11/01/2011
La tomba del piccolo Devid Berghi, il bimbo morto di freddo a Bologna.
“Una povera donna che ha sempre rifiutato il nostro aiuto”.
Alla vigilia delle primarie del partito democratico per le amministrative, Bologna si scopre ancora rossa, ma di vergogna. La riflessione, per forza di cose dolorosa, che avrebbe dovuto far seguito alla tragedia del piccolo Devid, neonato di strada soccorso ormai in fin di vita nella centralissima Piazza Maggiore e poi deceduto la vigilia dell’Epifania, è cominciata male, anzi malissimo.
Chi si aspettava ammissioni di responsabilità, o almeno un percorso di verifica da parte delle istituzioni, ha dovuto ricredersi.
Il commissario straordinario Cancellieri e la responsabile dei servizi sociali del Comune hanno convocato una conferenza stampa per autogiustificarsi spiegando i retroscena della vicenda, e la tragedia ha assunto toni grotteschi. Qualcuno, a ragione, ha detto che per la città è l’ora della vergogna.
Claudia, la mamma di Devid e di Kevin, il gemellino sopravissuto insieme alla sorellina di un anno e mezzo, era conosciuta dai servizi sociali fin dal 2001. Lavoretti precari, due figli dati in affido, la terza bambina, quella che ora ha un anno e mezzo, avuta da un papà diverso, e poi il nuovo attuale compagno e un marito di origine magrebina che la donna avrebbe sposato lo scorso maggio, probabilmente per assicurargli il permesso di soggiorno in cambio di un po’ di spiccioli.
Questo basterebbe a spiegare il pseudo giallo del domicilio della donna, un buco in via Tovaglie dove in realtà sarebbe residente solo il marito “sulla carta”. Lei da mesi viveva in strada col compagno e la bambina. I negozianti del centro hanno raccontato a noi giornalisti di aver chiamato più di una volta i vigili urbani perché la piccola veniva lasciata libera di andare in giro da sola, mentre la mamma stava seduta su una panchina circondata da lattine di birra. Ma i vigili avrebbero risposto- incredibile ma vero- che non potevano farci nulla. Basterebbe questo a far arrossire dalla vergogna.
I vigili urbani, c’è da chiedersi, non hanno ritenuto nemmeno di avvisare i servizi sociali? E questi, una volta allertati, perché non sono intervenuti? Evidentemente la situazione non e’ stata ritenuta abbastanza grave.
Il 13 dicembre Claudia partorisce i due gemelli al Sant’Orsola. L’ospedale, prima di dimetterli- uno il 23, l’altro il 28 dicembre- avvisa i servizi. Secondo la ricostruzione della responsabile, l’assistente sociale del quartiere sollecitato rimpalla la cosa al quartiere Santo Stefano, dove la donna risulta domiciliata.
C’è poco personale, il caso viene accantonato nonostante i precedenti di Claudia. Nessuno si muove per andare a verificare l’effettivo domicilio della donna, che continua a passare i giorni e le notti in strada, insieme alla bimba “grande” e ai due gemelli. Vedendoli bivaccare in Sala Borsa, qualche impiegato di quella che è la biblioteca cittadina, preso da un sussulto di buon cuore, manda una ennesima e-mail ai servizi sociali. E’ appena passato l’anno, c’è ancora poco personale, nessuno va a verificare come viva questa disgraziata famiglia. “In fondo sono passati solo pochi giorni”, si giustificano tra burocrazia e scartoffie le assistenti sociali. Ma che studi hanno fatto queste operatrici?
Nessuno si è mai preso la briga di spiegare loro che molte volte le persone ridotte ai margini non sono nemmeno capaci di affrontare la modulistica e le lungaggini degli sportelli per chiedere aiuto?
“Avevamo paura che ce li togliessero ”, ha confessato candidamente il papà dei piccoli, “per questo abbiamo detto di avere una casa”. C’è voluta la morte di Devid per costringere i servizi a sistemare gli altri due bambini in una struttura protetta dove Claudia non ha voluto seguirli.
