05/04/2012
In questi anni di crisi, nuove parole hanno invaso le pagine dei giornali e il linguaggio comune. Siamo tutti diventati esperti di spread, default e deficit pubblico. Non possiamo più vivere senza conoscere le quotazioni in Borsa. Allo stesso modo in cui seguiamo gli oroscopi, le previsioni del tempo e i risultati delle partite di calcio. Priorità davvero desolanti.
Ci sono anche altri termini che hanno fatto capolino, sia pure a fatica, nel parlare quotidiano:fiducia, futuro, solidarietà, sviluppo... Parole che economisti, politici e governanti affermano di avere, a volte, tra i loro obiettivi. O come presupposti per la ripresa. Ma per i cittadini e le famiglie non sono solo parole. Rappresentano valori e scelte di vita. Risuonano come “generatori di speranza”, di cui tanto c’è bisogno oggi.
Speranza per un futuro più sereno. Soprattutto per le nuove generazioni. In questi anni, a garantire la coesione sociale del Paese, più di tutti, sono state le famiglie e le reti sociali di volontariato e del Terzo settore, capaci di riorganizzarsi a servizio del bene comune. Per questo, per un nuovo modello di sviluppo e di crescita dell’Italia, occorre ripartire dalle famiglie e dai cittadini. E puntare sui mille volti del volontariato e dell’impresa sociale, che non è solo mirata al profitto per il profitto.
È un errore non annoverare tra le ricchezze del Paese queste energie vitali. Nonostante tutto, tengono insieme e in piedi il Paese. E fanno ancora grande l’Italia nel mondo. Ma sia l’economia che la politica (incluse, purtroppo, tante scelte di questo Governo) percorrono altre strade. Convinte che per far ripartire il Paese sia sufficiente badare solo agli affari, alla finanza e alle grandi opere. All’insegna del business, che se riparte rilancia l’Italia.
Ma non è così. L’efficientismo e il “tirare la cinghia” al massimo non sono le uniche parole d’ordine per garantire un futuro di crescita. Lo stesso consumismo non è la medicina alla crisi, ma la vera malattia. Va rispettata maggiormente l’autonomia dei cittadini nella costruzione del bene comune. Nello spirito di sussidiarietà tra pubblico e privato. Per mobilitare tutte le energie sane del Paese.
Serve un Governo che non si affidi solo ai soliti poteri forti dell’economia. Ma che sappia riconoscere e valorizzare i luoghi di democrazia partecipativa e di solidarietà attiva: associazioni, volontariato, Terzo settore. E, soprattutto, investa sulle famiglie, che non possono venire sempre dopo. Se si vuole uno sviluppo equo e sostenibile.
«La riforma del mercato del lavoro», ha scritto il sociologo Pierpaolo Donati, «viene oggi condotta secondo linee antiquate, che guardano agli aspetti economici e normativi del trattamento individuale e collettivo del lavoratore, senza considerare che la produttività e la capacità delle imprese di stare sul mercato dipendono dalle misure di conciliazione tra famiglia e lavoro». Questa è la vera liberalizzazione di cui ha bisogno l’Italia.
Liberalizzare solidarietà, sussidiarietà e tutte le forze vive del Paese. Investire, soprattutto, su chi “costruisce futuro”. E su chi genera speranza e progetto per tutti. La crisi che stiamo vivendo nasce dalla debolezza della famiglia. Che una politica, poco lungimirante per non dire miope, sta vessando e impoverendo ancor di più.