Ciclismo, il futuro si chiama Nibali

Potrebbe essere lui l'alfiere prossimo venturo di un ciclismo italiano nuovo. Quest'anno punta forte al Tour.

18/03/2012
La partenza della Milano Sanremo, classicissima che apre la stagione ciclistica. In copertina: Vincenzo Nibali (foto Ansa).
La partenza della Milano Sanremo, classicissima che apre la stagione ciclistica. In copertina: Vincenzo Nibali (foto Ansa).

Per il sesto anno consecutivo, cioè dal 2006 di Filippo Pozzato, la Milano-Sanremo non va ad un nostro corridore: nel passato ci fu un filotto nero di 16 edizioni, dal 1953 di Loretto Petrucci al 1970 di Michele Dancelli, ma allora c'era tanto ciclismo italiano e semplicemente la “Classicissima di primavera”, da preparare con imprescindibili corsette a tappe, arrivava troppo presto per i nostri pedalatori tutti, fisicamente programmati per essere al meglio nei giorni del Giro d'Italia e casomai anche del Tour de France. Adesso ogni traguardo  nella corsa di un giorno e in una prova a tappe -  sarebbe benedetto, proprio perché ne conquistiamo pochini (il 2011 è trascorso senza un nostro successo nelle classiche, e il Giro d'Italia “consegnato” con comunicazione ad hoc a Vincenzo Nibali per la squalifica di Alberto Contador non è certamente cosa da entusiasmo popolare).


La Sanremo n.103 è stata vinta da Simon Gerrans australiano, e l'anno scorso era stata vinta da Matthew Goss australiano. Il ciclismo del nuovissimo continente aveva negli anni di Coppi una grande vitalità su pista, ultimamente sono arrivati anche i successi su strada, con gli exploits del quasi fuoriclasse Cadel Evans, campione del mondo nel 2007 e vincitore del Tour lo scorso anno. Ha 35 anni, non prenota il futuro. Gerrans (32 anni) e Goss (28) comunque pedalano nella sua scia. L'edizione di quest'anno ha visto Gerrans vincere la volata a tre su Fabio Cancellara e su Nibali, conservando sul gruppo, staccato sul Poggio, pochi metri. Gerrans non stava nei pronostici, e neanche il nostro telecronista lo ha individuato come vincitore, annunciando un altro primo sul traguardo dei fiori e (per noi) dei dolori. Cancellara è svizzero, ma figlio di lucani. Nibali è siciliano, ha 28 anni, potrebbe essere lui l'alfiere prossimo venturo di un ciclismo italiano nuovo. Quest'anno punta forte al Tour: non ci sarà Contador e i fratelli lussemburghesi Schleck, Frank e Andy, potrebbero anche avere superato i loro anni.

Sembra però che all'orizzonte si profili una specie di Godzilla pedalante, uno slovacco a none Peter Sagan, appena 22 anni e però terrificante per facilità di azione su ogni terreno, a detta di quelli che gli hanno pedalato al fianco e soprattutto dietro (ha fatto suo il Giro di Sardegna 2011, ma gli manca ancora la grande vittoria consacratrice). E tesserato per la Liquigas italiana rimasta, in tempi di crisi e  sponsorizzazioni tirchie, forse la sola, fra le nostre squadre, in grado di essere competitiva sul palcoscenico mondiale. Tra australiani, uno slovacco, due figli del Sud italiano. Si aggiunga che ogni volata di gruppo è a priori prenotata da un inglese, Mark Cavendish. L'anagrafe del ciclismo sta cambiando, intanto che la lingua ufficiale ha smesso di essere il francese, è adesso l'inglese che anche olandesi e belgi fiammighi parlano più volentieri del francese, e casomai sta nascendo una sorta di esperanto pienissimo di termini italiani, usato da stranieri che scelgono il Bel Paese e immediati dintorni per fare i ciclisti: su tutti Cavendish e Evans, che addirittura ha residenza in Canton Ticino ed è sposato a un'italiana.

I comunicati sul prossimo Giro d'Italia hanno spesso i titoli in inglese, e presto ci sarà il ranking al posto della classifica generale. D'altronde il massimo dirigente mondiale è un irlandese di Dublino, Patrick Mcquaid, ovviamente anglofono. Loro, i pedalatori stranieri,scelgono l'Italia dove i giornali sportivi riducono sempre di più gli spazi per il ciclismo, e dove i giornali politici si accorgono della Sanremo soltanto all'antivigilia, ed già una sorta di regalo. C'è una discrasia profonda fra la molta gente nostra che pedala facendo cicloturismo, la moltissima che va sulle strade del Giro, spendendo tempo, sudore e denaro per conquistare la montagna, respingendo le comode profferte televisive speciali, e il quasi umiliatore atteggiamento mediatico verso lo sport che pure infiammò l'Italia. Colpa del doping, forse. I vecchi non gli credono, pensano ai ciclisti come a perseguitati anche un poco ingenui o fessi, e difficili da difendere, i giovani sì, e pensano ai ciclisti come sprovveduti che si fanno beccare.

Gian Paolo Ormezzano
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