25/01/2011
Sali Berisha, contestato premier albanese.
“I Paesi dell’Ue non devono tollerare in Albania una realtà che mai tollererebbero negli Stati membri. Devono condannare la violenza di Stato che uccide gente innocente”, ha dichiarato Edi Rama, il sindaco socialista di Tirana, dopo i tre morti manifestanti freddati dalla polizia nel corso della manifestazione del 21 gennaio. Ma cosa sta succedendo oltre Adriatico, nel Paese delle aquile?
Dalle ultime elezioni del giugno 2009, quando l’opposizione di Rama accusò il primo ministro Sali Berisha di brogli, si assiste a uno stallo politico a cui si accompagna una situazione economica difficile a causa della crisi internazionale.
Il Pil albanese è passato da una crescita ininterrotta dal 1998 (con una media almeno del 6% annuo) a un 2,2% nel 2009 e nel 2010, mentre la moneta albanese ha visto una perdita rispetto all’euro e al dollaro di più del 10% negli ultimi 5 anni, con una conseguente perdita del potere d’acquisto non solo fuori dal Paese, ma anche al suo interno, visto che la stragrande maggioranza dei prodotti, alimentari e non, provengono dalla zona euro/dollaro. Se a questo aggiungiamo la disoccupazione crescente, si capisce la rabbia di fronte alle promesse di Berisha.
Quello che sta accadendo in Albania quindi, appare non tanto un tentativo di golpe, ma una gigantesca prova di democrazia: gli albanesi non ci stanno più a stare zitti, dopo mezzo millennio di dominio turco e mezzo secolo di comunismo.
Spiega bene questo atteggiamento Albania news, quotidiano albanese on line in lingua italiana con sede a Modena: “Un popolo che ha subito 50 anni di regime di terrore, che gli ha vietato non solo la protesta, ma anche la libertà di culto e di espressione. Un popolo che in 20 anni ha ricostruito da zero un Paese annientato dall’autocrazia e che con passi da gigante si sta dirigendo verso il traguardo (ancora lontano?) europeo, passando attraverso momenti bui drammatici, quali il crollo finanziario nel 1997 e la crisi del Kosovo nel 1999. Un popolo che sta imparando a manifestare il proprio disagio, e a prendere coscienza dei propri diritti e libertà. Qualcosa che l’Italia invece pare stia disimparando.”
L’Albania sta dimostrando insomma di sapersi indignare di fronte al comportamento dei propri governanti. Basti pensare che una settimana prima della manifestazione, il vice primo ministro Ilir Meta era stato costretto alle dimissioni dopo la trasmissione di un video che dimostrava il suo coinvolgimento in episodi di corruzione.
Per venerdì 28 gennaio a Tirana l’opposizione ha convocato una nuova manifestazione.La sensazione è che il 2010 potrebbe essere un anno di svolta per questo Paese, da due anni membro della Nato, a cui l’Unione europea ha negato pochi mesi fa lo status di Paese candidato, una richiesta che il Governo si appresta a ripresentare. Di certo ora la risposta del popolo albanese non sarà più l’esodo dei primi anni Novanta, quando i cervelli e le energie migliori furono costretti a lasciare il Paese.
Lo scrittore, più volte candidato al Nobel, Ismail Kadaré, in un’intervista, ricorda così quel momento in cui scelse l’esilio a Parigi: “Lo feci con uno scopo ben preciso. L’Albania esitava ancora tra l’Occidente e la dittatura, tra lo spirito di libertà e quello della schiavitù. All’epoca ho imparato una cosa che non molti sapevano, un gioco molto ipocrita da parte del regime: avevano l’intenzione di allearsi con l’Unione sovietica e quando dico Unione sovietica non intendo quella di Gorbaciov, ma quella dei golpisti. Golpisti stalinisti che si stavano preparando a dare l’assalto al potere. Bisognava allora che io facessi qualcosa di eclatante: lasciare l’Albania. Io che ero lo scrittore più noto del Paese dovevo trovare il modo di dire apertamente che la dittatura stava ancora mentendo. Dovevo farlo per incoraggiare la democrazia e scoraggiare la dittatura.”
Gabriele Salari