Codice antimafia: ok ma da riscrivere

Secondo il Governo entrerà in vigore il prossimo 7 settembre, ma con un testo corretto rispetto alla prima stesura, che per l'opposizione avrebbe reso difficile il contrasto alle mafie.

03/08/2011
I ministri dell'interno Roberto Maroni e della Giustizia Nitto Palma. Dal Consiglio dei Ministri è arrivato l'ok definitivo al "Codice antimafia".
I ministri dell'interno Roberto Maroni e della Giustizia Nitto Palma. Dal Consiglio dei Ministri è arrivato l'ok definitivo al "Codice antimafia".

Adesso speriamo che il Governo mantenga le promesse. Dopo le forti critiche espresse ieri dalla Commissione giustizia della Camera dei Deputati – che si sono concretizzate in un parere condizionato all’accoglimento delle modifiche espresse, votato anche da Lega e Pdl – l’esecutivo ha dichiarato che il Codice antimafia entrerà in vigore il 7 settembre. «Sono state accolte», ha sottolineato il ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma, 10 delle 21 modifiche volute dalla Commissione».

In particolare sembra che siano stati accolti i desiderata dell’opposizione di stralciare i primi dieci articoli. «Su questo ci sarà un apposito disegno di legge al quale lavoreremo a settembre», ha aggiunto il Guardasigilli. Cauta soddisfazione la esprime Donatella Ferranti, capogruppo Pd in Commissione giustizia. «Più che di antimafia, il Codice sarà sulle misure di prevenzione. Ci siamo battuti per far correggere un testo che avrebbe reso difficile il contrasto delle mafie. Meglio un Codice di portata minore, ma scritto bene. Certo bisognerà vedere come sarà riscritto».

Dopo il passaggio in Consiglio dei ministri il Codice andrà direttamente alla firma del presidente della Repubblica. «Noi vigileremo il più possibile perché si tenga effettivamente conto dei pareri che avevamo raccolto dall’Associazione Chinnici, da Libera, da Avviso pubblico, dal procuratore Grasso, per citare soltanto alcuni dei soggetti che avevamo ascoltato in audizione. Dal comunicato del Governo sembrerebbe che le cose possano andare nel verso giusto». E c’è da giurare che anche al Colle terranno gli occhi ben aperti.

«È la montagna che ha partorito il topolino». Era stato lapidario il giudizio di Franco La Torre. Il figlio di Pio La Torre, il politico siciliano vissuto e morto combattendo la criminalità organizzata, non aveva risparmiato critiche al Codice antimafia. Il testo - che il Governo potrebbe decidere di mandare comunque alla firma del presidente della Repubblica, nonostante i giudizi negativi espressi oggi dalla Commissione giustizia - rischia di vanificare gli effetti della legge Rognoni-La Torre, in particolare su tutto ciò che concerne l’aggressione ai patrimoni mafiosi. Era stato proprio Pio La Torre a capire che, non tanto l’inasprimento delle pene detentive, ma la sottrazione dei beni alla disponibilità dei mafiosi era il punto nodale sul quale si giocava la possibilità di sradicare il fenomeno mafioso. E aveva talmente ragione che dieci anni dopo il suo assassinio, nel 1992, il pentito Leonardo Messina dichiarò che Totò Riina aveva ordinato l’uccisione proprio a causa della sua proposta di legge sulla confisca dei beni mafiosi.

«Concretamente», spiega Franco La Torre, «il testo prevede un termine perentorio di due anni e sei mesi entro i quali definire in primo e secondo grado i giudizi sul sequestro e sulla confisca e questo rischia di vanificare l’efficacia di tutto il sistema della prevenzione antimafia previsto oggi dalla Rognoni-La Torre. L’esperienza, infatti, dice che su temi di questa complessità due anni e sei mesi sono un termine molto breve. Una delle grandi innovazioni della normativa antimafia che colpiva al cuore gli interessi economici era proprio l’efficacia della confisca. Ma se tu costringi i termini in un lasso di tempo così breve vuol dire che ti prepari a ridare indietro i beni confiscati».

La fissazione di un termine così perentorio per verificare l’effettiva provenienza illecita dei patrimoni, con indagini bancarie, perizie contabili, audizione di decine di collaboratori di giustizia in località protette, rogatorie internazionali, non fa che rendere in molti casi impossibile la sottrazione del bene ai mafiosi. «E se si riesce a confiscare», aggiunge La Torre, «si creano però difficoltà a quei soggetti ai quali il bene è stato affidato a fini sociali. Se la confisca viene revocata, infatti, non è previsto che si possa restituire l’equivalente e che questa restituzione sia a carico di un apposito Fondo. Ciò significa rendere quanto mai incerto il reimpiego del bene a fini sociali».

«Rimane certamente un’esigenza di organizzare sistematicamente una normativa così complessa e articolata come quella antimafia, ma questo resta un testo che confonde più che ordinare. E che ha diverse mancanze. Mi riferisco alle norme antiriciclaggio, alla tracciabilità dei flussi finanziari, ai delitti contro l’ambiente, pur sapendo che i mafiosi sono tra i principali attori in questo genere di reati. Manca il voto di scambio, che è limitato ancora una volta soltanto allo scambio di denaro. Non c’è l’obbligo di denuncia da parte di chi è vittima del racket e non si rafforza la legislazione premiale per chi è subisce racket e usura. Non sono effettivi e tempestivi i benefici in favore dei testimoni di giustizia. Non sono recepite e inserite le norme anticorruzione. Alla fine mi pare che si sia persa per strada una intenzione che certamente era buona producendo risultati che vanno nel segno opposto a quella di un’efficace azione contro le mafie». 


Annachiara Valle
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