La donna delle stelle

Emanuela Pompei è un’astronoma italiana che lavora in Cile, all’osservatorio dell’Eso di Paranal, deserto di Atacama, dove il cielo è sempre sereno e si può osservare meglio lo spazio.

01/12/2010
Emanuela Pompei, nata a Roma 42 anni fa, ha conseguito una laurea e un dottorato di ricerca in Fisica, con specializzazione astronomica. Studia in particolare i gruppi compatti di galassie. Quasi la metà degli astronomi nel suo settore sono donne.
Emanuela Pompei, nata a Roma 42 anni fa, ha conseguito una laurea e un dottorato di ricerca in Fisica, con specializzazione astronomica. Studia in particolare i gruppi compatti di galassie. Quasi la metà degli astronomi nel suo settore sono donne.

Emanuela Pompei proprio non capisce perché gli amici considerino il suo un lavoro da marziana. Eppure (non ce ne voglia l’interessata), qualche motivo ci sarebbe. Trascorre metà dell’anno a 2.600 metri d’altezza, in mezzo a non più di 150 persone nel deserto di Atacama in Cile, avendo la città più vicina a 200 chilometri; persino l’acqua potabile viene trasportata lì con autobotti, due volte al giorno. Lavora di notte e dorme di giorno (e in certi periodi dell’anno le notti di lavoro durano 14-15 ore). Il suo mestiere è studiare il cielo, e la sua specializzazione sono le galassie.

Emanuela Pompei è un’astronoma italiana che dal 1999 conduce le sue ricerche scientifiche in Cile, prima a La Silla e ora a Paranal, in quello che al momento è considerato l’osservatorio terrestre più avanzato al mondo. Sono i due siti di osservazione del cielo costruiti e utilizzati in Cile dall’Eso, l’Organizzazione europea per la ricerca astronomica nell’emisfero australe. Perché il deserto del Cile? «Perché il cielo è perfetto», risponde. «Oltre 300 notti serene l’anno, l’aria è secca, trasparente, non piove, non c’è inquinamento luminoso». Lo ricorda sotto la pioggia di Genova, dove è stata invitata per il Festival dell’eccellenza al femminile, una manifestazione che ha mobilitato 25 mila ascoltatori.

Quando è nata la passione per le stelle?
«A otto anni. Fu colpa di mia madre: mi piaceva molto leggere e per Natale mi regalò una cassa di libri. Mi ci tuffai, e fui catturata da un volume: Alla scoperta dei pianeti e delle stelle. Dichiarai che avrei fatto l’astronoma e non cambiai mai idea. Sui manuali per bambini studiavo la costruzione dei cannocchiali e ne misi insieme uno con tubi di carta igienica. Alle medie facevo esperimenti con le linee di campo magnetico, folgorando metà dell’impianto elettrico di casa. Poi, con i miei risparmi, a 15 anni mi comprai un telescopio. Dopo la laurea in Fisica a Roma, seguii il dottorato di ricerca a Trieste, sempre in fisica con indirizzo astronomico, e passai due anni all’Ohio State University. Con una borsa post dottorato, nel ’99 andai in Cile; due anni dopo mi assunsero come astronomo residente».

Aveva pensato di dover lavorare all’estero?
«Io volevo proprio andare a lavorare lì, perché era il più grande osservatorio europeo, con i grandi telescopi. Come astronomo residente dell’Eso, dopo essere stata a La Silla mi mandarono a Paranal. Era impegnativo, l’osservatorio stava prendendo il volo allora. Fino a qualche tempo fa, a Paranal ero responsabile dello strumento Naco: è una camera e spettrografo, che permette di avere una qualità di immagini simile a quella che si ottiene al di fuori dell’atmosfera terrestre. In futuro mi dovrei occupare di un enorme spettroscopio che arriverà a fine 2011 in Cile, il Muse».

Qual è la sua specializzazione di ricerca?
«Il mio particolare interesse sono i gruppi compatti di galassie. Sono associazioni di poche galassie, non più di otto, ma molto vicine tra loro in cielo. Si muovono, le une rispetto alle altre, con una bassissima velocità relativa, e secondo gli studi di dinamica classica questo farebbe supporre che interagiscano tra loro e si distruggano in un tempo cortissimo, astronomicamente parlando. Invece sembra che non abbiano nessuna voglia di farlo, e non se ne capisce il perché».

Siamo soli nell’universo?

«Statisticamente è improbabile: solo nella nostra galassia ci sono un milione di miliardi di stelle. Difficile che siamo soli. Però non abbiamo evidenze osservative che da altrove siano venuti sulla Terra, né che ci siamo incontrati e probabilmente non ci incontreremo nemmeno in futuro».

Sono molti gli astronomi italiani espatriati?
«Sono tanti, tanti. Molti lavorano in Europa, dove osservatori non ce ne sono, però ci sono centri di ricerca da far bramare di desiderio. Si va via non solo per lo stipendio, ma perché si trovano i fondi per fare ricerca, è più facile andare avanti, non si deve litigare per avere mille euro per un viaggio. In Italia tutto è troppo pesantemente burocratico. Io vorrei tornare, ho provato con tante domande a concorsi, però ogni volta avevo mal di stomaco, dovevo passare tre giorni a preparare le carte. Io e mio marito ci siamo arresi».

Anche suo marito è scienziato?
«Sì, è un fisico delle alte energie. Siamo sposati da 11 anni. Lui lavorava tra Germania e Stati Uniti, e per 5 anni ci siamo rincorsi attraverso il mondo. Poi ci siamo stufati. Ha trovato lavoro in Cile, all’Eso, si è convertito in astronomo, e per 9 anni abbiamo vissuto insieme a Santiago. Da poco è nella sede centrale in Germania. Negli Usa, nelle interviste di lavoro è normale dire: “Mio marito sa fare questo; per me è importante risolvere il problema familiare”. Loro prendono in considerazione l’argomento: se ci tengono ad avere una persona, trovano o creano un posto per il partner. In Europa non è così. Però le famiglie esistono, è inutile ignorarle».

Rosanna Biffi
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