11/07/2012
Thomas Lubanga. Foto Ansa. La fotografia di copertina è, invece, dell'agenzia Reuters.
Condannato a 14 anni di carcere. L’ex capo ribelle congolese Thomas Lubanga Dyilo è stato riconosciuto all’unanimità «colpevole di crimini di guerra» dal Tribunale penale internazionale (Tpi). Avendo già scontato 6 anni di detenzione provvisoria, gliene restano ancora 8 da passare in prigione. Rimarrà in cella fino al 2020. La pena è stata decisamente inferiore ai 30 anni richiesti dal procuratore generale Luis Moreno Ocampo: «Se dovessimo chiedere un anno per ogni bambino arruolato, si andrebbe ben oltre il limite di 30 anni previsto dallo Statuto di Roma», aveva dichiarato il magistrato.
Una sentenza storica, quella nei confronti di Lubanga: è il primo pronunciamento del Tpi dalla sua entrata in funzione, nel 2003. Thomas Lubanga, fondatore dell’Unione dei patrioti congolesi (Upc) ed ex comandante delle Forze patriottiche per la liberazione del Congo (Fplc, braccio armato dell’Upc), si era “distinto” per crudeltà ed efferatezze nel conflitto combattuto nell’Ituri, la regione Nord-orientale della Repubblica Democratica del Congo, nel quale si stima che le vittime siano state non meno di 60 mila, tra il 1999 e il 2003.
Una guerra all’insegna del controllo delle ingenti risorse minerarie presenti nell’area, tra cui oro, diamanti e coltan. Il capo ribelle aveva anche utilizzato ampiamente l’arruolamento forzato di bambini-soldato. Ora la giustizia internazionale sta dando la caccia a Bosco Ntaganda (co-imputato per gli stessi reati di Lubanga), latitante nell’Est del Congo e ancora attivo nella guerriglia congolese. Gli ex ribelli del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp) di Ntaganda da aprile scorso stanno disertando le forze armate regolari, nelle quali erano stati integrati, per confluire nella nuova milizia ribelle del “Movimento 23 marzo”. La guerriglia – forte, secondo le stime, di almeno 2 mila uomini – ha conquistato alcune importanti cittadine dell’Est, e si starebbe avvicinando a Goma, capoluogo regionale del Nord Kivu.
La popolazione congolese, per sfuggire alla guerra cerca rifugio oltreconfine in Uganda: negli ultimi giorni sono arrivati più di 4.500 rifugiati; da aprile 16.270 persone sono state registrate nel centro di transito di Nyakabande. Una situazione, quella del Congo orientale, sempre più esplosiva, tanto che sono intervenuti i vescovi della Conferenza episcopale del Congo denunciando il «piano di balcanizzazione» del Paese che continua «a essere pagato dalla gente inerme».
I vescovi hanno annunciato l’avvio di una vasta campagna di sensibilizzazione in tutte le parrocchie cattoliche del Congo. «La gente deve rendersi conto che il nostro Paese è in guerra e che deve difendere ogni centimetro quadrato del nostro territorio nazionale», ha dichiarato padre Léonard Santedi, segretario generale della Conferenza Episcopale. Padre Santedi, ha anche sollecitato la comunità internazionale a impegnarsi perché sia salvato il Paese dallo «sgretolamento».
Luciano Scalettari