Alonso e la Ferrari, riscossa Italia

In un anno pessimo per lo sport italiano, la Formula 1 ci offre l'occasione di un riscatto clamoroso e ormai insperato. La pazza corsa in Corea.

24/10/2010
Fernando Alonso, il fuoriclasse della Ferrari.
Fernando Alonso, il fuoriclasse della Ferrari.

La fortissima possibilità che la Ferrari di Alonso e di tutti noi conquisti il titolo mondiale dei piloti (ultima volta nel 2004)  ed anche quello dei costruttori (2008), può cambiare volto, come per un lifting repente, al 2010 dello sport italiano, umiliato nel suo grande amore calcistico dal penoso campionato mondiale in Sudafrica, dalla eliminazione dell’Under 21 dal campionato europeo e soprattutto dal torneo olimpico 2012,  preoccupato dall’anagrafe e dagli incidenti e insomma dalle sconfitte del motociclista Valentino Rossi, e non abbastanza gratificato dai successi italiani in due delle tre prove grandi del ciclismo a tappe, il Giro con Basso e la Vuelta con Nibali, per via del doping che non la smette di incombere, e che talora fa soccombere gli entusiasmi.

     C’è una forte valenza sociale ed anche politica (nel senso di vita della polis) nelle vicende dello sport italiano, che talora ci connota spietatamente, talora ci esalta persino più meravigliosamente che misteriosamente, che comunque aderisce alla nostra  bislacca e affascinante tipologia come poche altre entità di vita, spesso invadendoci e impegnandoci più il cuore che il cervello (o anche l’anima). La storia di questo campionato mondiale della Formula 1, che si deciderà comunque il 7 novembre in Brasile e il 14 negli Emirati Arabi (in palio 50 punti per due successi, Alonso ne ha 11 di vantaggio su Webber e 21 su Hamilton), sembra fatta apposta per la coltivazione, la concimazione, la fioritura, la potatura e gli innesti di quell’albero, ora baobab solenne, ora pioppo impettito, ora salice dolente, ora spinosissimo cactus (l’”elephant cactus” americano, alto come una casa di sette piani, o quello nano delle nostre parti), che per lo sport italiano è una sorta di albero della vita.

     I tecnici naturalmente scaveranno in se stessi e scoveranno spiegazioni appunto tecniche, dopo che prima ci hanno spiegato che la Ferrari 2010 era la più forte,  poi che non c’era per la Ferrari niente da fare contro le Red Bull, quindi che alla fine la McLaren avrebbe dettato la sua legge. Gli esperti di psicologia sportiva parleranno di gestione perfetta (o imperfetta, se le cose non andranno bene sino alla fine) del rapporto fra i piloti “rossi” Alonso e Massa, uno spagnolo e un brasiliano che parlano fra di loro in italiano, ora separati ora stragemellati in casa Ferrari, di assurdità pazzesca o di stimoli tenuti astutamente alti a proposito del rapporti in casa Red Bull fra l’australiano Webber e il tedesco Vettel, sino all’altro giorno reputati sicuri dominatori del circus e però “suicidati” dagli errori in Corea del Sud.

     E chez nous quelli che erano pronti a decretare l’assurdità dell’”esordiente” circuito asiatico, con l’asfalto finito da pochi giorni e sotto una pioggia abbastanza insistente, diranno ora che il circuito stesso è stato giudice perfetto (e in fondo le cose sono andate così, nonostante una gara più dietro la safety car che dietro ai canoni della sana spettacolarizzazione), e che di meglio non si poteva desiderare. Noi italiani nello sport andiamo più e meglio (o peggio) di ogni altro sulle montagne russe dell’entusiasmo e della depressione, giochiamo più e meglio (o peggio) di ogni altro il ping pong del sì-no-forse-magari-chissà-speriamo, e se vince Alonso diremo che questa della Ferrari di Alonso sì che è la cosa (più) bella, mica la lunga e a pensarci bene noiosa vicenda di quel tedesco, Schumacher, algido e metodico, che non spiaccicava due parole di seguito nella lingua di Dante e ogni tanto anche nostra e che ha vinto con la Ferrari del nostro amore cinque titoli mondiali consecutivi dovuti all’auto, senza mai riuscire, di suo, ad essere divertente e a farsi amare.

Gian Paolo Ormezzano
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