Giovani, il futuro è adesso

Una ricerca curata dall'Azione cattolica ambrosiana fotografa una situazione dinamica e svela una generazione ingiustamente accusata di immobilismo.

24/04/2012
la copertina della ricerca a cura dell'Azione cattolica.
la copertina della ricerca a cura dell'Azione cattolica.

Mammoni! Fannulloni! Monotoni! Bamboccioni! Incontrate un ragazzo per strada e chiedetegli che lavoro fa. Chiedetegli cos’ha studiato e, soprattutto, quando scadrà il suo contratto. Poi chiedetevi: al suo posto, che fiducia avreste nel futuro? Potrà sposarsi e pensare di avere un figlio? Potrà chiedere un mutuo? Non pare un periodo ricco di prospettive per i giovani italiani, che sono il nostro futuro: il cardinal Bagnasco ha recentemente parlato del “lento suicidio demografico” di un Paese che ha paura del futuro. Eppure, “la situazione non è così nera come viene descritta, non è tutto assenza di possibilità, soprattutto in campo maschile”, dice Francesco Marcaletti, docente di Relazioni del Lavoro dell’Università Cattolica che ha coordinato l’indagine “Li chiamavano Bamboccioni: giovani e lavoro nell’era della Flessibilità” presentata dall’Azione Cattolica Ambrosiana.

Mille questionari distribuiti nella diocesi di Milano, a giovani fra i 18 e i 30 anni. Un percorso durato otto mesi che svela luci e ombre del mercato del lavoro attuale e dei suoi protagonisti del futuro: i giovani. Certo, la constatazione riguarda Milano, la “capitale economica”, mentre in altre regioni i risultati sarebbero ben diversi; inoltre, il campione ha raggiunto i ragazzi del circuito dell’Azione Cattolica, mediamente molto istruiti e raramente appartenenti ai ceti popolari. Tuttavia, la ricerca smentisce, senza negare il problema, l’allarmismo sulla disoccupazione giovanile, che “rischia di diventare uno stereotipo”. Secondo l’Istat, che considera i giovani dai 15 ai 24 anni, nella provincia di Milano sono due anni consecutivi in cui il tasso di disoccupazione giovanile maschile cala, dal 23,4% del 2009 al 16,5% del 2011, mentre aumenta quello delle ragazze: dal 23,1% al 25,1%. Marcaletti ricorda che il dato citato da molti - 1 giovane su 3 senza lavoro - va letto in relazione al tasso di attività.

A Milano, su 100 giovani, sono 29 quelli che sono realmente sul mercato del lavoro: di questi, il 19,7% è disoccupato, quindi il 5,7 % del totale dei giovani milanesi. “Non 1 giovane su 3, ma quasi 6 su 100 sono i giovani realmente disoccupati”. C’è un altro dato, forse inaspettato: quando lavorano, i giovani ambrosiani hanno un contratto a tempo indeterminato in un terzo dei casi. Il lavoro con la L maiuscola. Anche in questo caso, con una differenza di genere significativa: per i maschi questo dato raggiunge la metà, mentre per le ragazze si ferma al 21,8%. Il lavoro in nero riguarda, invece, il 17,8% delle femmine e il 5,7% dei maschi. Sempre Marcaletti nota una buona flessibilità e adattabilità al mondo del lavoro dei milanesi, specialmente tra le ragazze.

Dall’indagine emerge anche l’immagine di giovani mediamente soddisfatti del proprio lavoro anche se non sempre coerente con i propri studi. I giovani entrano nel mercato del lavoro gradualmente, spesso affiancando il lavoro allo studio e vivendo una pluralità di percorsi, ciascuno con le proprie particolarità e peculiarità. Vi è un aumento della pluralità delle forme lavorative, si innalzano i livelli di istruzione, iniziano a svilupparsi nuovi lavori, cresce la terziarizzazione. Bamboccioni? Secondo Marcaletti, “il punto di domanda va comunque lasciato”. Quasi il 90% vive nella famiglia di origine (l’età media del campione è 24 anni), collaborando poco alle attività domestiche a fronte di un forte grado di libertà su orari e comportamenti. “Si mostrano molto selettivi nella scelta del lavoro. Alla domanda se sono disposti a trasferirsi, a svolgere più di un lavoro, magari alla sera, le risposte favorevoli non sono molte. Il lavoro sì, ma a certe condizioni”.

Dall’indagine milanese emerge quindi un quadro variegato, di potenzialità e difficoltà; l’obiettivo è quello di fotografare la situazione in modo oggettivo, partendo dal vissuto reale. Secondo l’Azione Cattolica, infatti, serve porsi il problema, studiarlo, dire le cose con chiarezza. “Una generazione ingiustamente accusata di immobilismo”, sintetizza Antonio Filieri, 26 anni, vicepresidente milanese. Conferma Miriam Ambrosini, 24 anni, anche lei vicepresidente di AC Ambrosiana: “Spesso si parla ai giovani con la lingua di una generazione che non è la loro e si pretende anche di essere ascoltati e seguiti. Serve un nuovo linguaggio che parta dalla loro esperienza e non dagli stereotipi che continuamente le vengono sovrapposti, da “bamboccioni” a “scansafatiche”. I giovani che incontriamo sentono ben poche voci parlare a loro, mentre tanto rumore si spreca su di loro”.

Stefano Pasta
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Postato da antonel il 26/04/2012 11:40

Che un giovane italiano su tre sia disoccupato è una panzana messa in circolo dall'Istat, che non si rende conto come -nella fascia15-24 - il numero degli studenti sia di gran lunga prevalente. Sono d'accordo che il 5,7 di disoccupazione giovanile milanese non rispecchia la situazione italiana, ma non mi stupirei se il dato nazionale reale (depurato, cioè, dai veri inattivi) fosse più o meno simile a quello generale della disoccupazione, attorno al 9 per cento, con punte più alte al Sud. Purtroppo stiamo facendo a gara a chi la spara più tragica, a cominciare dal Presidente del Consiglio. Certe frasi del tipo "rischiamo di finire come la Grecia" non solo sono infondate, ma irresponsabili, perché creano nel Paese un clima di sfiducia che non aiuta a riprendersi. E quando sento Monti dire «certo i suicidi ci addolorano, ma se fossimo finiti come la Grecia sarebbero stati molti di più», mi chiedo perché lo tengano ancora a Palazzo Chigi. Su queste cose la tanto bistrattata politica è immensamente superiore ai "tecnici". Che il Signore ce la riporti. In fretta.

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