Un incubo chiamato spread

Il debito pubblico italiano, i titoli di Stato e la ricetta per non precipitare nel baratro: a colloquio con l'economista Luigi Campiglio

15/11/2011
Luigi Campiglio.
Luigi Campiglio.

Di fronte alle vertigini del debito pubblico italiano, una montagna di 1.900 miliardi di euro che rischia di esplodere e mandare l’Italia in bancarotta, l’economista dell’Università Cattolica Luigi Campiglio ha lo stesso atteggiamento di una guida alpina: «Possiamo farcela. Noi siamo già stati qui». – Qui dove, professore? «L’Italia è già salita sulla cima del 120 per cento di debito in rapporto al Pil. È accaduto nel 1995. E sa perché allora nessuno ci ha fatto caso e oggi siamo terrorizzati?».

– No, perché?
«Perché nel 1995 la quota di titoli di Stato in mano a risparmiatori italiani era pari all’80 per cento. Se lo ricorda il popolo bot people? Oggi questa percentuale è scesa al 50 per cento. Il resto è in mano a investitori stranieri: fondi di investimento, banche internazionali, fondi sovrani esteri...».

– Tra il 1995 e oggi c’è la globalizzazione...
«Esattamente, entrano in ballo acquirenti stranieri che ragionano con logiche diverse dai bot people. Comprano pigiando un bottone, a distanza di decine di migliaia di chilometri da Piazza Affari. Prendono decisioni fulminee che viaggiano sui computer. La volatilità dei nostri titoli diventa altissima».

– E così l’Italia si ritrova sull’ottovolante dell’ormai famigerato spread, il differenziale tra il rendimento dei titoli italiani e quelli tedeschi, considerati un punto di riferimento per affidabilità. Più è alto lo spread meno affidabili sono i nostri titoli. Nel 1995 lo spread fu notevolmente più basso.
«Perché allora, trascurando la crisi di credibilità sui mercati, il debito pubblico in fondo era una stratosferica partita di giro da italiani a italiani. Si poteva discutere sull’equità di una situazione che gravava sui cittadini meno abbienti (costretti a pagare le tasse anche per quegli altri cittadini che si potevano permettere di acquistare i titoli di Stato e incassarne i dividendi). Ma la faccenda, per così dire, rimaneva in Italia».

– Se le contrattazioni rimangono in Italia i titoli sono più affidabili?
«Sì. Tanto è vero che in Giappone, che ha il 220 per cento di debito in rapporto al Pil, nessuno pensa a un fallimento, anzi i titoli sono molto richiesti. I giapponesi infatti possiedono il 90 per cento dei titoli. In Italia lo Stato paga circa 75 miliardi di euro di interessi sul debito, il 4,5 per cento del Pil; la metà di questa enorme somma non resta nella disponibilità delle famiglie italiane, ma va a remunerare banche e fondi di investimento stranieri. Quando aumentano i possessori stra- nieri il debito è più difficile da governare».

– Perché oggi l’Italia rischia di implodere?
«L’anno prossimo, in febbraio e in marzo, andranno in scadenza 300 miliardi di euro di titoli italiani. Per remunerare gli investitori di solito si ricorre a un’altra asta. Siamo sicuri che l’asta trovi acquirenti?».

– Perché la situazione è precipitata?
«La speculazione ha individuato un punto debole con la Grecia. C’è stato un effetto a catena in Europa. Dopo l’Italia potrebbe toccare alla Francia. Nessuno può dirsi al sicuro».

– Che impatto ci può essere per le famiglie?
«Se il rendimento dei titoli aumenta bisognerà pagare maggiori interessi, passando da 75 miliardi, mettiamo, a 90 miliardi. Quei 15 miliardi chi li paga? Le famiglie, con nuove tasse o con meno servizi offerti dallo Stato. Ci sono le conseguenze sui mutui. L’accesso al credito è sempre più difficile perché le banche non si fidano a prestarsi denaro tra di loro. Avere un mutuo è diventato più difficile, le restrizioni poste dalle banche sono più severe e le giovani coppie ci rinunciano. Il credito, inoltre, costa di più, e le rate del mutuo aumentano».

