01/03/2011
Il tenente Massimo Ranzani morto in seguito a un'esplosione nei pressi di Shindad, nell'Afghanistan occidentale.
Era alla sua seconda missione all'estero. Il tenente Massimo Ranzani, classe 1974, celibe, in servizio nell'Esercito dal 1999, è stato ucciso da un ordigno esploso al passaggio del Lince su cui viaggiava. Nello stesso attentato sono rimasti gravemente feriti altri quattro militari, tutti appartenenti al 5° reggimento alpini di Vipiteno. La deflagrazione è avvenuta nella mattinata di lunedì 28 febbraio, a 25 chilometri a Nord di Shindand: ha colpito
il terzo mezzo di una pattuglia che rientrava da un'attività umanitaria di assistenza medica sul campo, svolta in maniera congiunta da forze italiane e da reparti afgani.
Sono circa 4.000, oggi, i militari italiani che partecipano alla missione Isaf in Afghanistan. Quello attuale è il numero massimo raggiunto per quanto riguarda l'impegno nazionale nel Paese. Solo nei prossimi mesi ci sarà un graduale disimpegno. La quasi totalità degli italiani - una piccola quota di un centinaio di militari è schierata a Kabul nella sede del comando generale della missione, con incarichi di staff - si trova nella regione occidentale del Paese: ad Herat vi è la sede sede del Comando regionale Ovest di Isaf. Sotto la responsabilità italiana c'è un'area grande quanto il Nord Italia, composto dalle quattro province di Herat, Badghis, Ghowr e Farah. Sotto il comando degli italiani - proprio in questi giorni è in corso il passaggio di consegne tra gli alpini della brigata Julia e i paracadutisti della Folgore - c'è un contingente di militari provenienti da 12 nazioni. La componente principale delle forze nazionali è costituita dal personale proveniente dall'Esercito; è presente inoltre un significativo contributo di uomini e mezzi dell'Aeronautica, della Marina Militare, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza.
Quattro le task force costituite dai militari italiani in altrettante aree della regione ovest, mentre nella provincia di Herat è attivo un team di ricostruzione provinciale (Prt) che ha il compito di sostenere il processo di ricostruzione e di sviluppo insieme ad una componente civile del ministero degli Esteri. Il contingente italiano è dotato anche di una rilevante componente aere costituita da velivoli C-130, caccia AMX (che non sono autorizzati a bombardare), aerei senza pilota Predator, elicotteri d'attacco Mangusta e da trasporto di vario tipo. Con la morte del tenente Ranzani salgono a 37 le vittime italiane dall'inizio della missione Isaf in Afghanistan.
Il rischio di nuovi attacchi era stato di recente segnalato dai servizi segreti italiani che lo definivano «concreto e reale», anche in considerazione delle «accresciute capacità offensive degli insorti». I servizi segreti, nella relazione consegnata al Parlamento solo qualche giorno fa, avevano avvertito che nell'Ovest dell'Afghanistan - dove si è verificato l'ennesimo attacco in cui ha perso la vita un militare italiano e altri 4 sono rimasti gravemnete feriti - la situazione era, è e sarà particolarmente a rischio. Quelle province, scrivevano gli 007, risulterano «esposte al crescente rischio di attacchi». Ed infatti, l'avvicinarsi della fine dell'inverno e la pressione delle forze Isaf sempre più costante ha spinto l'Aise - l'Agenzia per la sicurezza esterna - a diffondere negli ultimi mesi diversi warning, ovvero diversi allarmi: 1.509 solo nel periodo tra maggio e settembre 2010, a fronte di 741 azioni ostili effettivamente verificatesi. Informative più o meno circostanziate su progetti di attacchi agli uomini del nostro contingente che hanno determinato un innalzamento delle misure di sicurezza poste a protezione dei militari e che hanno permesso di sventare diversi attentanti.
Ma non sono riuscite del tutto a neutralizzare la minaccia degli Ied, gli ordigni esplosivi artigianali (ma in realtà sempre più sofisticato) su cui è saltato il Lince a Shindand. È per questo che nei warning e nelle relazioni ufficiali gli uomini dell'intelligence continuano a ripetere che proprio le bombe più o meno artigianali e le imboscate lungo le strade interessate dal transito dei mezzi della colazione, restano le tecniche «privilegiate» dalla guerriglia, così come il lancio di razzi verso le basi avanzate di Isaf. Nè si può escludere, avvertono gli 007 italiani, che nei prossimi mesi possano esserci «rapimenti di personale occidentale» e che nei principali centri urbani - dunque a Kabul ma anche ad Herat dove c'è la base del nostro contingente - è possibile che gli insorti, alla ricerca di visibilità, possano «condurre azioni che contemplino l'utilizzo contemporaneo di attentatori suicidi e gruppi di fuoco».
Nell'analisi inviata al Parlamento i servizi ribadivano dunque che l'Afghanistan è tutt'altro che pacificato: viene semmai descritto un Paese, anzi, con un «quadro istituzionale destinato a permanere instabile per le lacerazioni interne e per la difficoltà di reinserire la componente moderata Taliban nella vita politica del Paese». E per questo, nel «breve-medio termine il personale straniero, militare e civile, permarrà notevolmente esposto al rischio di azioni ostili». Un rischio che per i nostri militari è rappresentato soprattutto dal «riposizionamento in area di miliziani» provenienti dalla province meridionali dell'Afghanistan dove, dicono gli 007, le operazioni di «contro-insorgenza» avviate nel 2010 dalle forze di sicurezza dei reparti afghani assieme all'Isaf sono state particolarmente intense.
Dal primo gennaio 2011 i militari dei contigenti stranieri morti in Afghanistan risultano essere 66; di essi, 34 hanno perso la vita a febbraio.
A cura di Alberto Chiara