"Onu, riconosci la Palestina"

Lo storico passo è stato infine compiuto: Abu Mazen ha presentato ufficialmente all'Onu la richiesta di riconoscimento di uno "Stato entro i confini del 4 giugno 1967".

24/09/2011
New York. Lo storico intervento del presidente dell'Autorità palestinese  Abu Mazen alla sessantaseiesima Assemblea generale dell'Onu, venerdì 23 settembre 2011. Foto Ansa.
New York. Lo storico intervento del presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen alla sessantaseiesima Assemblea generale dell'Onu, venerdì 23 settembre 2011. Foto Ansa.

New York

Che la Palestina diventi all'onor del mondo uno Stato libero e sovrano. Con tanto di seggio alle Nazioni Unite. Un'emozionante standing ovation di ben più della metà dei delegati dei 193 Governi presenti alla sessantaseiesima Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha salutato l’annuncio dato venerdì 23 settembre dal Presidente dell’Autorità palestinese, Mahmoud Abbas (meglio noto come Abu Mazen), con il quale ha reso noto a tutti di aver introdotto presso il Segretario Generale Onu, Ban Ki-moon, la richiesta formale di ammissione a pieno titolo alle Nazioni Unite dello Stato palestinese.

Le negoziazioni di queste ultime ore, le proposte alternative avanzate da diversi Governi, i richiami al dialogo e al compromesso fatti da potenze del calibro di Usa e Ue non hanno impedito al leader palestinese di portare a termine quanto ampiamente annunciato nei giorni scorsi: il popolo palestinese chiede il riconoscimento di uno Stato sovrano e indipendente, a pieno titolo parte della comunità internazionale e delle sue istituzioni, e la totale applicazione della Risoluzione ONU del 4 giugno 1967 con la quale ben 44 anni orsono le Nazioni Unite si erano già pronunciate in favore della soluzione retta dal principio di “due popoli due Stati” quale via di uscita dal conflitto tra Israele e Palestina.

Il leader palestinese, presentandosi come unico rappresentante legittimo del suo popolo e avocando alla Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) il diritto di parlare a nome di esso, ha tenuto un discorso netto: non si torna al tavolo dei negoziati sino a quando il Governo di Tel Aviv non avrà messo fine all’occupazione “colonialista e militare” perpetrata dai coloni attraverso l’espansione degli “insediamenti” nei Territori; non eliminerà il muro costruito sui confini dei due Stati che “separa le famiglie e impedisce l’accesso alle moschee e alle chiese dei fedeli”; non rilascerà i prigionieri politici detenuti nelle sue carceri; non riconoscerà i pieni diritti dei rifugiati palestinesi dentro lo Stato israeliano; non accetterà la sovranità dello Stato palestinese con capitale a Gerusalemme orientale. 


Medio Oriente. La speranza di pace negli occhi delle nuove generazioni. Un ragazzino ebreo davanti alla Knesset, il Parlamento di Israele (foto Ansa).
Medio Oriente. La speranza di pace negli occhi delle nuove generazioni. Un ragazzino ebreo davanti alla Knesset, il Parlamento di Israele (foto Ansa).

Condizioni che, come prevedibile, sono state rifiutate e confutate dal successivo intervento del premier israeliano Benjamin Netanyahu tenuto sempre nel corso della mattinata di venerdì 23 settembre, il quale ha cercato di controvertere le tesi palestinesi appellandosi “alla verità” a suo modo di vedere spesso negata e mistificata da ideologismi imperanti a livello internazionale. Senza successo, e a dire il vero con poco riscontro in platea fatta salva la clack portata appositamente in sala, il leader israeliano ha provato a convincere l’Onu a non piegarsi alla volontà della maggioranza che “può decidere quello che vuole” a prescindere dalla verità dei fatti. L’obiettivo dell’Autorità palestinese, quello di ottenere un supporto morale dalla maggioranza dell’Assemblea Generale Onu, è stato quindi ampiamente raggiunto. 

Ora la scottante questione passa al Consiglio di sicurezza che dovrà deliberare in merito dato che secondo l’ordinamento di Palazzo di Vetro a tale Organo spetta la giurisdizione e la competenza per questa materia. Con la presidenza di turno attualmente detenuta dal Libano e con l’evidenza del parere della maggioranza degli Stati membri, il Consiglio di Sicurezza si trova alle prese con difficoltà non indifferenti: gli Usa e la Francia, infatti, potrebbero esercitare il potere di veto che un’anacronistica regola vigente concede ancora ad essi, per bloccare un voto prevedibilmente a favore da parte della maggioranza dei membri del Consiglio di Sicurezza. 