– Aumenterà l’inflazione?
«L’inflazione è già aumentata, anche per la spinta inflazionistica dell’aumento dell’Iva. Inoltre gli stipendi pubblici sono bloccati per tre anni. Se l’inflazione è al 3 per cento, vuol dire che fra tre anni subiranno una perdita del potere di acquisto del 9 per cento».

– Un economista al governo come Mario Monti può farci uscire dalla crisi?
«Monti può far bene. È una figura che può dare fiato al bilancio statale e controllare una situazione sfuggita di mano a tutti».

– Quale deve essere la ricetta tecnica per uscire dalla crisi ed evitare il fallimento?

«Nonostante la profezia dei Maya non cre credo che il 2012 sarà l’anno della bancarotta. Per l’Italia è un’ipotesi remota. Anche perché ai creditori, ovvero ai possessori di titoli, non conviene che il Paese fallisca. Certo, dobbiamo superare gli scogli delle aste di febbraio e marzo. Ma poi la strada è in discesa».

– Qual è secondo lei la ricetta di politica economica per uscire dalla crisi?

«Innanzitutto bisogna ristabilire la circolazione del sangue nel corpo finanziario italiano. Il sistema del credito rischia l’infarto, le banche, se si attengono ai vincoli di solidità patrimoniale, fanno fatica a prestare soldi e ciò si riflette su imprese e famiglie. Bisogna iniettare fiducia, non solo ai creditori e alle banche, ma a tutto il Paese. Occorre un sistema fiscale che non si accanisca sulle famiglie. Solo così si creano le condizioni per lo sviluppo e l’occupazione. Dobbiamo restituire al sistema equità, non solo per ragioni morali. Se non rimettiamo le famiglie nelle condizioni di recuperare potere d’acquisto l’economia italiana non ripartirà mai».

Francesco Anfossi
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Postato da Vincenzo Alias Il Contadino il 16/11/2011 12:29

Governo tecnico serve o sarà default? Mi chiedo a che cosa serve a sprecare centinaia di miliardi per fare vegetare la Ue ed euro gia morto? Purtroppo era prevedibile che succedesse, visto che il trattato ci ha spremuto come un limone e in un colpo solo gli speculatori ne hanno fatto target rastrellando centinaia di miliardi a scapito dei cittadini che da soli non possono difendere senza emettere la loro moneta e quell’eurotreno partito da Maastricht è giunto al Capolinea ed occorre ridare fiducia agli Stati aderenti di poter emettere la loro moneta che come le negate“Radici Cristiane”anche la Lira e Bandiera è parte integrante di un Popolo ecco perché è deragliato poiché senza amore:euro scettici per mancanza di Patriottismo e l’eliminazione delle Frontiere ci ha reso per niente Liberi sì,ma schiavi e di circolare visti il flusso che George afferma:“Gli immigrati sono linfa vitale per il Paese, ma dimentica che mio nonno nell’800 emigrò negli States ricevuti con una certa dignità.Nel dopo guerra e anni ‘60 si emigrò verso al Nord e in Europa a fare gli stessi umili lavori che altri rifiutavano perché paesi Ricchi:infatti, da orfano con fratello da crescere dovevo arrabattarmi a fare tre lavori per sopravvivere. Invece, Niki dimentica che quella”linfa”dormiva sotto Tor di Quinto regalando pure il titolo di Cavaliere a Veltroni e Niki a fare il solone,mentre queste esseri umani vivevano nelle campagne di Foggia, sotto tende nel fango per soli 5€ il giorno. L’euro ci doveva fare vivere bene invece,vediamo ceppi alle auto e case,mentre le banche incassano aiuti dalla Bce?Insomma,la Confindustria e Stato Enti Locali che dovevano investire con debiti a favore di infrastrutture si creano”indignati Tav,Mose e Ponte considerati lavori”monumentali?Perché il Colosseo,la Torre di Pisa e Duomo non portano ricchezza”per aumentare pensioni e salario per fare circolante e Pil? Così i professori bacchettano e spremono i cittadini rastrellando le ultime monete sfonda tasche?Chi vivrà vedrà: io da contadino vi dico che,Ue ed euro è default!Ora la colpa Italiana chi addebitarla se non a Fini,Casini e Pd che in questi 3 e mezzo non hanno avuto un sussulto di patriottismo e bloccando assalti inutili al premier da parte di certe indegne procure?Oggi tutto va bene e il battaglio mediatico sparito?Io non ci sto,di certo al seggio come quel 40%,annullerò il mio voto visto l’abolizione dell’Art. 1. http://vincenzoaliasilcontadino.ilcannocchiale.it/post/2698985.html http://www.ilgiornale.it/cronache/mario_monti_il_prof_fa_flopnon_convince_neppure_blogger/voices_from_the_blogs-mario_monti-default/15-11-2011/articolo-id=557073-page=0-comments=1

