Gianfranco Ravasi: nel cortile dei gentili

Il cardinale, presidente del Pontificio consiglio per la cultura, terrà una serie di incontri voluti dal Papa con intellettuali atei. Per far cadere i muri tra fede e scienza.

07/02/2011
Il cardinale Gianfranco Ravasi.
Il cardinale Gianfranco Ravasi.

Credere è difficile, ma essere atei non lo è da meno. C’è qualche motivo perché atei e credenti si confrontino sulle loro reciproche difficoltà, sui loro pensieri, parole, opere e scelte, in modo che forse possano trovare armonia di argomentazioni senza rinunciare ognuno alla propria identità? Oppure devono continuare a vivere su sponde differenti, ignorandosi o peggio lanciandosi anatemi? La sfida è davvero straordinaria e i risultati lo possono essere altrettanto. La sfida l’ha lanciata Benedetto XVI poco più di un anno fa nel discorso alla Curia romana: «Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea. Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di cortile dei gentili».

Adesso quel cortile apre le porte a Parigi alla fine di marzo, quando intellettuali agnostici e credenti daranno vita al confronto. Ma altri “cortili” si costruiranno in Europa, nelle Americhe, forse anche in Africa e in Asia per iniziativa del Pontificio consiglio della cultura, presieduto dal cardinale Gianfranco Ravasi, uno che di dialogo con intellettuali fieramente laici se ne intende.

Eminenza, cos’è questo cortile?
«Il luogo di un incontro, ma anche una metafora. Credenti e non credenti abitano la stessa terra e vivono nelle stesse aule delle università. Ma c’è il rischio che si isolino nel proprio recinto sacrale o laico, ignorandosi se va bene, o prendendosi a sberleffi nella maggior parte dei casi. Allora bisogna trovare uno spazio comune, abbattere muri di separazione nella cultura e negli atteggiamenti. Noi ci vogliamo provare».

Volete convertire gli atei?
«Assolutamente no. Non c’è alcuna attesa di conversioni, né di inversioni di cammini esistenziali di alcuno. Vogliamo solo proporre un dialogo che eviti il vuoto, gli stereotipi, la banalità. Le voci possono essere anche agli antipodi, ma devono saper creare armonia e migliorare la qualità del dibattito culturale, cioè la vita di tutti».

Lei ci ha già provato a Milano quando era a capo della Biblioteca Ambrosiana. L’ha suggerita lei l’idea al Papa?
«No. Il Papa viene da una cultura, quella tedesca, dove la teologia è considerata scienza a tutti gli effetti e in Germania un cortile è stato sempre aperto. Ma ha visto che purtroppo, in Europa soprattutto, tra laici e cattolici il linguaggio è sempre più autoreferenziale. Se manca il dialogo non si va da nessuna parte».

Però lei ci aveva provato?
«Sì e devo ammettere che a Milano negli anni passati si è fatta qualche prova di cortile dei gentili. Metà dei miei amici non sono credenti. Continuo a discutere anche a Roma al Pontificio consiglio con laici come Giulio Giorello e Umberto Eco».

Perché la Chiesa fatica a discutere, nonostante il Concilio?
«Dobbiamo ammettere che anche la Chiesa ha contribuito a erigere muri, o almeno siepi, di separazione. Credo per unmalinteso senso di autoprotezione o di autodifesa».

Ma anche i laici hanno concimato siepi...
«Sì. La teologia non èmai stata considerata un pensiero rigoroso, come filosofia o scienza. La cultura cattolica è ritenuta più fluida e meno consistente dal punto di vista del metodo e dei paradigmi rispetto a quella laica».

Davvero gli intellettuali laici sono tutti fieramente anticlericali?
«No. È una convinzione sbagliata che nasce dal radicarsi di quello che io chiamo “ateismo nazional-popolare”, rappresentato da associazioni e personaggi pittoreschi, intellettuali da salotto televisivo. Lì volano gli schiaffi e gli sberleffi e tutto fa la gioia dei fondamentalisti in entrambi gli schieramenti».

Scienza e teologia possono incontrarsi?
«Vedremo. Io dico che scienza e teologia non hanno statuti conflittuali, ma sono incomparabili, procedono su due binari, magari paralleli, perché usano metodi differenti. Qualcuno sostiene che i binari non si incontreranno mai, qualche altro che è inutile procedere. Io dico che gli scambi sono possibili».

Anche se la Chiesa propone valori non negoziabili e viene accusata di imporre visioni etiche blindate?
«La fede deve sempre saper dare ragione di sé stessa, deve depurarsi di ogni rigidità, deve conoscere in modo puntuale e preciso il livello scientifico del dibattito, soprattutto su questioni delicate come quelle bioetiche. Non si può più far finta di sapere qualcosa e poi imporre un proprio sistema etico punto e basta. La stessa cosa deve fare la scienza, accettando l’orizzonte della trascendenza».

E chi non crede?
«Va rispettato. Ma il vero ateo non è mai sprezzante, sarcastico o dissacratorio. Così come il vero credente evita la scorciatoia del devozionalismo».

Non c’è il rischio che nel cortile si rinunci alla propria identità per quieto vivere? «L’obiezione è diffusa e seria. Per un autentico dialogo vanno esclusi gli estremismi e gli integralismi, ma va evitato anche il sincretismo ideologico che porta alla definizione di un minimo comune denominatore, che non serve a nessuno. Si possono scoprire consonanze anche in contributi differenti che rimarranno sempre tali. La cosa importante è suscitare la ricerca attorno, in definitiva, alla questione di Dio, che potrà anche rimanere sconosciuto e ignoto alla fine per molti, ma sul quale nessuno è autorizzato a negare che ci si debbano porre domande».

