De Monticelli: il dovere di parlare

La filosofa Roberta De Monticelli affronta in un libro "La questione civile" e prova a spiegare l'anomalia dell'Italia, dove fare semplicemente il proprio dovere rasenta l'eroismo.

03/02/2012
La questione civile, RaffaelloCortina Editore.
La questione civile, RaffaelloCortina Editore.

In un Paese in cui diventano eroi le persone normali, come il comandante De Falco e il calciatore Farina, semplicemente perché fanno il loro dovere di cittadini; in un Paese in cui lo stare sul confine con l’illegalità è accettato come sintomo di astuzia e addirittura politicamente tollerato come un evento ineluttabile, dove la corruzione dilaga all’insegna del “così fan tutti”, nessuno può esimersi dall’interrogarsi, meno di tutti chi si occupa di filosofia morale. Occorre scendere dalla torre d’avorio, vera o presunta, dell’accademia, per affrontare pubblicamente la questione morale e la questione civile. Probabilmente non per caso a due saggi divulgativi proprio su questi temi si è dedicata di recente Roberta De Monticelli, docente di Filosofia della persona all’università San Raffaele.  

Pochi mesi fa ha pubblicato La questione morale, ora La questione civile. Ha avvertito l’esigenza di riaffermare la funzione sociale della filosofia?
«Ho cominciato a percepire questa esigenza poco dopo che ero rientrata in Italia, dopo 15 anni di insegnamento all’università di Ginevra. Mi colpì il fatto che qui si chiama politica qualcosa che mette continuamente in questione presupposti prepolitici, morali, perfino costituzionali. Si arriva a concepire che la politica possa stare al di qua o al di là della Costituzione, cioè, di fatto, della legalità. Questo fatto paradossale mi ha spinto a occuparmi per la prima volta di etica pubblica, a far sentire la mia voce».

L'allegoria della giustizia.
L'allegoria della giustizia.

Difficile affrontare questi temi da una cattedra del San Raffaele, proprio mentre esplodeva lo scandalo?
«Su questo punto si giocano LA questione morale e civile. Dopo aver letto in morte di Don Verzé, articoli probabilmente necessari nella loro durezza, mi sono chiesta se potesse applicarsi anche a me la battuta che tanto circola in questi anni: “Ma quella insegnava lì a sua insaputa?”.  Si è detto che anche noi docenti sapevamo e stavamo zitti perché il fine giustifica i mezzi. E no. Io credo che si debba gridare che il fine non giustifica affatto i mezzi. E che se anche l’amministrazione dell’università, che è indipendente e a quanto risulta mai indagata, avesse beneficiato anche indirettamente di una gestione non trasparente questo basterebbe a metterne in discussione la stessa esistenza. Quanto al sapere, è un fatto che gli illeciti non erano conosciuti. Si poteva argomentare su molte vicinanze, diciamo così, del rettore fondatore a una certa parte della politica italiana. E qui si torna al nodo di prima: al fatto che in Italia sia politicamente accettato che si valichi il confine della legalità». 

Nel libro La questione civile ha scelto due temi simbolici: bellezza e giustizia. Sono concetti meno distanti di come ci appaiono?
«Sono due facce della stessa medaglia. I classici credevano che la bellezza fosse l’aspetto visibile della giustizia, cioè l’ordine del cosmo come riflesso dell’ordine della società. Ma, nel catalogare il brutto e l’osceno che hanno caratterizzato lo sconcio del nostro Paese, a partire dalla corsa allo sfregio del paesaggio, cui hanno concorso amministrazioni d’ogni colore, ho visto più il riflesso di una frase di Kant: “Quando la giustizia viene meno, non ha più valore la vita degli individui”. La nostra indifferenza alla svendita di pezzi di patrimonio dell’umanità a interessi locali e particolari, secondo me è il segno di questa depressione della cittadinanza».

L'indignazione delle donne in piazza.
L'indignazione delle donne in piazza.

