02/12/2011
Sconti record contro la crisi dei comnsumi a Bucarest (Romania).
L'Europa e la crisi del debito, l'Italia e le difficoltà dell'economia, il capitalismo finanziario e la rigidità del sistema Euro. Parla l'economista Costas Papavitsas.
Spread alle stelle, borse in picchiata, mercati sempre più inquieti. Le ultime settimane in Europa hanno accelerato fortemente la percezione di una crisi che da finanziaria si sta trasformando nuovamente in crisi economica. Politica sembra già esserlo. Testimonianza ne sono i cambi imposti al vertice dei Paesi in maggiore difficoltà: Grecia, Spagna, non ultima l'Italia. Se questa dinamica sia arrestabile o no, e quali scenari futuri ci riservi, lo abbiamo chiesto a Costas Lapavitsas, economista greco della University of London, che da tempo studia la crisi politico-economica della zona Euro.
- Professor Lapavitsas, le chiedo innanzitutto: questa è davvero una crisi del debito?
"E' decisamente una crisi del debito. Questo mi pare chiaro. Ma come succede sempre quando si parla di debito, esprime qualcosa di più profondo, strutturale. Quello che sta succedendo, almeno in Europa, è una crisi dei meccanismi e dei sistemi che hanno portato alla nascita dell'Unione Monetaria. E' questo a essere in crisi al momento: abbiamo una serie di economie con produttività molto diverse, sistemi politici molto diversi che sono stati messi insieme in un soggetto istituzionale rigido. E questo non può funzionare".
- E anche una unione fiscale e politica incompleta, è questo ciò di cui stiamo parlando?
"No, non la metterei proprio così, anche se so che questo è una argomento utilizzato frequentemente. Certamente è vero che alcuni elementi dell'Unione monetaria europea sono incompleti, ma questa secondo me non è la questione più profonda. Direi piuttosto che la questione più profonda è legata a interessi sociali, politici ed economici. Per come la vedo l'Eurozona è una struttura che è stata creata per soddisfare gli interessi delle grandi banche e delle grandi imprese e per estensione dei pochi Paesi forti che costituiscono il suo nocciolo. In questa organizzazione gerarchica i Paesi periferici perdono, mentre quelli più forti vincono. Ecco, ora tutti questi problemi stanno venendo al pettine".
- E' anche un certo tipo di capitalismo che sta andando in crisi secondo lei?
"Direi proprio di si. E' una forma di capitalismo che ha imperato nelle ultime tre decadi in Europa, organizzato attorno all'Unione Europea e in particolare intorno all'Unione Monetaria. La crisi è globale a mio modo di vedere, ma nel Vecchio Continente ha assunto toni particolarmente gravi. E' un sistema che ha il capitale finanziario al centro, le grandi banche, le istituzioni finanziarie e le grandi imprese che sono anch'esse finanziarizzate".
Le tende degli "indignati" a Francoforte (Germania), ai piedi del simbolo dell'euro.
- Parliamo dell'Italia, dove si è appena insediato un nuovo Governo.
Lei crede che l'esecutivo guidato da Mario Monti potrà riguadagnare la
fiducia persa sui mercati? E poi, quello Italiano è davvero un problema
di fiducia?
"Dubito purtroppo che un nuovo Governo in Italia, così come in
Grecia e in altri Paesi dell'Eurozona possa fare la differenza. Il
problema non è dato solo dall'instabilità politica in Italia, ma ha a
che fare con le difficoltà dell'economia italiana a restare in
equilibrio all'interno dei meccanismi rigidi dell'Unione monetaria e a
realizzare performance di crescita adeguate. Problema degli
ultimi dieci-quindici anni, intendiamoci. Penso piuttosto che
l'instabilità politica italiana sia il prodotto di tutto ciò e non il
contrario. Con il risultato che ora quello che chiamiamo mercato ha la
capacità di imporre svolte anche politiche all'interno dei Paesi membri.
E questo non è un bel segnale per la democrazia".
- In un recente articolo Lei ha scritto che i mercati finanziari sono
preoccupati per la “solvibilità” dell'Italia. Perché dice questo e che
differenza c'è fra problemi di solvibilità e problemi di liquidità?
"Un problema di liquidità si manifesta quando c'è difficoltà a
ottenere fondi, prestiti sui mercati finanziari, insomma il denaro utile
a venire incontro agli impegni immediati di uno Stato o di un'azienda.
