Giornalisti a Tripoli, lavoro difficile

Ci interroghiamo sulla fondatezza delle notizie sin qui diffuse. Si dà per imminente, oltre che scontata, la caduta del dittatore. Ma è presto per giurare che farà la fine di Ceausescu.

01/03/2011
Muammar Gheddafi ride durante l'intervista concessa alla Abc, alla Bbc e al Sunday Times a Tripoli, il 28 febbraio 2011.
Muammar Gheddafi ride durante l'intervista concessa alla Abc, alla Bbc e al Sunday Times a Tripoli, il 28 febbraio 2011.

È già da diversi giorni che i Tg, nelle corrispondenze dalla Libia, intitolano sull’ “ultimo assalto a Gheddafi”. Il quale Gheddafi se ne starebbe “chiuso nel suo bunker”, come d’uso per chi non può rischiare nemmeno una sortita. I cronisti dei quotidiani appaiono più cauti, dividendosi fra quelli che hanno raggiunto le zone già insorte e quelli di stanza a Tripoli, dove assai meno si riesce a capire. Gli uni e gli altri danno comunque per imminente, oltre che scontata, la caduta del dittatore.

Ora vorremmo astrarci per un momento dai giudizi su Gheddafi, quasi tutti, e giustamente, negativi. Se abbiamo una perplessità, questa non riguarda un dittatore i cui metodi sono condannati su scala mondiale. Ci interroghiamo soltanto sulla fondatezza delle notizie fin qui diffuse. Ossia sul tipo di informazione fornita alla gran massa di lettori e ascoltatori, in Italia e altrove.

Nelle ultime due settimane si è parlato di eccidi su larghissima scala, mille morti che in breve sono diventati diecimila, con tanto di fosse comuni scavate sull’arenile tripolino. Notizie non solo smentite ma ridicolizzate da un esperto come Angelo Del Boca, giornalista-principe che da decenni si batte a sostegno delle ex-colonie, dal Nordafrica all’Etiopia. Mentre poi in Cirenaica il potere sembra stabilmente in mano alla rivolta, in Tripolitania nulla sappare sicuro. Ovvio che Gheddafi fa solo spot quando sostiene che la situazione è tranquilla. Ma è presto per giurare che farà la fine di Ceausescu.

Ciò che non vorremmo, per la serietà appunto dell’informazione, è che si scambino per certezze i propri desideri. E che in specie i corrispondenti da Tripoli non cedano alla sindrome descritta da Evelyn Waugh, grande umorista inglese: l’inviato speciale che, mancando le visioni cruente in cui è maestro, non sa cosa mettere su carta. Se dice che non succede granché, mentre i colleghi impazzano sul sangue che scorre nelle strade, è fatale che il direttore lo sostituisca. Così i colleghi da Tripoli si sforzano di colorare qualche sparatoria notturna, dandole un rlievo drammatico e corredandola con notizie che vengono da altri luoghi. E che sono, diversamente da Bengasi, incerte e spesso contraddittorie.

Conclusione. Sul futuro della Libia si leggono e ascoltano pronostici di ogni genere. Attendibili o no, c’è solo da aspettare. A noi basta un minimo di verità, o veridicità, per il momento attuale. Se si parla di “ultimo assalto” a Gheddafi, rinchiuso come un topo, che intanto ci sia almeno il penultimo. Aiuterebbe a capire

Giorgio Vecchiato
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