Milano, lotta disperata al binario 21

Alla Stazione Centrale tre uomini sono in presidio permanente su una torre: protestano contro i tagli ai convogli notturni tra Nord e Sud. E 800 persone rischiano il posto di lavoro.

08/01/2012
Le fotografie di questo servizio sono state scattate da Alberto Prina.
Le fotografie di questo servizio sono state scattate da Alberto Prina.

Carmine Rotatore, 45 anni, Oliviero Cassini, 48, e Beppe Gison, 40 anni sono in presidio permanente dal 9 dicembre in cima alla torre faro in fondo al binario 21 della Stazione Centrale di Milano. È un binario da cui partono molti treni pendolari che ogni giorno trasportano migliaia di lavoratori in tutta la Lombardia. Un binario lontano dalle lussuose pensiline dedicate ai Frecciarossa, fiore all’occhiello di Trenitalia che ogni mezz’ora collegano Milano con Roma. Un binario lontano pure dalla parte di stazione che Centostazioni, società per azioni del gruppo Ferrovie dello Stato, ha recentemente riqualificato e reso simile a uno spazio aeroportuale sfavillante di negozi.


È successo che a dicembre, con l’entrata in vigore del nuovo orario invernale, la compagnia che gestisce il servizio per conto del Ministero dei Trasporti, ha deciso di sopprimere i convogli notturni che univano Milano, Torino e Venezia al Sud Italia. Al loro posto sono stati previsti collegamenti con scalo a Roma o Bologna, da raggiungere esclusivamente con i Frecciarossa. Questa riorganizzazione ha messo a rischio il lavoro di 157 addetti in Lombardia e più di 800 in tutta Italia. Da qui la protesta, con la scelta disperata del presidio sulla torre faro. Angelo Mazzeo, della Filt Cgil, spiega: «L’Italia è un Paese unito e tale deve restare. La decisione di sopprimere i convogli notturni, che con cento euro permettevano ai passeggeri di spostarsi dal Nord al Sud, spezza in due il Paese».


Alla Stazione Centrale sono arrivate, in queste settimane, centinaia di persone per portare solidarietà. Tra loro anche Gino Strada, fondatore di Emergency, che il 26 dicembre ha visitato i tre lavoratori sulla torre per accertarsi del loro stato di salute e li ha trovati in buono stato fisico e pronti a continuare la protesta. Tanti, soprattutto, hanno voluto non lasciare soli Beppe, Carmine e Oliviero nei giorni più difficili, quelli delle festività. È nata così l’idea del pranzo di Natale ai piedi della torre con i familiari dei tre lavoratori: «Una giornata che non scorderemo facilmente», racconta Giovanna, moglie di Carmine. A Capodanno, invece, è stato organizzato un collegamento con Piazza del Duomo a Milano, dove si svolgeva il maxi concerto di fine anno.


Ogni giorno poi, fin dalle prime luci dell’alba, quasi tutti i treni che partono dalla Stazione Centrale fischiano a lungo mentre transitano sotto la torre. Questo nonostante sembrerebbe che una circolare dell’amministratore delegato di Trenitalia lo vieti per via delle lamentele di alcuni residenti della zona. Sono determinati ed orgogliosi, questi ex lavoratori della wagon lits. La loro, però, è una situazione intricata anche dal punto di vista sindacale. La Regione Lombardia ha convocato il 27 dicembre un tavolo di trattativa tra FS, Trenord, sindacati e aziende appaltatrici per tentare di trovare una soluzione. Il piano di ricollocazione degli addetti lombardi ha però spaccato il fronte sindacale: la Cisl e la Uil hanno firmato, la Cgil no, lamentando l’insufficienza delle proposte e la rottura della coesione territoriale del Paese che il taglio dei treni ha provocato. Il freddo di questi giorni, intanto, mette a dura prova la capacità di resistere di Oliviero, Carmine e Beppe. Abbiamo parlato con Carmine, originario di Carmiano in provincia di Piacenza, tre figli e una moglie a carico.


