A Milano la Cina è più vicina

I vent'anni di convivenza tra milanesi e cinesi grazie all'opera della Comunità Sant'Egidio. E dal 2004 al 2008 gli studenti cinesi iscritti alle università sono passati da 600 a 2000.

17/05/2012
La consegna dei diplomi di italiano da parte del professor Giorgio Del Zanna, storico e volontario della Comunità Sant'Egidio.
La consegna dei diplomi di italiano da parte del professor Giorgio Del Zanna, storico e volontario della Comunità Sant'Egidio.

“A Milano, l’esperienza della vostra comunità è un grande e importante esempio di integrazione”, così si rivolge il vicesindaco Maria Grazia Guida al console e ai tanti cinesi che partecipano al convegno organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio per festeggiare i 20 anni di lavoro per l’integrazione dei cittadini cinesi nel quartiere Canonica-Sarpi. Sono anni in cui Sant’Egidio ha visto e vissuto i cambiamenti del quartiere in particolare attraverso la Scuola di Italiano per immigrati e la Scuola della Pace, laboratorio di educazione alla convivenza per bambini cinesi, italiani e non solo. Ed è proprio per quest’amicizia fedele che il console generale Liang Hui ringrazia calorosamente la Comunità. “Abbiamo lavorato in collaborazione e in sintonia con la scuola e molte realtà attive nel quartiere in una prospettiva lontana dal neo-assimilazionsimo, ma nel rispetto della diversità che non va né annullata, né esaltata”, ha detto Elisa Giunipero, storica, sinologa e volontaria della Comunità di Sant’Egidio.

La professoressa Giunipero concorda con l’analisi del vicesindaco Guida : “La forte partecipazione di cinesi ai corsi di italiano e quella sempre più significativa di italiani ai corsi di lingua cinese, la frequentazione dei medesimi luoghi, le occasioni di incontro, le associazioni, rivelano l’esistenza di un tessuto di legami e di lavoro comune tra italiani e cinesi nel quartiere di Via Paolo Sarpi che è forte e va sostenuto. Mostrano soprattutto che in questi anni l’integrazione è decisamente cresciuta e che la realtà del quartiere, in diversi suoi aspetti, è molto più avanti di certe rappresentazioni mediatiche. In particolare, se si guarda ai giovani e ai ragazzi, c’è oggi molta più integrazione di quanto normalmente si pensi”.

A Milano vive circa il 20% dei cinesi presenti in Italia; si tratta della terza comunità di immigrati, dopo filippini ed egiziani, del capoluogo lombardo e della seconda tra gli imprenditori extracomunitari. Spiega il vicesindaco Guida: “L’inserimento della vostra comunità è l’esempio di come l’immigrazione sia una realtà strutturale, che cambia l’abitare urbano, le nostre e le vostre abitudini”. Il quartiere di Paolo Sarpi è infatti caratterizzato da un’antica presenza di immigrati cinesi. Due, tre, o anche quattro generazioni: sono i lao huaqiao, i “vecchi cittadini cinesi all’estero”, cioè coloro che sono arrivati tra gli anni ’20 e gli anni ’80. I discendenti di quel centinaio di cinesi che durante la Prima Guerra Mondiale avevano lavorato in Francia nelle attività logistiche a supporto dell’esercito anglo-francese. Alla fine degli anni ’20, attraversarono le Alpi ed emigrarono a Milano per cercare un lavoro come venditori di cravatte o operai tessili. Così si stabilirono in quello che allora era un quartiere periferico e popolare nella zona Canonica-Sarpi. Ma oggi, questo quartiere, diventato centrale, è soprattutto un “quartiere-vetrina” per i cinesi: con oltre il 90% di residenti italiani, non è un luogo dove i cinesi abitano, ma è per i cittadini cinesi il posto ideale per aprire attività commerciali “etnicamente dedicate”, dove collocare luoghi di svago e di ritrovo e dove aprire sedi di rappresentanza, agenzie, servizi.

Pertanto, sostiene Sant‘Egidio, “il termine Chinatown non è applicabile al contesto milanese ed è fuorviante anche perché in Italia è evocativo di isolamento, chiusura e mistero”. Oggi si tratta di un comunità molto diversificata al suo interno: anche se viene spesso percepita dagli italiani come omogenea e compatta, non lo è affatto. Si parlano dialetti diversi, ci sono importanti differenze economiche, culturali e sociali oltre che per provenienza geografica. Dal 2000, poi, le dinamiche dell’economia globale hanno cambiato anche i flussi migratori cinesi e le attività lavorative avviate nei paesi di arrivo. Il nuovo ruolo della Cina come uno dei principali attori del commercio mondiale ha spinto un numero crescente di migranti a vedere nelle proprie terre di origine delle zone dove de-localizzare la produzione di manufatti, che poi possono essere commercializzati in altri paesi. È il 2004 l’anno in cui a Milano il numero degli esercizi commerciali gestiti da cittadini cinesi supera quello delle attività produttive. Racconta Elisa Giunipero: “Venti anni fa le famiglie che incontravamo lavoravano, per lo più, in laboratori di produzione di manufatti (pelletteria, abbigliamento) in conto terzi, oggi invece c’è una prevalenza di grossisti e commercianti”.