Il tema della giustizia si esemplifica in due figure femminili: Trasimachina e Marianna. Chi sono?
«Trasimachina ha una radice storica: è il nome simbolico che ho dato alla ragazza protagonista di un video circolato su Internet, che esprimeva una visione del mondo simile a quella di Trasimaco, il primo interlocutore di Socrate nella Repubblica di Platone. Sostanzialmente un ritorno allo stato di natura: “è giusto perché è normale che il lupo mangi l’agnello”. È  una visione del mondo che coincide con la legge del più forte e che aveva sostenuto molte delle maggioranze che abbiamo avuto negli ultimi vent’anni. Mi sembrava interessante il fatto che questo concetto sia stato accettato come senso comune: vuol dire che la nostra giovane democrazia è tornata molto indietro, se è vero che la scienza politica è nata proprio per mostrare che se non si instaura uno stato di civiltà su quello di natura l’uomo non sopravvive alla sua ferinità».  

E Marianna
?
«È l’anti - Trasimachina, è la persona, simbolica, che viene danneggiata nel caso in cui Trasimachina riesca a mettere in pratica con successo la sua filosofia di vita, accedendo in cambio di servigi più o meno privati, a cariche pubbliche che dovrebbero essere riservate a chi ha le competenze necessarie. Marianna è colei che si indigna, perché si sente oggetto di un’ingiustizia in una società in cui la regola del merito viene disattesa lasciando il posto alla prassi dello scambio affaristico».  

L’indignazione è un sentimento morale?
«Sì, perché ha la caratteristica dell’universalità: a differenza del risentimento è reazione non al torto fatto a me ma al torto fatto a chiunque. Si fa buon uso dell’indignazione nel momento in cui si accetta di soffrire fino in fondo, se si capiscono attraverso la sofferenza nuovi aspetti della giustizia».

Non c’è il rischio che l’indignazione si limiti alla parte distruttiva, traducendosi nella sfiducia di poter ricostruire un’altrernativa nell’alveo del diritto?
«È un grande problema. Ma una cosa è l’antipolitica altra la stanchezza rispetto al sistema dei partiti. Nel libro rifletto sulla scarsa fortuna avuta dal partito d’azione, l’unico erede del grande illuminismo, cioè della fondazione morale e civile della cosa pubblica. È accaduto perché, come dice Simone Weil, è difficile far coesistere la ricerca della verità in materia sociale e civile con l’organizzazione del consenso. Le due cose non si riescono a fare insieme se non trasformando i partiti nelle organizzazioni d’affari che sono diventate e di cui la gente è stanca».  

Se la stanchezza diventa antipolitica, l’antipolitica non rischia di essere cavalcata profittevolmente dal primo scaltro che passa?
«Il ventennio che ci ha preceduto è uno di questi casi. Non a caso ho usato l’espressione questione morale, in un’accezione più ampia di quella intesa da Berlinguer».  

Il vedere le cose che si ritengono giuste continuamente disattese della prassi produce eroi della normalità come il calciatore Farina o il comandante De Falco. Dobbiamo ammettere che sono mosche bianche nell’immensa zona grigia in cui viviamo?
«Ho affrontato questo tema scomodando “la banalità del male”, espressione coniata per il male assoluto del Novecento: l’uniformarsi di interi popoli a una norma moralmente inaccettabile come quella dei totalitarismi. Quello che colpisce della realtà italiana è la diffusione apparentemente universale dell’atteggiamento di conformità: lo fanno tutti, perciò è normale. Intendendo per normale anche l’illecito. Ho chiamato questo male “consorteria italiana”, intesa come autodestituzione del giudizio morale. La consorteria è l’improvviso venir meno della consapevolezza della propria libertà e responsabilità».

In questo senso ha scritto che il rischio massimo viene dalla mescolanza di bene e di male?
«Per questo io, anche a proposito di San Raffaele, recito a me stessa tutti i giorni una frase di Simone Weil: il vero male non è il male, ma la mescolanza, il groviglio del bene e nel male. Credo che questo significhi che non c’è azione etica che non venga dal discernere il bene dal male, cioè dal non fare quella terribile associazione: il fine giustifica i mezzi. Non si può non vedere, nel San Raffaele, la tragica e dolorosa mescolanza di bene e di male». Com’è possibile che in Italia la mescolanza sia stata accettata come normale?  

