Meloni: non è un Paese per giovani

Intervista con il ministro: «In Italia la precarietà è l’unica certezza che hai. Nel lavoro ma anche negli affetti».

21/04/2010
Il ministro della Gioventù Giorgia Meloni.
Il ministro della Gioventù Giorgia Meloni.

Giorgia Meloni ci accoglie in jeans e maglioncino nel suo ampio ufficio proprio di fronte a Palazzo Chigi, sede del ministero della Gioventù. «Ho voluto cambiare il nome», esordisce, «perché la dizione “politiche giovanili” faceva pensare a qualcosa di nicchia, tipo politiche del tempo libero».

Ministro Meloni, oggi ci si sente giovani anche a quarant’anni. Per lei chi è un giovane? 
     «Sul piano anagrafico si è giovani fino a trent’anni. Ma dobbiamo fare i conti col sistema Italia, dove la fine della gioventù, cioè la conquista dell’autonomia e della capacità di pensare a sé stessi, è spostata in avanti. In Italia sei anagraficamente giovane a 25 anni, ma sei un giovane avvocato a 35. Io sono stata considerata un fenomeno perché a 29 anni sono en\trata in Parlamento, ma a trent’anni Alessandro Magno aveva già conquistato tutta la Persia».

Quindi, si è “bamboccioni” per necessità e non per scelta?
      «Quando il ministro Brunetta ha chiesto una legge per imporre ai diciottenni di uscire di casa gli ho risposto che, se li pagava lui, la legge non serviva. Il problema è che oggi un giovane laureato, con due master, che parla tre lingue, si vede offrire un contratto a tempo determinato da 15 mila euro lordi l’anno, una cifra con la quale non puoi fare una vita dignitosa fuori dal nucleo familiare».

In Italia ormai la parola giovane sta diventato un sinonimo di precario?

      «Purtroppo, è vero. Non solo nel lavoro, ma anche negli affetti, nel rapporto con sé stessi, nelle responsabilità. L’incertezza diventa l’unica certezza che hai. Detto questo, non sono convinta che sei precario perché non hai un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Magari, è più precario un giovane con un contratto di lavoro a tempo indeterminato in una piccola società sottoposta ai capricci del mercato. Il problema è che oggi, con un contratto a termine, hai meno garanzie e il mutuo te lo sogni».

I giovani di oggi rischiano di stare peggio dei loro genitori?
      «Non rischiano, stanno proprio peggio. Questa è la prima generazione nella storia della Repubblica italiana che eredita una realtà e una quotidianità peggiori rispetto a quelle ereditate dai propri padri».

Non le prende lo sconforto?
      «Certo, non è consolante, ma sono convinta che a volte nelle difficoltà esca il meglio delle persone. Ci sono elementi che rendono questa nostra epoca molto interessante. Siamo la prima generazione di massa europea, che può viaggiare con velocità e a basso costo. Possiamo imparare altre lingue, usanze e arricchire il nostro bagaglio culturale con una facilità che ai nostri padri non era consentita. Abbiamo Internet, e la familiarità con i nuovi strumenti della comunicazione può fare la differenza».

Per una ragazza è tutto più difficile?
      «Sì, siamo ancora una società arretrata, che carica sulle spalle delle donne la responsabilità della famiglia. E a parità di condizioni le donne vengono discriminate. Abbiamo buone leggi di tutela, ma non bastano perché si tratta di una questione culturale».

Il suo è un ministero senza portafoglio, quindi lei deve aspettare la “paghetta” del ministro dell’Economia Tremonti. Come fa?
      «In questo Governo aspettiamo tutti la “paghetta” di Tremonti, anche colleghi con deleghe molto più pesanti delle mie. Ci confrontiamo con una crisi economica difficile e Tremonti non vuole lasciare altri debiti per il futuro, la sua è una scelta che condivido. Ma alla fine i soldi li tiriamo fuori grazie alla collaborazione con altri ministri e grazie anche ai fondi europei. Investiremo diversi milioni di euro per il sostegno ai lavoratori precari. E, anche se decurtato, ci sarà un fondo per le politiche giovanili».

Lei cominciò a fare politica a 15 anni, che cosa direbbe a una quindicenne di oggi?
      «Non puoi dire che tutto fa schifo se poi non hai il coraggio di metterci la faccia, rimboccarti le maniche, impegnarti in prima persona. Io mi sono iscritta al Fronte della gioventù nel 1992 con la voglia di combattere contro una classe politica che consideravo oligarchica e partitica, però vedevo nella politica la forma più bella di impegno».

Di che cosa va più fiera da ministro?
      «Di due cose. Primo: aver coinvolto tutto il Governo sulle politiche giovanili facendo capire ai miei colleghi l’impatto delle nostre scelte sulle generazioni future. Secondo: la legge sulle comunità giovanili. Partendo da realtà già esistenti come gli oratori abbiamo creato spazi di aggregazione gestiti da giovani sotto i 30 anni, dove fare teatro, musica, sport, formazione professionale, dibattiti».

Che farebbe con un bel “tesoretto” da parte?

      «Se avessi qualche miliardo di euro da investire farei una politica seria di protezione della maternità e di incentivo alla natalità. Partirei dal quoziente familiare per costruire un sistema dove i figli non siano più un lusso. Su questa materia nella scorsa legislatura presentai una proposta di legge da tre miliardi di euro all’anno, ma oggi questi soldi non li abbiamo».

Roberto Zichittella
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