Eto'o, spia di un calcio "dopato"

Il gestaccio del nerazzurro è soltanto follia pura e farsa demenziale. La crisi della squadra di Benitez è invece è la prova che gli impegni nel calcio di vertice sono ormai divoranti.

22/11/2010
La sequenza nella quale si vede il giocatore dell'Inter Eto'o colpire con una testata il difensore del Chievo Verona Bostjan Cesar.
La sequenza nella quale si vede il giocatore dell'Inter Eto'o colpire con una testata il difensore del Chievo Verona Bostjan Cesar.

La crisi dell’Inter è da legare con o da slegare dal gestaccio di Eto’o, la testata al giocatore del Chievo Cesar? Ha perso la testa soltanto il camerunese o addirittura la squadra intera? Personalmente siamo per la separazione fra i due eventi, quello di pochi secondi e quello “lungo” ormai quattro giornate di campionato: anche se, ovvio, la squalifica di Eto’o significherà per la squadra overdose di problemi.

La crisi dell’Inter è una cosa molto seria, la testata no. La testata è follia pura, e diventa farsa demenziale e intanto semitragica e persino patetica se davvero prima della botta c’è stato il riferimento orale al caso Zidane-Materazzi: sempre che davvero il labiale di Eto’o equivalga ad un “faccio come Zidane?”, con stavolta un movente non a base di insulti, ma a base di colpi proibiti, strattonamenti e altro. La testata, in altre parole, poteva “scappare” ad Eto’o, fra l’altro il nerazzurro più in forma, il salvatore della patria in tante occasioni, anche in caso di Inter senza problemi di gioco, e nel caso specifico di partita vittoriosa in quel di Verona.

Poteva “scappare” perché il calcio di vetrina ormai è tutto un manicomio, poteva “scappare” anche al tipetto di solito gentile, bersaglio in campo di colpi e di boati e/o allusioni “di colore”, nella vita extra dedito alla beneficienza, e subito eccessivo la volta, quella sola, in cui perde il controllo e rintraccia una sorta di sfogo. Una testata poi non tremenda, poco più che un appoggio: Eto’o non simile al piccolino che si rifugia “di testa” sul petto del grande, ma neanche intenzionato a far male. E si potrebbe anche arrivare ad argomentare che se l’arbitro, i due assistenti e il quarto uomo non hanno visto nulla, deve essersi trattato di testata poco più che virtuale, visto poi che il colpito si è rimesso e il colpitore ha persino fatto un gol. Presto sentenza (tre giornate, pare) eccetera.

Ma intanto l’Inter in crisi non è secondo noi soltanto la denuncia di una umanamente splendida ma calcisticamente orribile inadattabilità di Benitez (lui sereno, quasi mite, ragionatore, non mai gaglioffo) al nostro modo di vivere e stravivere il football. Benirez ora crocifisso da quelli che, vessati e/o snobbati da Mourinho, avevano inneggiato al suo arrivo. L'Inter in crisi è molto di più: è la prova, valida per tutto il calcio di vertice, che gli impegni appaiono ormai tutti divoranti, per pressione psicologica ben più che per cumulo di lavoro, e che è impossibile stare a lungo in cima al nostro mondo del pallone senza essere in qualche modo dopati: chi di tensione, chi di chimica. Chi di chimica per vincere la tensione, chi di tensione che porta a fare ricorso alla chimica, chi di tensione e basta. Solo così si spiega come Tizio che sino a ieri giocava benissimo ora sembra un bidone, e Caio che correva e correva non corre più, e Sempronio non trova più la porta o la fa spesso trovare all’avversario.

Chi ci segue sa cosa pensiamo di atleti del pallone, tutti o quasi quelli dei quartieri alti, che hanno muscoli da Ferrari dentro una carrozzeria da Panda, destinata ad andare in frantumi alla prima botta seria. A questa problematica fisica che ormai è persino riduttivo chiamare doping si aggiunge, si sovrappone quella psicologica: impegni di permanenza al vertice e voglia di godersi la vita con tutta l’immensa quantità di denaro guadagnata in tempi brevissimi. Tempi serratissimi, con seduzioni spinte, per un programma che presso altri occupa, spalmato e diluito e ragionato con calma, l’intera esistenza.

L’Inter non c’entra, nel senso che è come le altre grandi squadre. Masi è accorto qualcuno che in Italia si segna poco e si gioca male, che il campionato interessa perché c’è acre e incerto livellamento, e pazienza se in basso, che per la Nazionale si stenta, nonostante i Balotelli ed i Ledesma acquisiti, ad ottenere un tasso di classe decente? Abbiamo esasperato il calcio non soltanto più di ogni altro nostro sport, ma più di tutto il calcio del resto del mondo, dove fra l’altro esiste una diversa e meglio collaudata e culturalmente meglio supportata cultura della libertà, del guadagno, anche del divertimento. Insomma della vita.

Gian Paolo Ormezzano
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