Medio Oriente. La speranza di pace negli occhi delle nuove generazioni. Un bimbo palestinese prega leggendo il Corano (foto Ansa).
Medio Oriente. La speranza di pace negli occhi delle nuove generazioni. Un bimbo palestinese prega leggendo il Corano (foto Ansa).

Ma così facendo, l’organo decisionale supremo delle Nazioni Unite si schiererebbe palesemente contro la volontà dell’Assemblea generale attirando su di se l’ennesima, forse definitiva, critica di antidemocraticità e l’accusa di essere sotto scacco di alcuni Stati alcuni dei quali, tra l’altro, non detengono nemmeno più il potere internazionale di un tempo in base al quale ottennero il potere di veto e sono sempre più incalzati dalle nuove potenze emergenti, da una coscienza democratica decisamente crescente tra i Paesi Onu, nonché da una consapevolezza e dalla fortissima mobilitazione dell’opinione pubblica mondiale.


Inoltre, sempre a patto che resti nei loro governanti un brandello di responsabilità rispetto alla loro influenza internazionale, questi Paesi nell’esprimere il loro voto non potranno prescindere dal considerare le probabili reazioni violente che un’eventuale bocciatura della candidatura palestinese potrebbe scatenare nei Territori dove già nella giornata di venerdì 23 settembre ieri sono scese in piazza migliaia di persone per manifestare a sostegno dei propri leader convenuti a New York. Questi stessi stati chiamati a decidere della sorte del popolo palestinese sanno bene che lo dovranno fare sapendo di essere sotto gli occhi del mondo intero, e sanno alla perfezione che oggi scontano pesantemente l’aver bloccato per anni una riforma delle Nazioni Unite al fine di mantenere quei privilegi derivanti da assetti vetusti e superati resi ancora possibili dalla inamovibilità dei meccanismi decisionali fondati su regole da essi stessi definite. 


Una ragazzina palestinese e una israeliana giocano insieme a basket.
Una ragazzina palestinese e una israeliana giocano insieme a basket.

Ciò che però resta certo al di la di tutte queste considerazioni e prima di ogni previsione futura, è il diritto di un popolo alla propria autodeterminazione e a “vivere come tutti gli altri popoli”, come affermato da Abbas nel suo discorso odierno; il diritto dei figli di quella terra martoriata da oltre 60 anni a costruirsi un futuro pacifico, indipendente e prospero. Questa passo fondamentale della convivenza e del diritto internazionale oggi ha ricevuto un impulso decisivo che auspichiamo sia anche definitivo.


Poi ci si potrà occupare anche delle legittime e in alcuni casi giustificate richieste di Israele, anch’esso destinatario degli stessi diritti fondamentali che vanno garantiti sempre, a tutti ed ad ogni condizione.

Sergio Marelli, direttore generale della Focsiv
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Postato da METAFISICO il 26/09/2011 03:46

La verità storica. 29.11.1947: Risoluzione O.N.U. per la fine del mandato britannico sulla Palestina e la istituzione di due stati, uno arabo e uno ebraico. Gli ebrei accettano la risoluzione O.N.U. e proclamano la dichiarazione di indipendenza e lo Stato di Israele. Gli arabi respingono la risoluzione O.N.U. e iniziano il conflitto armato (1947-49) per la "cancellazione dello Stato ebraico".

