Clini: dobbiamo salvare "Kyoto"

Il ministro dell'Ambiente Corrado Clini difende il Protocollo di Kyoto, l'unico strumento vincolante per salvaguardare la Terra. L'emergenza climatica è un'opportunità per la crescita.

30/11/2011
Un'area di stoccaggio della compagnia petrolifera Shell nei dintorni di Durban, in Sud Africa,.
Un'area di stoccaggio della compagnia petrolifera Shell nei dintorni di Durban, in Sud Africa,.

Non possiamo buttare all'aria l'unico strumento legalmente vincolante che abbiamo, il Protocollo di Kyoto”, afferma il ministro dell'ambiente Corrado Clini, parlando all'Enea, a Roma, al convegno in cui ha presentato la posizione italiana al vertice sul clima di Durban, in corso in questi giorni. “Siamo in una situazione di stallo degli impegni internazionali, mentre l'evidenza dei cambiamenti climatici è sempre maggiore”. Nell'ultimo decennio si sono registrati infatti 300.000 morti per i cambiamenti climatici, il doppio del decennio precedente. “Questa situazione può rappresentare un'opportunità per la crescita e la competitività delle nostre imprese. L'Europa ha le competenze e rappresenta il mercato maggiore al mondo per valore”, ha detto Clini.

Dello stesso parere il Commissario dell'Enea, Giovanni Lelli, appena rientrato da una missione in Antartide presso la stazione di ricerca italiana, dove forte è l'evidenza dello scioglimento dei ghiacci: “La Germania è un buon esempio di come si possa far crescere le rinnovabili (380.000 posti di lavoro) destinando nel contempo una percentuale alla ricerca, che è il vero motore dell'innovazione e dello sviluppo”. L'Europa, infatti, rischia di perdere il treno della crescita, con la Cina che è leader mondiale negli investimenti tecnologici nelle rinnovabili e non a caso l'Italia ha stretto a Pechino un partenariato in questo settore. “L'Ue può ancora avere una leadership verso la decarbonizzazione dell'economia”, sostiene Clini. “Per i sistemi di illuminazione ad alta efficienza energetica, ad esempio, abbiamo emanato una direttiva che poi è servita da modello ai Paesi emergenti come Cina, Brasile e Messico. Gli Usa hanno provato ad adottare un impianto normativo interno analogo al Protocollo di Kyoto, ma la legge approvata dal Congresso è stata bloccata dal Senato”. E senza un impegno da parte degli Usa, la Cina che è diventata il primo emettitore mondiale di emissioni di anidride carbonica, non ne assumerà alcuno. I sottoscrittori del Protocollo rappresentano attualmente il 20% delle emissioni di CO2 e anche il Canada ha annunciato che si sfilerà.

La partita è stata persa, purtroppo alla conferenza sul clima di Copenhagen, due anni fa, quando tutti attendevano che Obama arrivasse con un impegno in mano. In quel momento era politicamente forte e in grado di assumerlo. Invece arrivò all'aeroporto della capitale danese, si chiuse in albergo con il premier cinese Hu Jin-tao, per poi presentarsi a mani vuote alla conferenza. O meglio con due impegni volontari, riduzione delle emissioni e finanziamento di un fondo globale contro i cambiamenti climatici, che ora è stato costretto a rimangiarsi per via della crisi economica. “Bisogna trovare il modo di incrociare positivamente emergenza ambientale e crisi economica”, chiosa Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club, che riunisce le imprese virtuose in questo campo. “A Durban - se va bene - si arriverà a una road map per il 2015. Siamo già oltre Durban”.

Gabriele Salari
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