15/10/2012
La sede della Regione Lombardia.
Il Governo della Lombardia - principale residuato politico di quell’asse del Nord basato sull’alleanza tra Pdl e Lega - ha i giorni contati. L’assesore del Pdl Domenico Zambetti, in carcere con l’accusa di aver comprato voti dalla ‘ndrangheta, è solo il 14esimo dei consiglieri regionali sottoposti a inchiesta da parte della magistratura. La situazione ormai è insostenibile. Tranne che per il Celeste, che avrebbe volentieri continuato fino alla scadenza naturale della legislatura, nel 2015. Ma la Lega di Maroni, che coltiva il sogno di occupare la poltrona di governatore, ha deciso di staccare la spina. Il problema è che ha bisogno di tempo (fino alla primavera prossima) per organizzare la campagna elettorale.
Per stoppare le ambizioni del Carroccio Formigoni, un uomo al comando sempre più solo e isolato (perfino Berlusconi e Alfano, che ha parlato di accanimento terapeutico, hanno preso le distanze dalla sua giunta), rilancia e parla di 45-90 giorni. Sono entrambi “penultimatum” poiché il gioco della Lombardia (una regione che ha dieci milioni di abitanti e un quinto del Pil nazionale) rientra in un gioco più grande di cui fanno parte anche Veneto e Piemonte. Se la Lega dovesse alzare troppo la voce, immediatamente il Pdl ritirerebbe l’appoggio su Torino e Venezia, i due simboli del potere leghista. “La possibilità che cada il Veneto per le questioni lombarde è zero”, fa sapere da Verona il numero due della Lega maroniana Tosi. “Nessun consigliere regionale seguirebbe l'ordine di far cadere Zaia, soprattutto nel Pdl che è allo sbando".
Riferendosi ancora alla situazione nel Pdl veneto, Tosi ha osservato che "lì la situazione è 'ognuno per se' e Dio per tuttì: se ricevessero un ordine di quel tipo lo disattenderebbero già per principio. E poi come fanno a spiegare ai cittadini veneti: 'guardate, andiamo a rivotare non perche' Zaia governa male, ma perché c'é confusione in Lombardià? Sarebbe un suicidio politico". Ma il suicidio politico del Pdl, di questi tempi, è una delle opzioni del Cavaliere, che rimane pur sempre il padre padrone del partito.
Francesco Anfossi