Postato da dino avanzi il 25/09/2011 15:53

Dopo gli applausi a Abu Mazen che ha chiesto al Consiglio di sicurezza dell’Onu il riconoscimento dello Stato Palestinese, il Quartetto cerca di rimandare la decisione sperando nelle procedure e chiedendo alle parti di tornare al tavolo delle trattative. Ma se guardiamo al discorso del presidente palestinese si legge una «narrativa», una aggressiva fantasia, che disprezza il nemico e quindi nega la pace. Il primo equivoco è il peggiore: promette il rispetto di Israele, assicura la volontà di pace, ma poi Abu Mazen insiste sulla «nakba» del ’48, lo Stato Ebraico è per lui un’illegittima presenza coloniale. Abu Mazen parla di «nakba», di occupazione dal 1948, non dal 1967: i profughi come lui, dice, ancora conservano le chiavi di casa di Safed (dove è nato e da dove fuggì nel ’48 in Siria). Devono tornare a casa, in Israele, non in Palestina. Dimentica che se ne andarono a causa di una guerra di cinque Paesi arabi contro la partizione. Il nuovo Stato Palestinese, come lo disegna il sito dei palestinesi all’Onu, o che i bambini studiano a scuola è la mappa di Israele. Abu Mazen ha detto che nella loro generosità i palestinesi hanno accettato di ridursi nel 22 per cento della Palestina originale: ma non dice che questa Palestina (nome che discende dai Filistin, popolazione non aborigena ma mediterranea e che i romani dettero all’area) è uno dei paesi disegnati dalla Società delle Nazioni (come la Siria, o l’Irak) dopo la disfatta dell’Impero turco e che era destinata al popolo ebraico, riconosciuto nei suoi diritti ancestrali. La politica del Mandato inglese la tagliò per darne parte alla Giordania. Abu Mazen parla di una «pulizia etnica» mai avvenuta, semmai è il suo programma che dichiara che il nuovo Stato proibirà la presenza di ebrei. L’invenzione dello Stato razzista e di apartheid è inconcepibile se si guarda all’incredibile miscuglio di colori, culture, etnie, dalla Knesset agli ospedali, alle scuole... La balla poi che sia Israele che impedisce le trattative: Israele dal tempo dei «tre no» arabi di Kartum del ’67 non ha fatto che offrire territori in cambio di pace, cercando, com’è statuito dalla risoluzione 242, anche la sicurezza. Le città palestinesi sono tutte state sgomberate con gli accordi di Oslo, il 98 per cento dei palestinesi vivono nell’Autonomia. I check point sono stati diminuiti contrariamente a un’altra frase di Abu Mazen, e semmai servono a controllare gli eventuali terroristi: e Israele ne ha ben donde. Altra bugia: che Israele blocchi l’economia palestinese. Ne è anzi un motore e certo lo sarebbe di più in tempo di pace. Poi: «il muro dell’annessione» come lo chiama Abu Mazen, ha di fatto fermato il terrorismo, quale annessione? I territori: l’Egitto ha fatto la pace e ha avuto il Sinai. Israele ha lasciato il Libano e Gaza. Mal gliene incolse. Gli insediamenti: sono un problema ma occupano solo l’1,36 per cento dell’West bank. L’ultimo insediamento approvato è del 1999. È vero che la crescita naturale è alta, ma Netanyahu bloccò le costruzioni per dieci mesi senza segnali da parte palestinese. Oggi i coloni lamentano un «freezing di fatto». Infine: quando Abu Mazen dice che i palestinesi sono armati solo delle loro speranze, sa che da Gaza sono piombati su Israele migliaia di missili, anche Grad di lunga gittata. Sarebbe meglio che Abu Mazen trattasse, invece di spargere biasimo e odio all’Onu che applaude, ma non porta la pace. di Fiamma Nirestein

Postato da dino avanzi il 25/09/2011 15:18

La discussione, su cui molti si sono accalorati in questi giorni, è già avvenuta 64 anni fà da parte dello stesso organo. Quell’organo ha già deliberato allora, e allora deliberò per la nascita di 2 Stati. La storia da allora ha viaggiato in modo che di Stato ne venisse fuori uno solo dei due. L’altro non si affermò per molte ragioni: non ultimo il fatto – anche questo sarebbe bene dirlo - che chi oggi difende le ragioni dei palestinesi semplicemente non voleva nessuno dei due Stati, 64 anni fa. In ogni caso uno Stato non è un regalo, bensì il risultato di una struttura complessa preesistente. Vuol dire scuole, sanità, una struttura di autodifesa, burocrazia, economia, finanza, classe politica, partiti politici e un governo autorevole in grado di governare i propri governati. E alla fine uno Stato è anche, non sempre, ma spesso e in Età moderna e contemporanea spessissimo, il risultato di una guerra civile, di un conflitto interno fatto tra fazioni di uno stesso popolo, dove una parte perde, anche militarmente e non solo elettoralmente, e una vince e governa. Altrimenti quella realtà è solo il risultato di una tregua o di una coabitazione dal futuro incerto. di David Bidussa, storico sociale delle idee.

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