Che cosa vuol dire esattamente “normale”?
«Andando a fondo nella parola normale troviamo la radice di norma, cioè di quello che dobbiamo imporci per non lasciar prevalere la nostra ferinità, per passare dallo stato di natura a quello di civiltà, da noi invece vuol dire il contrario».  

Ha scritto citando Bobbio che l’Italia è un paese tragico sotto sembianze comiche, in che senso?
«I miei due libri sono un piccolo commento a un concetto molto meglio riassunto dalla frase di Norberto Bobbio: "l’Italia sotto sembianze comiche ha un elemento tragico: sotto le maschere del padrone gabbato e del servo contento si nasconde il cittadino negato". Il padrone gabbato è il cittadino esautorato dei suoi diritti e doveri e il servo contento è colui che lo esautora, cioè ancora noi».

La questione morale, RaffaelloCortina Editore.
La questione morale, RaffaelloCortina Editore.

Il cittadino negato è un cittadino inconsapevole?
«Inconsapevole di far del male a se stesso. L’obbedienza alla legge umana, come ben sapeva don Milani, ha come suo fondamento la coscienza degli uomini e quindi la revocabilità della legge non giusta. Ma la lealtà alla legge, nel momento in cui è espressione della nostra autonomia, della nostra natura di soggetti morali capaci di governare noi stessi, è di nuovo una virtù perché non diventa servilità».  

Obbedienza come esercizio di libertà del cittadino?
«Esattamente, diventa servilismo invece quando è obbedienza al padrone per avere gli stessi vantaggi del padrone, questo purtroppo è un meccanismo che nella società civile e italiana è endemico e pervasivo e temo non abbia risparmiato nessuna istituzione San Raffaele compreso».  

Fa parte in qualche modo del nostro dna morale fin da Guicciardini?
«Una intera corrente pensiero che si rifà a Bertrando Spaventa si chiede come sia possibile che siamo ricaduti dall’avanguardia dell’Umanesimo alla perdita dell’indipendenza delle coscienze. La risposta tradizionale è quella del temporalismo della chiesa cattolica, io discuto questa risposta. Io credo che CONTRO il temporalismo, inteso come governare gli affari umani attraverso un principio di autorità, ci sia sempre stata una continuità in una parte del pensiero teologico partendo da Dante, passando per la spiritualità rinascimentale dei Bruno e dei Campanella, fino ad alcuni padri risorgimentali, Gioberti, Rosmini, - per non parlare addirittura di Mazzini, che certamente credeva in  Dio - , arrivando a Capitini o a Martinetti.  Credo che ci sia sempre stata una profonda sensibilità con aperture cristiane che vede il ruolo positivo di una spiritualità libera nell’organizzazione di una vita civile e politica, degna del nome. E allora forse vale la battuta di Vitaliano Brancati: forse non è la chiesa cattolica che ha “rovinato” l’Italia ma il contrario».

Siamo partiti dal ruolo civile dei filosofi. Verso la conclusione il libro parla anche della funzione del poeta. Possiamo leggervi una ribellione al trionfo dell’ignoranza esibita come vanto cui tante volte assistiamo anche nel dibattito pubblico? «
«Io stessa avverto un bisogno di espiazione, di autoaccusa: noi appassionati di filosofia abbiamo cercato sempre nutrimento altrove e percorso  le vicende, anche della storia intellettuale morale e civile del mondo, da molta distanza rispetto alla lingua del Paese d’origine. Ma quando mi sono trovata immersa nel tessuto della nostra società civile, ho cominciato a riaprire i nostri classici e ci ho ritrovato una linfa meravigliosa e profondissima. Il primo compito di qualunque riforma degli studi italiani dovrebbe essere quello di riaprire le fonti vive della nostra coscienza: Dante, ma anche i grandi platonici fiorentini, Galileo, ma anche Paolo Sarpi, Leopardi, ma anche il beato Rosmini, un sincero liberale e direi illuminista, tanto per stare in tema di pensatori che fanno parte dell’elemento cattolico di questa Nazione: e ci sono stati parecchi preti matrtiri del Risorgimento, come a Belfiore o in Aspromonte, oltre a quelli che invece predicavano per i Borboni. E c’è cattolico e cattolico,  lo dico consapevolmente a voi avendo apprezzato tante prese di posizione della vostra rivista, per non parlare della grande poesia e letteratura moderna: una tradizione vivificante fatta di maestri anche dimenticati».

