04/10/2011
Silvio Berlusconi? «Deve dimettersi
punto e basta. Sarebbe la prima volta
che fa qualcosa che giova al Paese».
Monsignor Domenico Mogavero, vescovo
di Mazara del Vallo è uno abituato a
parlare limpido. Si gira in mano i fogli della
prolusione del cardinale Angelo Bagnasco e
spiega: «Tutti aspettavamo parole chiare che
sono arrivate. Certamente la Cei non ha titolo
per chiedere a un presidente del Consiglio
di fare un passo indietro. Ma i singoli vescovi
come cittadini italiani lo possono fare e io sono
un cittadino italiano».
Monsignor Mogavero ragiona di molte cose
della Chiesa e del Paese in un libro-intervista
scritto con il vaticanista della Stampa Giacomo
Galeazzi: "La Chiesa che non tace" (Rizzoli).
Adesso nel suo episcopio di frontiera affacciato
sul Mediterraneo dalle sponde turbolente
e attraversato da una umanità disperata, in
un lungo colloquio riprende il filo dei pensieri,
nella settimana della svolta, delle parole
cristalline del presidente della Cei: «Sì, si avvertiva
un disagio: troppo silenzio a livello
ufficiale, quasi fosse approvazione di comportamenti
che invece la nostra gente sente
come assolutamente impropri».
Bagnasco invece ha spazzato l’orizzonte e
rimesso le cose a posto. Mogavero è soddisfatto
anche perché da ora in poi «sarà difficile
giustificare le coperture che qualche esponente
ecclesiastico ha dato, per altro non richiesto,
al presidente del Consiglio, come se
si dovesse custodire in qualche modo l’uomo
della Provvidenza del terzo millennio». Non
ha alcun timore a usare le parole il vescovo
di Mazara. Ha sempre scelto una parte, «anche
se minoritaria». Osserva con una punta
di orgoglio: «Ho espresso opinioni di cittadino
e non amo nasconderle per convenienze
ecclesiastiche, anzi mi dispiace, per essere ancora
più chiaro, che tanti italiani si riconoscano
politicamente in Silvio Berlusconi».
Ma c’è anche un altro rammarico e cioè il
fatto che «tra i sostenitori più accesi del premier
ci siano dei buoni cattolici». Non si ferma
Mogavero e affonda: «Come uomo Berlusconi
è una grande delusione, perché tratta
la politica e il Paese con il taglio dell’imprenditore
borghese che cura i propri interessi.
Poi c’è il profilo morale dell’uomo, che adotta
comportamenti non certamente esemplari
». Sulle intercettazioni e sui guai giudiziari
sottolinea che «vale per tutti anche per Berlusconi
la presunzione di innocenza». Tuttavia,
visto che si tratta di un politico, «abbiamo
l’esempio di quanto accade all’estero, dove si
fa un passo indietro per molto meno». Mogavero,
in ogni caso, non vuole dare l’impressione
che sia un fatto personale: «Ciò che mi
preoccupa di più, alla fine, non è Berlusconi,
ma il berlusconismo. Temo che resista al leader,
che sopravviva a lui ed è questo che dobbiamo
contrastare».
Lo preoccupa la politica «ridotta a gazzarra
di cortile», dove «manca il confronto anche
duro di opinioni diverse» e tutto diventa
«guerra dove uno deve vincere e l’altro soccombere
». Dove raramente si affrontano le
questioni reali che toccano la vita della gente
e dove tutto viene ricondotto «a situazioni
particolari che riguardano in modo più o meno
indiretto la vita, gli interessi e la sorte
del premier». Mogavero entra nel merito e
non si tira indietro nemmeno sulle Manovre
finanziarie: «Ho perso il conto, come tutti,
ma ciò che avverto è l’assoluta mancanza di
strategia per occupazione e famiglie. Pagano
sempre i poveri, mentre chi evade il fisco, chi porta capitali all’estero è premiato». E non ci
sta nemmeno al gioco dell’indulgenza per
via della crisi internazionale: «Qui rischiamo
di elevare all’altare Berlusconi come martire
della congiuntura disgraziata».
Descrive un Paese depresso, che non si indigna
più, che non alza la voce, che si limita
a sorridere al ministro Brunetta, il quale
«in nome della semplificazione e del risparmio
della carta fa sparire anche il certificato
antimafia per le imprese». Mogavero
adesso è inesorabile e severo: «La criminalità
organizzata ha capito il momento, si camuffa
nelle pieghe della politica e gestisce
affari senza che nessuno più si sconvolga».
E guarda al suo Sud da questo episcopio siciliano,
dove la solidarietà di vicinato ancora
tiene, ma dove «nessuno sembra lavorare
seriamente a livello politico per lo sviluppo
e il progresso».
È una questione di «educazione da rifare
», di «riscatto che deve partire da noi». Lo
demoralizza il fatto che «neppure noi meridionali
abbiamo veramente a cuore le nostri
sorti». Così il Meridione rimane «la palla
al piede del Paese e continua a fare del male
prima a sé stesso e poi all’intera nazione». Insomma, monsignor Mogavero ribalta
l’analisi e le prospettive. Lui non ci sta ad
aspettare, non vuole che si ripropongano le
nefandezze dell’assistenzialismo del passato.
Spiega che anche il federalismo va in
questa direzione: «Divide i buoni dai cattivi,
diventa razzista e selettivo. E ho l’impressione
che il “federalismo solidale” finisca per
dare qualche soldo al Sud, perché stia buono». Adesso alza la voce: «Noi non siamo la
parte peggiore del Paese, abbiamo solo pagato
più di altri e a caro prezzo la connivenza
tra politica e mafia, e un sottosviluppo
democratico, prima che economico, che ha
spazzato via competenze a tutti i livelli, cioè
dei singoli e delle istituzioni».
È l’afasia che lo inquieta, le parole non dette,
le reazioni timide e schive, il «timore di
non uscire allo scoperto» anche dei laici cattolici
che in questa stagione «non brillano
certo per franchezza e audacia». Né basterà,
per correggere, il richiamo di Bagnasco al
“nuovo soggetto” dei cattolici, interlocutore
della politica: «Ho l’impressione che si cerchi
di ricondurli dentro lo steccato, organizzando
una nuova falange offensiva. La tentazione
della scorciatoia del partito unico dei cattolici
è dietro l’angolo, resistere non è semplice». Quel cappello della Cei sulla “cosa bianca”
a Mogavero proprio non piace.
Alberto Bobbio