Postato da Libero Leo il 15/11/2011 22:49

Luigi Campiglio con la frase “Se non rimettiamo le famiglie nelle condizioni di recuperare potere d’acquisto l’economia italiana non ripartirà mai” in sostanza dice che bisogna incrementare i consumi aumentando il potere d’acquisto delle famiglie, cioè dei consumatori. E’ la ricetta tradizionale, che ultimamente non ha funzionato e che difficilmente funzionerà nell’attuale contesto economico globale. Il problema dell’Italia, dopo il boom postguerra, è sempre stato la carenza di competitività. In passato si poteva rimediare con la svalutazione della lira. Oggi non possiamo più svalutare e riacquistare competitività. Bisogna tenere presente che il bilancio dello stato è rigido. Perciò, se si aumentano i consumi con sgravi fiscali o con aumenti salariali, la competitività diminuisce ulteriormente ed aumenta la disoccupazione. Qualcuno potrebbe dire: “ma le nostre aziende, in seguito all’incremento dei consumi, aumentano la produzione”. Non è detto. Probabilmente vendono di più in Italia, ma di meno all’estero. Dell’aumento dei consumi beneficiano anche tutte le aziende straniere che esportano in Italia. Bisogna trovare una soluzione che favorisca la produzione italiana attraverso la diminuzione dei costi di produzione. Il primo provvedimento da assumere non è l’incremento dei consumi, ma l’incremento della produttività, a cui seguirà l’aumento delle esportazioni, dell’occupazione, del potere d’acquisto e dei consumi. Come fare ad aumentare la produttività senza gravare sul bilancio dello stato? 1) Togliere tutti i lacci e lacciuoli burocratici che aumentano considerevolmente i costi soprattutto delle imprese mediopiccole, avviliscono l’attività imprenditoriale e ne scoraggiano l’iniziativa. 2) Abolire tutte le elargizioni e favori concessi in passato a determinate grandi aziende, tra le quali le grandi cooperative che non hanno più quasi nulla di cooperativistico, pagano poche imposte ed operano spesso in regime monopolistico. Le maggiori entrate, che sono stimate molto elevate, si possono indirizzare o alla diminuzione del debito o alla diminuzione delle imposte che gravano sulle imprese aumentandone ulteriormente la produttività. 3) Eliminare gli sprechi ed i monopoli comprendendovi anche l’INPS. 4) Vendere il patrimonio pubblico non usato o non adeguatamente produttivo 5) Diffondere una sana cultura aziendale. Oggi è ancora molto diffusa la cultura che vede l’azienda come una “mucca da mungere” il più possibile, non come una preziosa fonte di ricchezza da preservare ed aumentare. Gli imprenditori ed i riccchi spesso sono ancora visti come padroni sfruttatori. Finchè permarrà questa vecchia cultura conservatrice il motore produttivo dell’Italia non girerà a pieni giri e non produrrà il benessere che potrebbe produrre. In sostanza dobbiamo disintossicarci dalla cultura che porta al contrasto (la vecchia lotta di classe) ed all’invidia, più che alla collaborazione ed alla coesione sociale. Gli avversari non sono più i padroni, ma le aziende estere che hanno una maggiore produttività e che ci mettono in difficoltà. E le si può contrastare solo aumentando la nostra produttività. Solo così gli imprenditori italiani saranno incoraggiati ed apprezzati in Italia e non avranno più né voglia né convenienza ad andare all’estero.