Elisa Chiari
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Postato da Franco Salis il 06/02/2012 14:44

Ho letto in questi ultimi giorni i seguenti servizi su F.C. e altrove : 1)Indiani Sioux, il giorno della memoria 2)La pastorale della meglio gioventù 3)L’indipendenza dell’America latina 4)Scandalo corruzione in Vaticano, la Santa Sede denuncia La 7 5) Il vescovado di Potenza istanza di costituzione parte civile nel processo Elisa Claft, richiesta negata. Sono sconcertato da una sequela di notizie che spero non siano così terribili come appaiono,che sia io a non saper metabolizzare. Chiaramente siamo ad una svolta storica: o la Chiesa(intesa come gerarchia autorefenziale) fa ammenda dei suoi errori e si dà una raddrizzatina o verrà spazzata via, con grave danno dell’umanità. Quella stessa umanità di cui si proclama “esperta” e che invece regolarmente calpesta. Non una parola sulla conquista dell’America latina da parte dei gesuiti servendosi del “braccio secolare” della Spagna e Portogallo, nessuna parola sul massacro degli indigeni. Le mie osservazioni. Prima e terza lettura: F.C. celebra le virtù degli indigeni. Ma la Chiesa Cattolica che cosa ha fatto quando gli inglesi conquistarono l’America settentrionale? Perché non dite niente dei supplizi che gli Spagnoli e Portoghesi infliggevano ai nativi che non si convertivano e i privilegi elargiti a chi si convertiva in America latina? Eppure l’America Latina è prettamente cattolica: si tratta di sindrome di Stoccolma o non sono mai stati “convertiti” ed si sono limitati ad accettare solo il “rito religioso” di cui i conquistatori si accontentavano perché consentiva loro di conservare il potere? Si ricordi che In Messico Papa Giovanni Paolo II si è lasciato “benedire” da una stregona, proprio con questa motivazione: gesto culturale e non religioso. Lettura seconda: E’ un bellissimo progetto. È un progetto e non solo una idea pedagogica validissima. Sono preposti a questo progetto due sacerdoti.Ma perchè a Milano e non a Scampia? Ora i sacerdoti hanno fatto voto di obbedienza alla gerarchia e quindi hanno una mentalità gerarchica. Come può un progetto così aperto essere gestito da una mentalità ristretta? Ma ci si rende conto o no che la pretesa obbedienza è ciò che ha inviluppato il cervello e che è la causa prima della crisi materiale e spirituale di oggi? Cioè se un giovane domani fa la stessa scelta della Roberta De Monticelli? Verrà “scomunicato”? a proposito la Roberta Martinelli non ha abiurato a un bel niente (ho letto la sua lettera) ma ha esposto una serie di fatti ascrivibili alla Chiesa Cattolica non condivisibili. Oppure nonostante il voto di obbedienza i due sacerdoti se hanno esperienza di strada come per esempio don Colmegna e don Mazzi (a proposito come sta?),hanno una mentalità aperta? Tutto è possibile. Lettura quarta: BASTA con minacciare querele per accreditarsi come vittime. Se minacciate querele e non date corso, vuol dire che avete la coda di paglia e sapete bene che la vostra querela si ritorce contro di voi. Del resto sia mons. Vigano’ sia La Chiesa Cattolica fanno parte della stessa “famiglia”e la fuga dei documenti riservati non possono per logica non essere usciti dal Vaticano. La risposta del Governatorato con in calce quattro firme(ma non bastava quella del Papa visto che “motu proprio” ha avocato a sé la faccenda e anche in considerazione dell’art.331 del cod.can.? non è una difesa ma un maldestro atto di riconoscimento delle accuse. La gerarchia appare più diretta a indignarsi della "fuga di notizie riservate" che a ricercare le responsabilità. La gerarchia DEVE riconoscere pienamente le sue mascalzonate e se gliene vengono addebitate qualcuna in più,non pretenda che quest’ultima purificchi le altre. Ma se anche il Papa ha riconosciuto la presenza (vedi servizi vari in Avvenire) di malversazioni, dichiarandosi però più vittima che colpevole! Se non vi fosse stata colpevolezza, l’istituzione “motu proprio” sarebbe esercizio puro e semplice di potere che è fonte di ogni perversione. Lettura quinta: ma ci vuole coraggio eh. La Chiesa potentina ha avanzato istanza per costituirsi parte civile nel processo Claft ,istanza rigettata: NON E’ così che si difende la Chiesa, la Chiesa si difende dicendo sempre la verità. Io non lo so, ma i potentini sanno bene come realmente sono andate le cose. Ma se vedono che l’autorità ecclesiale mente e/o assume atteggiamento omertoso , come fanno i potentini a collaborare con la giustizia terrena indispensabile per una società meno ingiusta? I potentini si allontaneranno con disgusto dalla Chiesa e allora questa farà ricorso alla “macchina ben oleata” per il ricupero: dov’è la sequela Christi? Vi ripoto un detto dei “miei luoghi:” l’ha nau su rettore”(= lo ha detto il parroco, per dire che era una cosa certa da non discutere)OGGI NON E’ PIU’ COSI’.Adiosu