C’è un altro cambiamento decisivo su cui Sant’Egidio pone l’accento. I bambini. Fino alla fine degli anni Novanta, gli alunni cinesi nelle scuole milanesi erano per lo più bambini nati in Cina, in famiglie segnate da una situazione economico-sociale precaria; vivevano prevalentemente nei laboratori in spazi angusti e poco igienici, dove, alle volte, gli stessi minori aiutavano i genitori nell’attività lavorativa. Il lavoro della scuola era pertanto centrato sul sostegno linguistico (italiano L2) a bambini che spesso avevano già iniziato il processo di scolarizzazione nel paese d’origine. Questa generazione di minori ha condiviso le difficoltà della vita di emigrati dei genitori, ma, allo stesso tempo, ha imparato l’italiano e a gestire i diversi codici linguistici e sociali delle due comunità, proponendosi come naturali mediatori tra gli immigrati cinesi adulti e gli italiani. Ora invece la situazione è profondamente mutata. Basta un dato per capirlo: nella scuola del quartiere cinese, in via Giusti, solo il 5% degli alunni stranieri non è nato in Italia, la maggior parte dei bambini stranieri sono “nuovi italiani”.

“Quasi quasi parlano milanese”, racconta la responsabile stranieri della scuola. Anche se la cittadinanza italiana rimane un tortuoso percorso a ostacoli. Al termine del percorso scolastico, che spesso include la formazione superiore, i ragazzi provenienti dalle famiglie più svantaggiate finiscono per seguire il medesimo percorso di vita della prima generazione immigrata. Spiega Elisa Giunipero: “È complesso lo sforzo che i giovani nati in Italia devono fare per conciliare la loro identità italiana con le dinamiche delle attività lavorative della prima generazione. Possono emergere un senso di spaesamento, una sorta di frustrazione per le opportunità perse e conflitti tra generazioni diverse”. Per i bambini nati in Italia provenienti da famiglie più agiate, invece, c’è un percorso scolastico che spesso comprende l’università e in molti casi segue un’attività lavorativa connessa alle opportunità offerte dalla Cina.

A Milano, dal 2004 al 2008, gli studenti cinesi iscritti alle università sono passati da 600 a 2000. Secondo Elisa Giunipero, “in questo quadro, è decisamente più presente un confronto con i coetanei italiani che sempre più guardano anch’essi alla Cina come futuro contesto lavorativo. Nelle università, ad esempio, si nota una tendenza a concepirsi in termini transnazionali: studenti italiani che investono sullo studio della lingua cinese si incontrano con studenti cinesi nati qui o che vengono in Italia a studiare. Questi giovani stanno in qualche modo allentando le divisioni tradizionali tra italiani e cinesi”. Concorda il vicesindaco Guida: “Accanto al riconoscimento della realtà dei piccoli milanesi di passaporto cinese, c’è la necessità che anche i giovani italiani conoscano meglio la cultura cinese. È la reciprocità dell’incontro che deve essere alla base della nostra realtà metropolitana”. Il Comune di Milano, ad esempio, ha assunto degli insegnanti cinesi nel liceo linguistico che gestisce; l’anno prossimo, agli studenti del triennio sarà chiesto di fare attività di volontariato nella scuola elementare del quartiere cinese. Infine, dalla Comunità di Sant’Egidio arrivano due auspici. Da un lato, il riconoscimento della richiesta di maggiore partecipazione alla società, un desiderio di cittadinanza attiva che Sant‘Egidio vede in tanti milanesi con il passaporto cinese. Dall’altro, la speranza che il successo  economico di alcuni cittadini cinesi possa oggi diventare sostegno economico per altri più in difficoltà. Spiega Elisa Giunipero: “In tempi di crisi economica, abbiamo visto crescere anche nella comunità cinese di Milano il divario tra ricchi e poveri, abbiamo incontrato alcuni senza dimora cinesi che vivono alla stazione Garibaldi (cosa che 20 anni fa non c’era), ma abbiamo anche incontrato la disponibilità di alcuni volontari cinesi, soprattutto giovani di seconda generazione, disposti a dedicare gratuitamente parte del proprio tempo e delle proprie risorse per aiutare gli altri”.      

Stefano Pasta
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