Postato da luciocroce il 15/11/2011 21:11

In passato i mercati finanziari reagivano quasi solo alle notizie economiche; nell'epoca della globalizzazione e di fronte ad una crisi del debito pubblico che riguarda diverse nazioni, i mercati prestano particolare attenzione anche alla vita politica di un paese; perchè? Perchè vogliono salvaguardare i loro capitali prestati, per cui la differenza di interesse richiesta per sottoscrivere i titoli dell'Italia piuttosto che della Germania, ad esempio, ( il famigerato spread, circa 5 punti attualmente) è il premio assicurativo che applicano: tanto più elevato quanto più inadeguata l'attività di politica economica di un paese; potrà essere giusto o meno, ma così funziona il "sistema di mercato"! E gli operatori finanziari pretendono risposte chiare e rapide; l'attività del governo italiano, invece, è stata da tempo percepita come l'esatto opposto: lenta e di difficile comprensione, comunque incapace di affrontare veramente i problemi del Paese. Per cui negli ultimi mesi si è diffusa la quasi certezza che l'Italia, con il passar dei mesi, sarebbe arrivata ad un punto in cui non sarebbe stata capace di onorare il suo debito pubblico; e quale è stata allora la reazione degli operatori finanziari, quelli esteri in particolare? Hanno cominciato a disfarsi dei titoli italiani e a sottoscriverne di nuovi con riluttanza, anche in presenza di tassi elevati, preferendo paesi più affidabili. Era inevitabile venirsi a trovare in questa situazione? No, perchè se si fosse intervenuti per tempo, con misure concrete e non con pannicelli caldi - è di oggi pomeriggio un'analisi puntuale della Banca d'Italia sui provvedimenti adottati durante l'estate dal governo - prima che la sfiducia sull'Italia si ampliasse, non ci troveremmo ora sull'orlo del baratro. Poteva essere un proponimento condivisibile quello di non mettere le mani nelle tasche degli italiani, anche se nel nostro Paese ci sono tasche nelle quali il governo le mani avrebbe dovuto invece metterle!; non essendosi però dimostrato capace di razionalizzare la spesa pubblica, mettere una volta le mani nei mesi scorsi avrebbe evitato di doverle mettere ora, non una ma più volte. Invece, si è ripetuta stancamente la tesi della ormai avvenuta "messa in sicurezza dei conti", negando l'evidenza fino a pochi giorni or sono. A questo punto che fare? Ora è divenuto inevitabile rassegnarsi ad accettare un governo tecnico, che dovrebbe riuscire a fare quello che non è stato capace di fare il precedente governo: salvare il Paese, avendo presente che un default dell'Italia avrebbe gravi conseguenze per l'intera Europa (e questo spiega le loro interessate apprensioni) . Suonerebbe quindi davvero ridicolo - se il momento non fosse tragico - il ritornello continuamente ripetuto dalla galassia mediatica che fa capo all'ex Presidente del Consiglio, secondo cui ci troveremmo di fronte ad un vulnus della democrazia, addirittura ad un colpo di Stato, perchè questo sarebbe l'ultimo parlamento eletto dai cittadini italiani e che saremmo stati commissariati da "un personaggio" che appartiene alla lobby delle banche ed è stato indicato non certo per salvare l'Italia, ma per garantire oscuri gruppi di interesse internazionali. Come si fa a dire scempiaggini del genere? Che le dicano i vari Bossi, Borghezio, Calderoli è comprensibile: loro auspicano - lo hanno detto chiaramente - che l'Italia fallisca per poter poi più agevolmente portare avanti il loro progetto secessionistico; ma gli altri...? Se abbiamo a cuore la salvezza della nostra Nazione - obiettivo che dovrebbe stare a cuore a tutti, destra sinistra e centro - è necessario accantonare, almeno temporaneamente, gli interessi di parte: il governo Monti potrebbe essere l'ultima chance. La vera macelleria sociale si avrà se faremo la fine della Grecia e andare ora alle urne faciliterebbe questo terribile sbocco; senza contare che, se scegliessimo di votare ora, non ci sarà riduzione dei parlamentari e dei loro compensi nè eliminazione delle provincie: non è che chi invoca le elezioni lo fa anche avendo in mente questi obiettivi?

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