Postato da luciocroce il 03/02/2012 15:09

Io non so quanto la Prof. De Monticelli "sapesse" di Don Verzè. Sicuramente sapeva che era intimo di Berlusconi; penso sapesse pure che era un uomo che amava troppo il potere; è probabile che potesse anche immaginare che qualcosa nell'amministrazione dell'Università non fosse proprio trasparente; ammettiamolo pure! Però, nella situazione nella quale ci troviamo, forse non è questo il problema principale: lo sarebbe se noi fossimo una normale democrazia occidentale. Ma siccome non lo siamo e siamo, invece, da tempo invischiati in una drammatica emergenza etica - tanto è vero che persone che fanno semplicemente il loro dovere da noi assurgono al ruolo di eroi - allora, in questa situazione, la cosa forse più importante è che qualcuno parli chiaramente e dica in quale sprofondo siamo finiti; e a me pare che questo la Prof. De Monticelli lo faccia in maniera eccellente.

Postato da martinporres il 03/02/2012 14:02

Condivido pienemente il commento di Rodolfo Vialba, e aggiungo che Francesco Rutelli (ex leader della Margherita) si stia difendendo male. Ha scelto di sostenere la linea di non aver mai saputo niente dei traffici dell'amico (luisi). E temo che si stia cacciando nei guai da solo e decreti la sua fine politica; perché nessuno crede più alle favole.

Postato da Franco Salis il 03/02/2012 10:42

@ Rodolfo Vialba il 03/02/2012 08.48 sottoscrivo parola su parola di quel che hai detto.Non dimenticare che ho dichiarato più volte di essere (stato) democristiano critico e data la mia non più giovane età,sono in un certo modo, ma non detto, nostalgico.MA MAI E POI MAI POSSO ACCETTARE UN ACCOSTAMENTO TRA QUESTO,UNICO AL MOMENTO MALAFFARE ALLE MASCALZONATE DI QUELL'INDIVIDUO INNOMINABILE.CIAO

