19/01/2012
Una manifestazione del movimento internazionale "Occupy" davanti alla cattedrale cattolica St Paul's di Londra (Reuters).
Dal 1990 la disuguaglianza è aumentata in 14 dei 18 Paesi del G20, mentre la crescita economica continua a escludere i più poveri, secondo quanto afferma il un nuovo rapporto dell'Ong Oxfam, “Dimenticati dal G20?”, pubblicato oggi in occasione dell’incontro dei ministri delle finanze in Messico.
Il movimento che va sotto il nome di "Occupy" e che ha manifestato in più di 80 Paesi in tutto il mondo ha posto al centro della protesta la rabbia per la palese disuguaglianza: l’1% della popolazione mondiale detiene infatti una fetta sproporzionata della torta economica.
Lo studio di Oxfam dimostra che la disuguaglianza è aumentata in modo più veloce in Russia, Cina, Giappone e Sudafrica nel periodo 1990-2010.
La disuguaglianza è aumentata anche in paesi ricchi come Canada, Regno Unito e Germania
Altre dimostrazioni di protesta davanti alla Statua della Giustizia a Francoforte, in Germania (foto Reuters).
La Corea del sud è l’unico Paese industrializzato che è riuscito a ridurre le disuguaglianze negli ultimi venti anni, mentre tra le economie emergenti, solo Brasile, Argentina e Messico hanno iniziato un percorso che dev'essere proseguito.
Oxfam consegnerà il rapporto al Presidente messicano (quest’anno il Messico ha la presidenza del G20 ) nel corso del Forum Economico Mondiale di Davos che si terrà la settimana prossima.
“L’alta marea della crescita economia non tiene necessariamente a galla tutte le barche - spiega Caroline Pearce, coautrice del rapporto: alcune vanno a fondo. Il nostro studio dimostra chiaramente che la crescita economica non beneficia affatto le fasce più povere. Se il G20 vuole affrontare il problema deve adottare politiche di sostegno al reddito dei più poveri e trovare forme di protezione dalle conseguenze del degrado dell’ambiente”.
Manifestanti del movimento "Occupy" a Pasadena, in California (foto Reuters).
Il 50% dei poveri del mondo vive nei Paesi del G20, che sono quindi cruciali per la lotta contro la povertà. Il rapporto dimostra che ridurre le disuguaglianze è sensato non solo da un punto di vista etico, ma anche economico. Mentre in passato la crescente ineguaglianza era vista come inevitabile conseguenza del progresso economico, ora ci si rende conto che al contrario rappresenta un vero e proprio freno alla crescita.
In Brasile dal 1999 al 2009, quasi 12 milioni di persone sono uscite dalla povertà assoluta (meno di 1,25 dollari al giorno) portando la proporzione di persone che vivono in povertà da circa uno su nove a meno di uno su 25, grazie alla crescita economica e a redditi più omogenei. Ridurre le disuguaglianze a un ritmo simile nel prossimo decennio ridurrebbe la povertà di un ulteriore 80%.
In Sudafrica, invece, più di un milione di persone saranno ridotte in povertà nel prossimo decennio, a meno che non vengano prese misure adeguate.
“Il diverso destino dei poveri in Sudafrica e Brasile – due paesi con tassi di crescita simile – mostrano il ruolo cruciale giocato dai governi nel ridurre la povertà e le disuguaglianze” spiega la Pierce.
La copertina del Time magazine con l'uomo dell'anno del 2011: il manifestante (foto Ansa).
Il rapporto elenca cinque politiche chiave, da adottare ai contesti nazionali, che i governi possono adottare per ridurre le disparità: trasferimenti redistributivi; accesso universale alle cure e all’istruzione; tassazione progressiva; rimozione delle barriere a uguali diritti e opportunità per le donne; riforma delle politiche agrarie.
Ad oggi, nessun paese al mondo ha dimostrato che è possibile combinare alti redditi medi e un utilizzo sostenibile delle risorse naturali. Tuttavia, molti Paesi a medio reddito sono riusciti a ridurre l’impatto della loro crescita economica sulle risorse naturali. Tra il 1991 e il 2007, il prodotto interno lordo del Messico è cresciuto 4 volte più velocemente di quanto siano cresciute le sue emissioni di CO2. La Cina è cresciuta due volte e mezzo più velocemente. Al contrario, i paesi G20, nel complesso, non sono stati all’altezza di questa sfida. Solo quattro di essi hanno ridotto le loro emissioni di CO2 in vent’anni, dal Summit di Rio del 1992.
Gabriele Salari