04/04/2012
La perquisizione in via Bellerio, sede della Lega Nord. In copertina: Umberto Bossi e Francesco Belsito (foto Ansa).
Sarà anche razza padana. Ma nella vicenda che vede la Lega Nord, a suo tempo partito dei “duri e puri”, al centro di un’inchiesta coordinata da tre Procure della Repubblica, ci sono risvolti che sembrano tratti dalla più grottesca delle commedie all'italiana. Bisogna ridere per non piangere. Come per la storia che alcuni fondi pubblici destinati al partito di Bossi siano stati distratti per far fronte alle spese scolastiche del figlio Renzo, “la Trota”. Tutti i diretti interessati, compreso Renzo Bossi, si dicono sereni e respingono ogni accusa. Ci auguriamo che sia vero per carità di patria (la nostra patria, non quella padana, che non esiste). Bisognerà aspettare l’ultimo grado di giudizio per accertare la verità. Ma, fatta salva la presunzione di innocenza, il quadro tratteggiato dalle tre Procure (Reggio Calabria, Napoli e Milano) ha davvero dell'incredibile.
I magistrati indagano su riciclaggio e reimpiego di capitali di provenienza illecita, oltre che su appropriazione indebita e truffa aggravata ai danni dello Stato. Secondo le indagini della Dia di Reggio Calabria il tesoriere della Lega Francesco Belsito (che si è dimesso), investiva i fondi del Carroccio a Cipro e in Tanzania, per poi farne rientrare una parte in Italia (anche dentro un cappello e un contenitore di bottiglie di vino, scrivono gli inquirenti). Gli investigatori di Reggio sono arrivati a Belsito indagando su un faccendiere legato a una famiglia della ‘ndrangheta presente anche al Nord. I fondi pubblici destinati al partito sarebbero stati utilizzati anche per “esigenze personali di familiari di leader della Lega Nord”. Umberto Bossi dice di non saperne nulla e che denuncerà chi ha utilizzato quei fondi per ristrutturargli la casa (iscrivendosi d’ufficio alla “lista Scajola” degli ignari inquilini beneficiati). Ma la Padanopoli descritta dagli inquirenti parla di una girandola di spese: auto, pranzi, cene, spese scolastiche per il "delfino", ristrutturazioni. Tutto “pour le ménage” della famiglia del capo. Un gigantesco bancomat tribale a fondo perduto, finanziato con le tasse degli italiani, mai contabilizzato, come impone invece la legge. Vicende del genere sono sempre riprovevoli.
Ma se i fatti contestati si rivelassero veri, il solo pensiero che un partito antimeridionalista e xenofobo, che ha varato leggi durissime contro i clandestini e si è battuto contro gli sbarchi degli immigrati africani, avesse al suo interno dirigenti di fronte ai quali Cetto la Qualunque sembra De Gasperi, personaggi che facevano affari con la ‘ndrangheta, ripulivano soldi in Tanzania e a Cipro, foraggiavano il “cerchio magico” del suo leader con le tasse degli italiani... beh, tutto questo produce una sensazione di particolare ribrezzo.
Francesco Anfossi