Postato da Rodolfo Vialba il 03/02/2012 08:48

Vedi Franco Salis, io non so se la teoria del “non poteva non sapere” di dipietrista memoria dei tempi di Mani Pulite, sia valida solo per Berlusconi o anche per altri, nel caso specifico altri della Margherita. Ciò che so è che la vicenda del tesoriere della Margherita solleva un lunga serie di riflessioni e di domande, anzitutto se la liquidazione della Margherita sia stata il frutto di una operazione politica che si poneva l’obiettivo di affermare un modello politico fondato sul bipolarismo, oppure come adesso si scopre, era il frutto di una operazione bancaria del valore di diversi milioni di euro di cui nessuno sapeva nulla. Certo è che il nuovo sole che doveva nascere dalla fusione DS-DL non è mai sorto, anzi, le tenebre si siano aggravate e il neonato PD non ha mai preso, neanche lontanamente e nonostante i clamorosi assist offerti dalla erotomania del cavaliere, i voti del PD e del DL messi insieme. Si scopre adesso che accanto alle ragioni politiche che sostenevano la necessità di porre fine ad un partito arrivato vicino al 15% c’erano anche trattative furiose sul malloppo dei finanziamenti pubblici spettanti al partito per gli anni successivi alla fusione DS-DL. Allora qualche domanda va posta agli ex leader della Margherita (?) perché non solo hanno praticato l’eutanasia al partito, ma hanno consentito che qualcuno portasse via la cassa. Davvero nelle riunioni di segreteria o nei riservati consessi attorno al caminetto nessuno ha mai parlato del tesoro trafugato? Chi sapeva che le risorse custodite (si fa per dire..) dal tesoriere ammontavano alle cifre dichiarate dai giornali? Che cosa si intendeva fare di una somma così rilevante? Beneficienza alla Celentano? Anche accantonando i pur rilevanti aspetti amministrativi e politici dell’intera vicenda, su tutti il sistema dei rimborsi elettorali che è, nei fatti, finanziamento dei partiti, occorre dire che la questione dal punto di vista morale è molto, molto seria. Negli anni di passaggio dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare e poi alla Margherita migliaia di persone hanno speso tempo, passione, impegno e anche denaro proprio, per aprire sezioni e renderle agibili, fare campagna elettorale al partito, promuovere collette, organizzare manifestazioni e via dicendo. Sono stati anni molto difficili nei quali queste persone hanno dato prova di una abnegazione e dedizione che chiede di essere conosciuta e ammirata invece che essere commiserata, quando non villaneggiata, per l’insipienza, la pochezza e l’inettitudine del gruppo dirigente della Margherita che, pur avendo traslocato nel PD, ha mantenuto in vita il partito al solo fine di incassare e appropriarsi di contributi elettorali derivanti da quanto hanno fatto queste migliaia di persone di poco conto ma di grande dignità. Costoro possono fare solo due cose: chiedere scusa alle migliaia di persone che oggi si sentono tradite e fare non uno, ma cento passi indietro per lasciare spazio ai molti che non sono compromessi e ancora credono nella politica come la più alta forma di carità. Il resto lo farà la Magistratura.

Postato da Franco Salis il 03/02/2012 08:16

@ fabius52 il 01/02/2012 22.05 “ Faceva fino criticare Don Verzè, mentre si aderiva ai suoi mitomani progetti e si passava a ritirare la paga del medesimo il 27 del mese.” Qui mi pare che vi sia una inversione dei valori, cioè sei fortemente critico nei confronti di chi invece ha mantenuto la sua autonomia di giudizio e si è rifiutata di adulare un don Varzè. Poi aumenti la dose, affermando che “e si passava a ritirare la paga del medesimo il 27 del mese”. Ma scusa ti risulta che la De Monticelli non facesse il suo lavoro all’università del don Varzè? Perché se è così hai ragione, ma se la Roberta faceva il suo lavoro il 27 non “si passava a ritirare la paga del medesimo” ma il SUO COMPENSO della sua prestazione d’opera intellettuale di alto livello. Purtroppo così vanno ancora le cose nel XXI secolo: si disprezza chi ha avuto il coraggio di fare scelte diverse. Ora, se mi consenti ,(per carità non al congiuntivo terza persona, eh) vorrei trarre da questo modo di fare una considerazione generale e che quindi non riguarda la tua persona. E’ questo un modo di fare che ci deriva dalla (mal)educazione cattolica che ha ingessato il cervello ed ora la storia ci presenta il conto: I giovani hanno difficoltà ad “essere imprenditori di se stessi”. Io non conoscevo la Roberta(eh che vergogna! No, non me ne frega niente)ma ho solo letto “l’addio” in Micro mega “ Abiura di una cristiana laica”. Io, sebbene non ho la preparazione della Roberta, non la seguo. Lascio che sia Nostro Signore a presentare il conto, quando Egli lo vorrà.Ciao