Alberto Bobbio
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Postato da Franco Salis il 05/02/2011 08:26

Non ho il testo del discorso del Papa alla curia romana. Però ho sentito, in TV al di fuori di un qualsiasi contesto, il Papa dire che “ il dialogo” non è possibile. Non mi sono scandalizzato perché per me è ovvio che sia così. Il dialogo implica il dono totale di sé (e non solo di pensiero) all’altro. Ho rilevato più volte il Papa dire alcune cose che poi venivano rettificate direttamente o indirettamente. Anche questo fatto non desta scandalo, proviene da una cultura diversa (tedesca, dice il cardinale). Ma se stesse più attento non farebbe male. Perché aprire ai preti che vogliono contrarre matrimonio e chiudere ai laici che chiedono l’annullamento del matrimonio?Io ho amici sacerdoti che hanno ottenuto la dispensa, ma non vogliono parlarne per le troppe sofferenze cui sono stati sottoposti dai loro vescovi. Forse quindi si tratta di non abusare del termine “dialogo” e parlare semplicemente di sereno e sincero confronto. Successivamente lo stesso cardinale usa secondo me più correttamente il termine di “discutere”. Al di là dell’uso del termine “dialogo”, e considerati i confine che nell’ultimo capoverso indica, non mi sembra che sia cosa di poco conto. Pensate che cosa sarebbe il mondo se tutti prendessero il "vizio" di non dico “dialogare”ma semplicemente di discutere cercando gli uni le ragioni degli altri? Una ultima considerazione: io resto contrario ai “cortili”.Questo stile dovrebbe costituire l’ossatura di tutta la Chiesa a tutti i livelli sia orizzontali che verticali, soprattutto in senso ascensionale. Ma in fondo si vuole far questo: benissimo. Auguri, buon lavoro e buona giornata.

Postato da Andrea Annibale il 04/02/2011 11:59

Sono cresciuto in una famiglia di atei (eccetto mia zia paterna che era cattolica) e credo molto nel dialogo con gli atei. Molti atei sono convinti che si arrivi alla fede come credenza nei miracoli, ma questa convinzione è erronea. In realtà, nessuno dei credenti del passato e del presente che io conosca arriva alla fede in base all’evidenza di un miracolo. Prima si ha fede, poi si crede alla Resurrezione e tramite la fede si crede ai miracoli. La Bibbia ci interroga con il miracolo più grande che sia avvenuto: Gesù che cammina per le vie del mondo, guarisce, parla. E poi il sepolcro vuoto interroga la nostra razionalità. O il corpo è stato trafugato, o Gesù è veramente risorto come mi pare abbia scritto Vittorio Messori. Io sono stato aiutato molto nel trovare la fede da due autori: C.S. Lewis e Messori stesso. Una bellissima canzone di Sergio Endrigo, titolo “Io che amo solo te”, parla dell’amore terreno ed umano ma è un’allegoria bellissima, a mio avviso, dell’amore per Dio tanto che ho sempre pensato che potrebbe essere la canzone più adatta – tra la musica profana e leggera – alla vocazione sacerdotale. Questa canzone dunque dice: “C’è gente che ha avuto mille cose, tutto il bene, tutto il male del mondo; io ho avuto solo te (ma si potrebbe, appunto, scrivere Te) e non di perderò, non ti lascerò ecc.”. Non conosco essere umano che non creda in nulla, per dare senso a questa valle di lacrime. La fede è nient’altro che l’effetto di un processo di sostituzione di questo “qualcosa” in cui crediamo come esseri umani naturali con un Altro in cui crediamo come uomini di fede. Questo qualcosa in cui anche l’ateo crede è forse rassomigliante a quel “Dio ignoto” che veneravano gli antichi greci. E’ la ricerca, per chi è alla ricerca, di qualcosa che ha valore e sia datore di senso alla vita. Il Dio ignoto degli atei può tuttavia anche essere un culto demoniaco rivolto agli idoli di questo mondo cui ci si sottomette volontariamente. C’è chi però chi dal mondo (nel senso in cui, di spregiativamente, il Vangelo parla di Satana come principe del mondo) non ha voluto, non ha accettato, non ha avuto niente, come dice la canzone allegoricamente interpretata di Sergio Endrigo. Io ho scritto sul mio sito internet una poesia che qui mi permetto di citare intitolata “Quelli che non hanno avuto niente ...” e fa così: Quelli che non hanno avuto niente, tranne una carezza di Dio da bambini/nel battesimo/Quelli che non hanno avuto giochi, dischi e sport di montagna, ma solo la preghiera per loro della Madre di Dio/Quelli che sperano tutto, perché non hanno avuto niente/Quelli che hanno fame e nessuno li nutre/Quelli che sono malati e nessuno li visita, sono forestieri e nessuno li ospita, sono nudi e nessuno li veste/Quelli che amano Dio più di ogni cosa perché non hanno conosciuto la malizia del mondo/E si sono fatti bambini per restare puri, agli occhi dell'ignoto che viene per salutarli, per rigenerarli e per giudicarli, forse giusti chissà ... Questi che non hanno avuto niente non hanno lo stesso destino con chi si è venduto, di chi si è compromesso di chi ha perseguitato. Si può essere in dialogo con gli atei senza voler evangelizzare? Ma certo che sì! Ha pienamente ragione il Cardinale Ravasi. La Ragione illuminista è appunto il terreno, a mio avviso, fecondo di questo dialogo necessario, indispensabile e ineliminabile. Ciao.

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