Crisi, la Grecia è in ginocchio

Provvedimenti durissimi per scongiurare il fallimento: licenziamenti dei dipendenti pubblici, tagli agli stipendi, aumento della benzina. Gasolio troppo caro: la gente va a far legna.

11/02/2012
Scontri tra dimostranti e polizia (foto sopra e di copertina: Ansa).
Scontri tra dimostranti e polizia (foto sopra e di copertina: Ansa).

«Se la Grecia avesse venduto i diritti di questa saga, avrebbe già ripagato il suo debito. E' il reality tV politico economico definitivo». Così, giovedì 9 febbraio, un giornalista del maggiore quotidiano greco, Kathimerini, scherzava commentando l'ultima settimana di estenuanti trattative per il salvataggio del Paese. Da lì a poco sarebbe arrivata la notizia che i leader dei partiti greci avevano trovato un accordo per il via libera al durissimo piano di riforme chiesto ad Atene dai creditori internazionali, in cambio di un nuovo piano di salvataggio da almeno 130 miliardi di euro: denaro che serve alle tartassate casse greche per evitare di fare bancarotta entro il 20 di marzo, quando arriveranno a scadenza 14,5 miliardi di obbligazioni statali.

Tre giorni dopo l'accordo ufficialmente non è ancora arrivato, il piano di austerità, il cosiddetto memorandum, chiesto dalla trojka Ue, Bce, Fmi ha ancora 600 milioni di tagli ancora da destinare, il governo greco ha sei membri in meno fra ministri, viceministri e sottosegretari e Syntagma, la centralissima piazza del Parlamento di Atene è ancora cinta d'assedio dai manifestanti che scioperano contro la “macelleria sociale”. E forse, quel che è peggio, tutti temono che alla fine, alla luce delle nuove disastrose previsioni sull'economia del Paese, anche i nuovi 130 miliardi possano essere insufficienti.

Il default del Paese non è mai stato una possibilità così concreta. Ma su che cosa deve decidere il Parlamento greco in questi giorni, per far sì che i partner europei sblocchino quei fondi che permetteranno alla Repubblica Ellenica di salvarsi almeno nel breve termine? Il terzetto composto da Fondo Monetario, Banca Centrale Europea e Unione Europea chiede, come prerequisito per dare il via al prestito, l'approvazione di una road map che porti a una riduzione del rapporto debito-Pil del Paese al 120% nel 2020. Attualmente il rapporto è del 160%. Per riuscire a conseguire questo obiettivo gli sforzi chiesti sono immani e il rischio, percepito ovunque, è che la cura, oltre che inefficace, possa essere ulteriormente recessiva.

La ricetta è contenuta in un documento di 51 pagine frutto di settimane di trattative. L'obiettivo immediato è quello della riduzione della spesa pubblica di 3,3 miliardi di euro solo nel 2012: per farlo si dovranno tagliare le pensioni supplementari del 15%, gli stipendi minimi del 22% e quelli dei giovani neoassunti tra i 18 e i 25 anni del 32%, con un blocco per almeno tre anni. Questa sforbiciata si porterà dietro, a cascata, una riduzione di tutti gli altri salari e, probabilmente anche del sussidio di disoccupazione, che attualmente è fissato in 461 euro (lo stipendio minimo invece è di 751 euro, lordi). Un ulteriore colpo per i lavoratori di un Paese al quarto anno di recessione e dove la disoccupazione ha raggiunto il tasso del 22,8% a novembre ai massimi in Europa insieme alla Spagna.

E poi ci sono i 15mila esuberi del pubblico impiego chiesti solo quest'anno (addirittura 150mila entro il 2012), le chiusure di enti statali e le privatizzazioni. Un capitolo particolarmente doloroso quest'ultimo, perché tante aziende pubbliche greche sono sommerse dai debiti: quelle più sane invece faranno gola ad investitori esteri, col risultato che buona parte dei profitti staranno comunque fuori dal Paese. “Secondo le nostre stime preliminari  - spiega Savas Robolis, docente di economia alla Pantheion University e direttore dell'Ine/Gsee-Adedy, il principale istituto di ricerca sul lavoro della Grecia, legato ai due sindacati maggiori - la recessione con queste misure rischia di peggiorare di un punto percentuale già nel 2012: se le previsioni erano di un Pil a -3%, andremo a -4%. La disoccupazione che ora è al 19% circa su base annua, potrebbe aumentare nel 2012 di tre punti: significa che avremo 50mila senza lavoro in più.

Già adesso sono più di un milione. Solo nel triennio 2009-2011 abbiamo bruciato lo stesso numero di posti di lavoro creati in Grecia tra il 2000 e il 2008: 320mila. A livello di retribuzioni torneremo al 2005, indietro di sette anni”. Le stime sono desolanti e trovano riscontro immediato nella vita di tutti i giorni. Ad Atene ormai da due anni il cartello più presente nelle vie del centro è “Enoikiazatai”, affittasi, segno dei negozi che falliscono a ritmo giornaliero. I prezzi degli immobili sono in caduta libera, mentre quelli degli alimentari e della benzina per via del'Iva al 23% e della accise sui carburanti sono a livelli record: un litro di verde costa oltre 1,8 euro. Il risultato è che facendosi un giro per le autostrade dell'Attica, si può viaggiare chilometri senza incontrare macchine.

E visto che è aumentato anche il prezzo del gasolio da riscaldamento la gente sta ritornando nei boschi a far legna per i camini. Allo stesso tempo le code alla mense gestite dalla chiesa greca o dalle associazioni di assistenza si allungano sempre più. Non bisogna dimenticare che per ottenere l'ultimo prestito internazionale, quello da 110 miliardi del maggio 2010, i greci avevano già dovuto sottostare a condizioni draconiane come quelle che sono nuovamente richieste loro oggi. Per questo motivo i parlamentari dei partiti che sostengono il governo tecnico dell'ex banchiere centrale europeo Lucas Papademos (ovvero i socialisti del Pasok, i conservatori di Nea Dimokratia e la destra nazionalista del Laos) sono in rivolta. Tanti pensano che  i sacrifici chiesti siano ingiusti, addirittura incostituzionali, altri guardano alle elezioni, che dovrebbero tenersi in aprile. 

Tra poche ore  è previsto un voto sul memorandum: 16 deputati del Laos hanno annunciato che voteranno contro, così come  venti “dissidenti” del Pasok, il partito di maggioranza del vecchio governo di Georgios Papaandreou, in caduta verticale nei sondaggi (un anno fa era intorno al 40%, ora è all'8%). La “maggioranza” tecnica conta su 252 deputati su 300: tolti questi 36 e vari franchi tiratori il piano dovrebbe comunque passare, salvo clamorose sorprese. Ma se quasi tutti, all'ombra del Partenone, sono alla fine convinti che un ritorno alla Dracma sarebbe anche più disastroso, la domanda di fondo resta comunque una: a quale prezzo?  

Federico Simonelli
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Postato da martinporres il 12/02/2012 04:09

Torneremo a fare la fame in europa? Dopo la grecia a chi tocca? Ci raccontano che l'italia non farà la fine della Grecia, ci stanno raccontando la verità'?

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