La solvibilità invece è una cosa diversa, ha a che fare con la capacità
di poter pagare i proprio debiti o tassi di interesse sui prestiti. E
quando parliamo di Stati questo coinvolge l'abilità dello Stato a far
pagare le tasse, il che è a sua volta legato alla performance economica
di un Paese. In questo momento i creditori internazionali dell'Italia
hanno seri dubbi che, dato il volume del debito pubblico e viste le
difficoltà dell'economia, il Paese possa continuare a pagare i suoi
debiti con puntualità e credibilità negli anni a venire. Quando
cominciano a manifestarsi questo tipo di dubbi e preoccupazioni, allora
si può cominciare a speculare sul debito di uno Stato...".
- Ma il problema del debito comincia a non sembrare più solo
Italiano, almeno a giudicare dall'andamento degli spread (il
differenziale tra i rendimenti dei titoli di Stato di un certo Paese
europeo e quelli tedeschi, che sono presi come riferimento dai mercati,
ndr) che stiamo osservando negli ultimi giorni...
"Esattamente, la forbice sta cominciando ad allargarsi anche per la
Sapgna, per il Belgio e addirittura per la Francia. Con il risultato
che i grandi detentori di bond sovrani in Europa, ovvero gli hedge
funds, i grandi fondi pensionistici, le compagnie assicurative,
cominciano ad avere dubbi sul fatto che questi Stati possano ripagare i
loro debiti. E allora cosa fanno? Stanno vendendo e spostandosi verso i
titoli di Stato tedeschi, giudicati più affidabili. Ecco se questa
dinamica continua in maniera massiccia temo che sarà la fine dell'Euro.
Perché la crisi peggiorerà, dal momento che non ci sono abbastanza bond
tedeschi per soddisfare le necessità di tutti, perché gli Stati avranno
difficoltà sempre maggiori a trovare i prestiti che servono loro. Non
siamo ancora arrivati a questo punto, ma temo che ci siamo molto
vicini".
- E questo secondo Lei a cosa potrebbe portare, a una Unione
ristretta o a uno scioglimento completo dell'Unione monetaria?
"Diciamo che innanzitutto quello che succederà, e che in effetti
sta già succedendo da tempo, è che la Banca centrale europea
intensificherà i suoi acquisti di titoli del debito dei Paesi in
difficoltà. Ma la Bce, a mio avviso, non può risolvere il problema di
fondo, ovvero quello di molti Paesi fortemente diversi dal punto di
vista della competitività, che non possono coesistere in una griglia
rigida come quella dell'Unione monetaria. Come se ne esce? Qualcuno
sostiene che lo si può fare creando una Unione completa dal punto di
vista politico con trasferimenti fiscali, strategie di investimento
coordinate tra Paesi centrali e periferici, forti e deboli e via
dicendo. Io invece temo che non sarà così, perché non vedo nessuna
dinamica o volontà politica che porti a qualcosa del genere e non credo
che gli interessi in gioco all'interno dell'Unione monetaria lo
permetteranno. Ma in ultima analisi penso che i Paesi forti
dell'Eurozona, Germania in testa, siano disposti a sostenere i costi e
fare i sacrifici necessari per aiutare gli altri".
- E quindi?
"Temo che la rottura della zona Euro, con l'uscita di alcuni Paesi
sia la strada più probabile a questo punto. E temo anche che questo
porterà a una crisi pesante, a livello di crescita e di impiego,
peggiore di quella del 2008. Per evitare che questo accada avremmo
bisogno della creazione di strategie alternative e differenti soggetti
politici che siano in grado di proporle".
- Per esempio?
L'Europa a mio modo di vedere ha innanzitutto bisogno di nuovi
partiti politici e ha bisogno di ringiovanire le sue strutture politici.
Per più di vent'anni la politica europea è stata guidata da un'idea
chiamata europeismo e ha smesso di credere ad altre idee come il
progresso, i beni comuni, anche il socialismo. Questa idea
trascendentale ha occupato un po' tutto e ora sta venendo fuori che
un'unità europea di intenti, di progressi, di movimento in verità non
c'era e che il cuore del progetto europeo era guidato da un forte
neoliberismo e da solidi interessi settoriali, da una gerarchia forte
degli Stati, da forti interessi finanziari. Ecco io credo che si debba
uscire da questo circolo e si debba cominciare a guardare all'interesse
delle persone, dei cittadini, dei lavoratori, ponendo sotto maggiore
controllo i capitali e le istituzioni finanziarie. E che si debba anche
cominciare a pensare seriamente alle ineguaglianze che esistono nel
nostro vecchio continente".
Federico Simonelli