11/10/2010
Il 9 ottobre don Luigi Ciotti riceve a Forlimpopoli
il Premio Artusi, assegnato ogni anno
a un personaggio che si sia distinto per
il contributo dato alla riflessione sui rapporti
fra uomo e cibo. Don Ciotti lo ritira come
fondatore di Libera, l’associazione impegnata
contro tutte le mafie che ha fatto nascere
aziende agricole sui terreni confiscati alla
criminalità. Con lui facciamo il punto sull’impegno
dello Stato, della società e della Chiesa
contro il crimine.
Don Ciotti, girando l’Italia che stato d’animo
coglie oggi nel Paese?
«La crisi ha determinato uno smarrimento
generale. Il nostro è un Paese dove sempre
più capita di nascere poveri o di diventarlo.
Lo stesso lavoro, indebolito nei diritti e non
adeguatamente retribuito, ha smesso per
molte famiglie di essere un riparo dalla povertà.
C’è, ad esempio, chi risponde alla precarietà
e all’incertezza con le lotterie e i giochi
d’azzardo, che crescono di offerte e fatturato,
anno dopo anno. Ma l’ingiustizia economica
si riflette anche sui comportamenti e sulla tenuta
morale del Paese. Nessuno giustifica i
reati, ma le necessità di sopravvivenza possono
spingere a comportamenti illeciti. Questo
accade ancora di più nelle zone di forte presenza
criminale, dove le mafie approfittano
della crisi per reclutare giovani e per offrirsi
come “banca” a tanta gente con l’acqua alla
gola. Ma dietro la crisi c’è anche un grande
vuoto culturale, la perdita del bene comune
come dimensione etica di vita e di relazione,
il ripiegamento nell’interesse privato, la sostituzione
della profondità con la superficialità,
della sostanza con la forma».
Il recente omicidio di Angelo Vassallo, sindaco
di Pollica, rappresenta un brutto colpo
per chi lotta per la legalità...
«Vassallo è l’esempio di una politica con la
“P”maiuscola, al servizio della collettività. Si
è battuto per la dignità sociale, economica e
culturale della sua gente, opponendosi ai giochi
di potere, alle furbizie, ai privilegi, agli
abusi. Tener vivo il ricordo di Vassallo e di
tutti quelli che si sono esposti per la giustizia
significa continuare a fare quello in cui hanno
creduto. Quelle vittime innocenti ci chiedono
un impegno costante, così come ce lo
chiedono le famiglie, le cui ferite si riaprono
non solo nei giorni degli anniversari ma in
ogni momento dell’anno».
Di recente le forze dell’ordine e la magistratura
hanno colpito duramente le mafie.
È una buona notizia, ma basta?
«Sono risultati importanti e ammirevoli, tenuto
conto dell’insufficienza di mezzi della
magistratura e delle forze di polizia. Come
puntuali e positivi sono alcuni recenti provvedimenti
nella lotta al crimine organizzato.
Per questo si fatica a capire altre misure che
vanno in direzione opposta. Penso alla legge
sulle intercettazioni, che nel suo attuale impianto
indebolisce l’azione della magistratura,
a certe riforme (processo breve, separazione
delle carriere, scudi e impedimenti per difendersi
“dai” processi, non “nei” processi)
che minano i capisaldi della democrazia, alla
decisione di tagliare il “numero verde” sulla
tratta e la prostituzione, che non solo ha permesso
a tante donne di riconquistare una dignità,
ma ha colpito uno dei mercati più redditizi
del crimine organizzato. Reprimere,
poi, non basta. Per sconfiggere le mafie e tutto
ciò che ruota loro attorno è necessaria una
grande sfida culturale, educativa e sociale.
Servono servizi, sostegno alle persone e alle
famiglie, lavoro vero e dignitoso».
Come va la legge sui beni confiscati?
«È importante l’istituzione dell’agenzia nazionale,
così come una serie di provvedimenti
volti a colpire a monte l’economia mafiosa.
Restano, però, alcuni nodi. Solo il 47%
dei beni è stato destinato, mentre sul restante
53% gravano in parte ipoteche bancarie,
in parte si tratta di beni vandalizzati o abbandonati,
a volte ancora abitati dagli illegittimi
proprietari o da persone a loro collegate. E allora
sarebbero importanti alcune misure. Ad
esempio, un fondo nazionale che faciliti l’accesso
al credito per le cooperative che gestiscono
i beni; investimenti per la ristrutturazione
degli immobili; procedure più rapide e
trasparenti per la loro gestione; un testo che
armonizzi tutta la materia».
Che cosa chiede don Ciotti alla politica?
«Di essere vicina alla strada, alla gente, ai
veri problemi. Altrimenti, è gestione del potere:
promesse, slogan e ricerche di consenso
nel vuoto di strategie, di progetti capaci di
schiudere orizzonti e speranze. Non voglio
generalizzare: ci sono tante persone impegnate
in politica serie, oneste, preparate, come
purtroppo ce ne sono di preoccupate più
della loro posizione che del bene comune».
E che cosa chiede alla Chiesa?
«La Chiesa è chiamata a fare la sua parte,
saldando la testimonianza cristiana con la responsabilità
civile. Come prete ho due grandi
riferimenti: il Vangelo da una parte, la Costituzione
e la Carta universale dei diritti umani
dall’altra. Testi che su piani diversi affermano
la dignità della persona umana, l’impegno
per la giustizia e per la ricerca di verità.
Nella Chiesa ci sono testimonianze stupende,
di grande umiltà e valore. Però, lo dico con
amarezza, ci sono anche silenzi, forme di compromesso,
persino di complicità. A me piace
la Chiesa dei don Puglisi, la Chiesa che interferisce,
che interviene per illuminare le coscienze,
per denunciare gli affari criminali e le ingiustizie
sociali. Che testimonia, nelle parole
e nei fatti, l’assoluta incompatibilità del Vangelo
con il crimine e la violenza».
Le mafie si possono combattere anche a tavola,
consumando cibi buoni, puliti e giusti.
Gli italiani ne sono consapevoli?
«La consapevolezza deve, certo, crescere.
Serve informazione, cultura, educazione al
consumo critico e responsabile, a stili di vita
più sobri, più attenti. Anche le famiglie possono
dare una grande mano: abbiamo bisogno
sulle nostre tavole di prodotti puliti, freschi,
altrimenti stiamo “freschi” noi. Il crimine
non paga se facciamo attenzione a non
pagarlo, chiedendo meccanismi di controllo
e certificazione adeguati, tutela del lavoro, rispetto
dell’ambiente. Se scegliamo di sostenere
gli esercizi commerciali che non pagano
il pizzo e se costruiamo reti (come Reggiolibera-
Reggio, nata di recente in Calabria)
per dare una mano agli imprenditori e ai
commercianti onesti, per alimentare una cultura
del consumo critico, per costruire il
“noi” della corresponsabilità».
Roberto Zichittella