Il Direttore della Caritas, Paolo Mengoli, ha dichiarato al nostro giornale che, solo pochi anni fa, una cosa del genere a Bologna non sarebbe mai successa. Essendo io stessa bolognese, posso confermare le sue parole con la mia esperienza. Vent’anni fa, quando è nato mio figlio, le assistenti sociali mi chiamarono, appena tornata dall’ospedale. Erano molto insistenti, volevano fissare al più presto un appuntamento per assistere al primo bagnetto del bebè. Una scusa, mi hanno poi confermato quando sono venute a conoscenza della mia professione, per verificare le condizioni di vita del bambino. Sono arrivate a casa mia, dove per fortuna erano già attive due splendide nonne, cariche di prodotti e di consigli, hanno visto dove tenevo il fasciatoio e dove la culla, mi hanno lasciato recapiti telefonici per ogni eventuale difficoltà. Il mio ricordo è ancora nitido, ogni madre sa che queste cose non si dimenticano. Magari fossero state loro a prendersi cura di Devid e della sua mamma. Sono sicura che avrebbero trovato i modi giusti per avvicinarla e per persuaderla, con dolce fermezza.
Questi erano i servizi sociali di una città civile come Bologna, quando ancora il suo modello faceva scuola. Prima che una nuova barbarie, purtroppo, la rendesse irriconoscibile.
Paolo Mengoli, direttore della Caritas diocesana a Bologna.
È successo proprio a Bologna, dove secondo la canzone di Dalla non si
perde neanche un bambino. Eppure un neonato di 20 giorni è morto alla
vigilia dell’Epifania, di freddo e di stenti, nella centralissima Piazza
Maggiore. La città si interroga, quasi incredula, mentre la Procura ha aperto un fascicolo per accertare le responsabilità.
Il piccolo Devid viveva in strada, insieme ai genitori, entrambi
italiani, al fratello gemello e alla sorellina di un anno e mezzo,
che per fortuna sono riusciti a cavarsela. Per lui invece, quando gli
operatori del 118 sono intervenuti, non c’era più niente da fare. Le
riflessioni che si impongono sono parecchie.
Com’è possibile che una famiglia intera, con bambini così piccoli,
viva per strada, trovando riparo sotto i portici o bivaccando nella
centralissima Sala Borsa (durante il giorno, e la notte chissà…) senza
che nessuno intervenga, vigili urbani compresi, nell’indifferenza più
generale? Tanto più che la madre, bolognese di 35 anni, stando alle
notizie emerse, avrebbe partorito regolarmente in ospedale, a ridosso
del Natale. Perché i servizi sociali non sono stati allertati, viste le
condizioni di disagio, più che evidenti, della coppia?
“Dopo una tragedia di questo genere dobbiamo tutti quanti fare un esame
di coscienza”, ammette il direttore della Caritas diocesana, Paolo Mengoli.
E’ un caso che sia successo a Bologna?
No, non è un caso. La nostra è una città in caduta libera, il
commissario straordinario fa quello che può ma la crisi che ha colpito
il comune si riflette su tutto, a cominciare dai servizi sociali, che un
tempo erano il fiore all’occhiello dell’amministrazione. Perché è
chiaro che, se tutti noi dobbiamo interrogarci, la prima responsabilità è
del servizio pubblico”.
I genitori del piccolo Devid hanno problemi di carattere psichiatrico?
Assolutamente no, sono persone che non hanno saputo fare bene i conti e
hanno perso la casa. Sono in graduatoria per avere un alloggio dal
Comune. Passerotti caduti dal nido, conseguenza di quella nuova povertà
che in parte è frutto della crisi economica. Quando, come nel loro caso,
non c’è un clan familiare alle spalle, si perdono tutti i paracaduti e
tutte le protezioni. A Bologna non sono gli unici in una situazione del
genere, ma non parlo di migliaia di casi e nemmeno di centinaia. Sono
alcune decine e i servizi sociali del Comune non possono ignorarli.
Perché la macchina non ha funzionato?
Perché è una macchina che va riorganizzata, così com’è, lo ripeto, non
può funzionare. Come direttore della Caritas ho denunciato la cosa più
volte, sempre inascoltato. I servizi sociali del comune di Bologna sono
stati decentrati, malamente, durante il mandato dell’ex sindaco
Cofferati. Poi c’è stata la parentesi del successore Delbono, con i
guai giudiziari che l’hanno costretto alle dimissioni, e la situazione è
degenerata. Solo qualche anno fa una cosa del genere, a Bologna, non
sarebbe potuta succedere.
Simonetta Pagnotti