Folco Quilici: il grande viaggiatore

Documentarista, esploratore e scrittore, ha compiuto in aprile ottant’anni, ma il suo lavoro non conosce soste. Adesso sta girando un documentario sulle vie dei pellegrini.

26/07/2010
L'esploratore e documentarista Folco Quilici.
L'esploratore e documentarista Folco Quilici.

Solo una giornata balorda (pioggia tiepida, cielo basso e grigio, umidità tropicale) tiene fermo Folco Quilici. «Oggi non posso filmare», dice al telefono, «passa pure in ufficio a trovarmi». Il suo ufficio, nel quartiere romano di Prati, è ordinato e colmo di libri, vecchie guide turistiche, fotografie, carte geografiche. Una grande mappa appesa alla parete di fronte alla scrivania mostra il Lazio e i luoghi dove sta girando un film sulle vie dei pellegrini. Il grande documentarista, esploratore e scrittore ha compiuto in aprile ottant’anni, ma il suo lavoro non conosce soste.

Come si sente a ottant’anni?

«Bene. Sono stato peggio prima di compierli, quando dei ladri mi hanno buttato per terra in mezzo alla strada, nel cuore di Roma. Una brutta botta, un braccio rotto, una spalla lesionata. Dopo ero a pezzi, mi sembrava di averne 190, di anni. Ma poi sono guarito perfettamente e ho ripreso in pieno a lavorare. Il segreto è non fermarsi mai, stare in guardia. In fondo, sono arrivato a questa età pur non essendo assistito da una salute di ferro. Nei primi viaggi in Africa mi presi tutte le malattie tropicali, malaria compresa, e le cure mi hannomassacrato il fegato. Sono caduto con un elicottero, ho avuto qualche problema al cuore. Ne ho passate tante, ma non mi fermo. Ieri sono uscito alle 7 del mattino e sono rientrato a casa dopo 12 ore di lavoro».

A che cosa sta lavorando in questi giorni?

«Intanto, sto completando un libro al quale lavoro da due anni. È un romanzo storico ispirato da una vicenda vera, legata alla presenza dei cosacchi in Italia, alla fine della Seconda guerra mondiale. Per scriverlo ho pescato nei miei ricordi e in numerosi documenti. Poi ho terminato il film documentario Tobruk 1940, che aggiunge informazioni rispetto al libro in cui avevo raccontato l’ultimo volo del gerarca Italo Balbo sull’aereo a bordo del quale c’era anche mio padre Nello. È ricco di filmati d’epoca, che ho cercato con pazienza, restaurato e montato in studio».

E intanto gira per le vie dei pellegrini...

«Sto realizzando un film di un’ora lungo le vie dei pellegrinaggi del Lazio. La via Appia, la Cassia-Francigena e la via Francescana che, in gran parte, segue il percorso della Salaria. È poco conosciuta ma è molto stimolante, legata ai conventi frequentati da san Francesco nell’odierna provincia di Rieti».

Che cosa ha scoperto?
«La bellezza del Lazio, una Regione i cui tesori sono messi in ombra da Roma. Poi mi sono reso conto che non è la strada che fa il pellegrino, ma viceversa. I pellegrini seguono i percorsi tradizionali, ma a volte prendono scorciatoie. Il pellegrino ha una grande fantasia e nel suo cammino riesce sempre a fare incontri belli e interessanti che lasciano un segno, anche in chi non è credente».

Altri progetti?
«Un altro film, sempre nel Lazio. Spero di realizzarlo l’anno prossimo nella Pianura pontina, una zona stupenda piena di testimonianze storiche, bellezze naturali e progetti urbanistici molto interessanti. Sono le coste lungo le quali gli archeologi stanno rintracciando i resti degli sbarchi dei popoli provenienti dall’Oriente mediterraneo, prima della nascita di Roma. Davvero affascinante».

È tempo di vacanze: un grande viaggiatore come lei che consigli darebbe a chi parte?

«Dipende. Una famiglia con bambini vada a divertirsi, al mare o in montagna. I bambini comandano, lo so bene avendo dei nipotini. Chi ha più libertà si faccia un bel viaggio in California, in Giappone o magari in Vietnam, un Paese molto bello, oggi anche molto accessibile e non troppo costoso».

In Italia quali sono i suoi luoghi del cuore?

«Tanti. Di sicuro le isole: Ponza, Pantelleria, le Egadi, soprattutto Marettimo, con le sue riserve naturali e le grotte che ho fatto scoprire ai miei nipoti. Sono rimasti entusiasti».

Il mare resta il primo amore?
«Direi di sì, ma in genere amo la natura, montagna compresa. Mare e montagna sono sempre stati una miniera di fatti storici, leggende, miti. Ma il mare, con il suo fondo sommerso, scatena la fantasia».

Non le fa tristezza quel mare nero di petrolio al largo delle coste americane?

«No, mi fa rabbia. Rabbia per la nostra ipocrisia. Strilliamo tanto, ma intanto intasiamo le strade di automobili. Siamo noi a spingere la ricerca di petrolio lì e altrove».

È sempre convinto che il saper viaggiare dovrebbe essere una materia scolastica?
«Sì, ma prima insegniamo bene la geografia, che invece è sempre più trascurata. Studiarla significa avere gli occhi aperti sul mondo, conoscere i popoli. È un antidoto al razzismo e a tutti i pregiudizi che circondano gli stranieri, gli immigrati, i diversi. Vorrei sapere quanti italiani saprebbero indicarmi correttamente, non dico il Senegal, ma la Romania sulla carta geografica».

La globalizzazione ci ha portato in casa il mondo: c’è ancora qualcosa da esplorare?

«Come no. E a volte non bisogna neppure fare tanta strada. Qui accanto al mio ufficio c’è l’unica chiesa in stile liberty di Roma. Non la conosce nessuno. Ci sono entrato e l’ho trovata bellissima».

Roberto Zichittella
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