Anemone, anche i servizi segreti?

Se venisse provato il coinvolgimento di un generale dello spionaggio sarebbe molto grave per il nostro sistema democratico. (di Beppe Del Colle).

14/05/2010
Lo stabile di via Poliziano, a Roma, in cui si trova uno degli appartamenti che mettono in causa la posizione del generale Francesco Pittorru.
Lo stabile di via Poliziano, a Roma, in cui si trova uno degli appartamenti che mettono in causa la posizione del generale Francesco Pittorru.

Se sarà confermata nel seguito delle indagini giudiziarie da parte dei magistrati di Perugia, la notizia più sconvolgente di tutto l’affaire “cricca” di Anemone è che uno dei beneficiari del suo “sistema” di aggiudicazione degli appalti nei lavori pubblici sarebbe stato il generale dei Servizi segreti Ferruccio Pittorru.  Perché è una notizia “sconvolgente”? Perché parrebbe che uno Stato democratico e liberale degno di questo nome debba avere la garanzia più assoluta che gli uomini che lavorano per la sua sicurezza siano al di sopra di ogni sospetto nei propri comportamenti personali, cioè di là dalle ovvie illegalità e delle vere e proprie bugie che nei “servizi segreti” sono una componente inevitabile, come mostrano i più rinomati romanzi polizieschi.
 
       E invece, sembra che in un interrogatorio subito in prigione poco prima del termine della sua carcerazione preventiva, Diego Anemone abbia dichiarato di non aver fatto nessun “prestito” di denaro per l’acquisto di due alloggi a Roma al generale Pittorru, contrariamente a quanto quest’ultimo avrebbe detto ai PM di Perugia che lo interpellavano sul presunto “regalo” di quei due appartamenti, a lui offerti da Anemone. L’uso dei verbi al condizionale per raccontare questo intreccio di affari intorno agli appalti decisi dalla pubblica amministrazione nel giro di sette-otto anni, risponde a due necessità: la prima è rappresentata dal dovere professionale di ogni medium che si rispetti di raccontare i fatti come risultano nelle diverse fasi giudiziarie, e cioè con la riserva opportuna circa la loro verità, fino a quando non sia supportata da prove di fonte ufficiale; la seconda è il rispetto dovuto ai protagonisti, veri o presunti, di quei fatti.  

Restando su questo “affaire”, la pubblicazione di un elenco con 350 nomi di persone o di enti che hanno avuto rapporti con l’impresa di costruzioni edili Diego Anemone non può essere considerata una prova sufficiente di per sé a identificare in quelle persone o in quegli enti i beneficiari di irregolarità finanziarie e/o contabili, eventualmente a fini di corruzione.  Un magistrato con cui abbiamo discusso di questi fatti ci ha chiesto, alla conclusione del dialogo: “Ma dov’è il reato?” Non è una battuta, è la conferma di un fenomeno corrente nella Giustizia del nostro Paese: i processi sono interminabili anche perché spesso sono fondati su indiscrezioni giornalistiche alle quali non corrispondono fatti penalmente rilevanti o facilmente documentabili.

Il rischio, anche in questi ultimi episodi, è che tutto finisca senza esiti giudiziari concreti. C’è poi, irresistibile, la tentazione di pensare che certe indiscrezioni giornalistiche siano il frutto di una “congiura”, di un “complotto”. A questo proposito, è curioso constatare che gli “scandali” dei “Grandi eventi” gestiti da una coppia di importantissimi manager di Stato come Balducci e Bertolaso, hanno ricevuto una emozionante spinta mediatica con la pubblicazione in esclusiva dell’elenco dei 350 risultati in rapporto  con Anemone, da parte di due quotidiani di parte per così dire berlusconiana, “Il Giornale” e “Libero”. Il che ha fatto (malignamente) pensare a molti che siano stati “ispirati” da una parte politica (e personale) che usa spessissimo il termine “complotto” per squalificare ogni inchiesta giudiziaria nei suoi confronti, facendo in tal modo esplodere ancora una volta un conflitto di poteri fra le massime istituzioni, l’ultimo in ordine di tempo fra i molti mali che turbano la vita della Repubblica.                                                    

Beppe Del Colle
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