.
 
Il Nord Europa  e il Nord  Italia te li scordi, il resto del mondo non si sa. Un amico, al telefono, ti racconta che ieri sera è riuscito a partire per Tel Aviv. Così  a Sud la nuvola di ceneri vulcaniche non è arrivata. Poi ci sono i voli che arrivano qui  a sorpresa, dirottati da altri scali costretti alla chiusura. Oggi a Fiumicino i voli cancellati sono stati 144 e ci si consola pensando che domenica erano stati molti di più (quasi 500). E' come una lotteria. Questa situazione ti tiene sempre all'erta. Con ilo blocco totale almeno ti rassegni, imprechi, provi  a organizzarti alternative. Qui invece resti nell'incertezza. Magari parti, forse sì, più probabilmente no. Resti aggrappato  ai banchi informazioni, agli annunci sui tabelloni, ai siti internet consultati sul telefonino, ai racconti di parenti e amici che guardano la televisione da casa  e provano a informarti in tempo reale.
 
E subito, fra i passeggeri, parte il passaparola. La gente è stanca e nervosa, ma non c'è rabbia. Se si fosse in questa situazione per uno sciopero selvaggio la gente sarebbe inferocita e prenderebbe  a male parole chi si trova dietro il banco a dare informazioni. E' già successo tante volte. Ma ora  è colpa  del vulcano e ci sentiamo tutti vittime della situazione. Tutti sulla stessa barca. Niente urla, niente scenate. Ti rendi conto di vivere un'emergenza quando vedi in giro i volontari della Protezione  civile con le tute colorate e le pettorine gialle. Distribuiscono bottigliette d'acqua e anche se non fa caldo è un gesto apprezzato. Qualcuno ti pensa e ti aiuta. Al terminal T2 ci sono le brandine per far dormire in modo un po' decente i passeggeri costretti a passare la notte in aeroporto. Si dice che siano le stesse usate in Abruzzo nelle tendopoli allestite dopo il terremoto.  Ne hanno portate 600 e servono tutte perché gli alberghi attorno all'aeroporto  e nelle vicinanze di Fiumicino non hanno stanze libere. A chi passa la notte in aeroporto i volontari e il personale degli Aeroporti di Roma portano anche coperte, bibite, cioccolato, dolcini. Un bar rimane comunque aperto 24 ore su 24.

C'è gente che bivacca in aeroporto da tre o quattro giorni. Le alternative sono poche. I treni per il Nord Europa sono pieni per almeno una settimana. Gli autonoleggi non hanno più vetture. I tassisti chiedono cifre proibitive per portarti al Nord. Mentre le compagnie aeree, che già non se la passano troppo bene, perdono ogni giorno cifre spaventose non puoi fare a meno di pensare al rovescio della medaglia. Situazioni come queste, con la gente bloccata in aeroporto, sono un'istigazione all'acquisto e al consumismo. Magari solo per noia o per compensare la nevrosi. La libreria al primo piano è piena di gente e il negozio di elettronica che le sta proprio di fronte è una tentazione troppo grande. Bisogna  farsi forza per non comprare orologi, telefonini o macchine fotografiche.

Alla fine ci si sente un po' come Tom Hanks nel film di Spielberg The Terminal, spaesati in questa specie di città artificiale. Chissà, se ci fosse uno schermo gigante, (a proposito, non sarebbe male l'idea di fare un cinema dentro l'aeroporto) potrebbero trasmetterlo ai passeggeri in attesa. Sarebbe un modo per passare il tempo. E chi lo ha già visto potrebbe invece sfogliare il libro di Alain de Bottom "Una settimana in aeroporto". Per scriverlo  lo scrittore svizzero di lingua inglese ha passato una settimana nello scalo londinese di Heathrow. Ma non era vittima di uno sciopero o di una nuvola cattiva.    

Roberto Zichittella
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