06/03/2012
Umberto Bossi.
Dopo le camicie verdi, dopo le pallottole, dopo i giudici cui raddrizzare la schiena, dopo i centocinquantamila bergamaschi in armi, ecco che Umberto Bossi torna ad urlare frasi inqualificabili, inaccettabili per chi siede in Parlamento e ha una responsabilità pubblica in un Paese democratico e civile. Stavolta se la prende con il suo concittadino Mario Monti: «Rischia la vita, perché il nord lo farà fuori». Ha replicato così a chi gli ha chiesto, al suo arrivo a Piacenza per un comizio, se il premier proseguirà anche dopo il 2013 sostenuto da Berlusconi.
Un linguaggio brigatista che non serve rinnegare nel solito giochetto delle rettifiche, vecchio trucco dei demagoghi di ogni tempo: «Ho minacciato di morte Monti? È Monti che minaccia di morte noi... Ho detto che Monti nella testa dei padani non è ben visto perché ci porta la povertà e poi anche la mafia. I giornalisti travisano, non si smentiscono mai quelle teste di legno».
I giornali non travisano, prendersela con i
giornalisti non serve, la verità è che il leader tiene un comportamento pericoloso perché qualche mattocchio potrebbe raccogliere quelle parole e trasformarle in proiettili. Non sarebbe la prima volta nella storia, anche quella recentissima, in Europa e in Italia. Forse sarebbe il caso che un giudice ricordasse al “barbaro straparlante” chi è e cosa rappresenta per la Repubblica Italiana. Post scriptum: a coloro che oggi si stracciano le vesti per le dichiarazioni di Bossi bisognerebbe chiedere dov’erano prima della nascita del Governo Monti, quando per analoghe dichiarazioni facevano a gara per ridimensionare, minimizzare, contestualizzare. Eppure sono passati quattro mesi. Non un secolo fa.