Postato da Franco Salis il 02/02/2012 22:09

@martinporres il 02/02/2012 14.26 "Mi dispiace, non voglio apparire presuntuoso, ma ai "ragionamenti" di Franco Salis non replico." FAI BENE, NON CORRI IL RSCHIO DI SPUBBLICIZZARTI OLTRE. La tua comunque non è "presunzione" ma più semplicemente la necessità di avere un "padrone". Anche io ho il mio padrone: la libertà. Quando io scrivo, automaticamente mi sottopongo alle critiche di chi legge. Ne consegue che queste non mi turbano.Ciao

Postato da martinporres il 02/02/2012 14:26

Mi dispiace, non voglio apparire presuntuoso, ma ai "ragionamenti" di Franco Salis non replico. Comunque ribadisco che la "categoria del non poteva non sapere" non può essere riservata solamente a Berlusconi. Non ho nessuna intenzione di effettuare spot per il Berlusca.

Postato da Franco Salis il 02/02/2012 00:13

@Postato da martinporres il 01/02/2012 13.38 "Scandalo Luisi ( cassiere della Margherita), solo Berlusconi non poteva non sapere ?" Copme ti permetti accostare un personaggio indegno di essere nominato per le sue nefandezze,che sfugge con mezzi meschini alla giustizia per arrivare alla prescrizione,che " in sua legge fa licito illicito" (falso in bilancio) che ci ha spubblicizzato in tutto il mondo,che ha portato alla rovina economica e morale l'Italia,perchè gli investitori avevano perso fiducia in un ominide che sa solo mentire,che si accredita le dimissioni per amore di patria,quando invece è acclarato che temeva che perdesse anche le sue aziende e ha permesso che altri gli togliessero le castagne dal fuoco. Come osi mettere accostare uno che ha dato uno schiaffo(atto comunque violento) ad uno che ne ha fatto di tutti i colori?Pentiti,se no ne sarai corresponsabile almeno moralmente.buona notte

Postato da fabius52 il 01/02/2012 22:05

De Monticelli, la diversamente credente che con la Chiesa ha chiuso, che disprezzava il suo datore di lavoro, il discutibilissimo Don Verzè, (con quanto sollievo lo ha scaricato dopo la morte) il quale l'aveva chiamata al San Raffaele dalla Svizzera per meriti di "chiara fama" e certamente le lasciava la più ampia libertà di filosofeggiare a sua totale discrezione. Faceva fino criticare Don Verzè, mentre si aderiva ai suoi mitomani progetti e si passava a ritirare la paga del medesimo il 27 del mese. Si vede che anche per i moralisti vale la regola "pecunia non olet". Io credo che per coerenza la De Monticelli avrebbe dovuto dimettersi da tempo dal San Raffaele.

Postato da Carlo41 il 01/02/2012 15:14

Al pari di altri personaggi di rilievo vicini al S. Raffaele mi sembra che la professoressa abbia peccato quanto meno di accidia, come recitava il mio vecchio catechismo elencando i 7 vizi capitali (Superbia, Accidia, Lussuria, Ira, Gola, Invidia, Avarizia), che per qualcuno non sembrano più tali; in Internet ho trovato questa definizione: l'accidioso indugia voluttuosamente nell'ozio e nell'errore, sa quali siano i suoi impegni, ma pur di non assolverli, ne ridimensiona la portata, autoconvincendosi che si tratti di piccolezze e che rimandarle non comporti conseguenze gravi. Mi pare si attagli bene a diversi personaggi che ruotavano intorno al S. Raffaele e che da libri, sentenze dei tribunali, giornali e anche da esperienze personali sapevano bene i macigni che da più di 40 anni ne costellavano la strada; nel 1971 una petizione al Ministro dei Trasporti chiese di salvaguardare la tranquillità di ricoverati inesistenti e deviare le rotte di decollo dall’aeroporto di Linate: è quello che avvenne e che ognuno da 40 anni ha potuto verificare ad ogni decollo, ma forse loro non hanno mai volato da Linate. La vergogna l’hanno per onore! dicevano i miei vecchi.

Postato da martinporres il 01/02/2012 13:38

Scandalo Luisi ( cassiere della Margherita), solo Berlusconi non poteva non sapere ?

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