La scelta di un presidio in cima alla torre faro ricorda molto quella alla INNSE di Milano, con i lavoratori arroccati sul carro ponte fabbrica. Perché scegliere forme di protesta di questo tipo?
   «A luglio insieme, ad altri quasi 800 lavoratori, sono stato licenziato dalla New Rest Servirail Italia (ex Wagon Lits) perché i treni-notte per il sud da Milano e viceversa sono stati eliminati. Abbiamo deciso di occupare la torre qualche giorno prima del 9 dicembre: stavamo facendo delle manifestazioni all’interno della Stazione Centrale che, pur riscontrando simpatia e solidarietà tra i tanti passanti che vedevano il nostro presidio, non riuscivano a ricevere attenzione da parte dell’opinione pubblica. Abbiamo quindi deciso di organizzare un’azione che avesse maggiore visibilità pensando, oltre che alla torre fisica, anche ad uno striscione verticale che ne diventasse il simbolo. Tra l’altro le stesse forze dell’ordine, che ci seguivano costantemente nei nostri movimenti, non hanno intuito per cosa avremmo utilizzato uno striscione verticale di quasi dieci metri fino a quando, alle 2.30 di notte del 9 dicembre, la scalata è avvenuta. La torre, con la sua maestosa altezza di quasi cinquanta metri, sovrasta tutte le parti interne ed esterne della Stazione Centrale ed è visibile ovunque, ma nello stesso tempo il nostro presidio non crea problemi ai pendolari che sono, troppo spesso, già penalizzati».

Come si vive a trenta metri di altezza?
   «La situazione non è facile. La nostra paura di dovere, prima o poi, scendere e affrontare i problemi da un punto di vista totalmente differente da quello che abbiamo avuto da qui per quasi un mese ci preoccupa. Oggi (4 gennaio) abbiamo anche avuto il supporto di una psicologa che ha cercato di aiutarci a convivere con questa singolare situazione».


Come avete trascorso la giornata di Natale e Capodanno?

   «Nel periodo in cui lavoravamo eravamo abituati a trascorrere le festività lontano da casa in giro per l’Italia sui “nostri” treni. È quasi assurdo, ma questa situazione disgraziata ha permesso a tanti di noi di ritrovare la propria famiglia sotto una pensilina della Stazione Centrale di Milano. E le mogli e i figli di tanti nostri colleghi si sono incontrati e conosciuti, creando una solidarietà umana incredibile. Abbiamo anche cercato, nel mantenere i momenti delle festività, di non traumatizzare i bambini più piccoli: stiamo organizzando pure una grande festa per il giorno dell’Epifania, raccogliendo regali per i figli dei disoccupati milanesi anche al di fuori di questa vertenza. A Capodanno, dopo un breve collegamento con Piazza del Duomo di Milano, abbiamo brindato dalla torre parlando telefonicamente con le tante persone che ci sono venute a trovare».

Avete ricevuto moltissima solidarietà da parte di persone che hanno deciso di sostenervi moralmente e materialmente. Cosa ti ha colpito maggiormente?

   «Una episodio avvenuto la notte di Capodanno: dalla strada antistante il binario vicino alla torre, un viaggiatore con un megafono ci ha urlato che voleva portarci della legna, perché aveva sentito che avevamo finito le scorte. E così ha fatto. Un gesto incredibile che, ancora oggi, mi emoziona raccontare. E poi tanta gente che, giorno dopo giorno, ci ha portato generi alimentari e beni di prima necessità».


Nonostante un tavolo in regione Lombardia per vostra vertenza che ha spaccato le tre organizzazioni sindacali, avete deciso di non scendere dalla torre. Cosa non vi convince di quell’accordo?
   «L’accordo fatto con Regione Lombardia, che ringrazio per l’impegno, non ha portato ad una soluzione di garanzia per gli ottocento lavoratori. Ci si è limitati ad una soluzione solo per la Lombardia… E tutti gli altri? Il rischio così è di fare una guerra tra poveri. Senza contare che, con la soppressione dei treni notte, si spacca in due l’Italia dal punto di vista dei collegamenti ferroviari».

Cosa ti senti di dire alle migliaia di lavoratori che vedono a rischio il proprio posto di lavoro ma non hanno avuto il vostro clamore mediatico esploso in particolare dopo la diretta con la trasmissione Servizio Pubblico?
   «Il messaggio che mi sento di lanciare è di non abbassare mai la testa e di avere sempre una speranza per il futuro».

Quando scenderete da quella torre?
   «Ci siamo resi conto, sin dai primi giorni dell’occupazione, che la nostra lotta era diventata un “caso” nazionale e questo ci ha dato una forza incredibile. Non scenderemo dalla torre fino a quando non verranno ripristinati i collegamenti tra il nord e il sud del Paese e non ci verranno fornite garanzie occupazionali per tutti gli 800 lavoratori coinvolti dai tagli».

Andrea Ferrari
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