01/12/2010
Fabio Torriero
Se volete capire – comunque la pensiate in politica - quale sia la destra moderna che sta a cuore a Gianfranco Fini e come potrebbe essere il post-berlusconismo (con o senza Fini, con o senza Berlusconi), allora dovete partire da “Federalismo tricolore”,(edizione I libri del Borghese), di Fabio Torriero, giornalista, storico e direttore de “la destra delle libertà” . Torriero è stato tra i fondatori storici della fondazione “Fare Futuro”, il “think tank” del presidente della Camera che tanto filo da torcere sta dando al Cavaliere e alla sua "armada" mediatica. Torriero alle apparizioni televisive preferisce i libri e i convegni. Mentre Bocchino e Granata vanno in Tv ad Anno Zero e a Ballarò e ovunque vi sia la visibilità lui se ne sta in redazione e lavora nel cantiere di idee e valori della nuova creatura politica che verrà. Ha curato tra l’altro le edizioni italiane dei libri di Sarkozy, Aznar e Cameron, i tre alfieri della destra europea moderna. Se all’indomani del processo unitario dopo aver fatto l’Italia bisognava fare gli italiani, l’idea centrale del suo saggio è che oggi, a 150 anni di distanza, ci sia l’Italia da fare, rovesciando la celeberrima battuta di Massimo D’Azeglio, passando cioé dalla nazione allo Stato.
Uno Stato federale, che recepisca le idee che vanno da Gioberti, Rosmini, Cattaneo, Sturzo su su fino a Gianfranco Miglio (ma anche Giuseppe Toniolo e Romolo Murri), i padri nobili del federalismo che l’autore passa in rassegna dopo aver analizzato la crisi istituzionale dello Stato Italiano: "l’Italia d’oggi è un po’ una Repubblica Spezzatino, un po’ presidenzialista, un po’ parlamentare, un po’ federalista, con un sistema elettorale contraddittorio alla base del malfunzionamento del Parlamento e della crisi dei partiti e della classe politica". Tra i meriti dell’elaborazione di Torriero c’è quello di passare in rassegna tutti i problemi emersi con la globalizzazione (dalla crisi politica degli Stati a quella dell’Unione europea) e di dare una risposta ai suoi problemi (l’immigrazione, la multietnicità, la cittadinanza) senza ricorrere al visceralismo della Lega.
Giustamente l’autore individua il Carroccio di Umberto Bossi come il prodotto dell’era della globalizzazione, quando i localismi, parafrasando Alain Minc, hanno sostituito le ideologie. Ma come è possibile elaborare un “federalismo tricolore”? Innanzitutto partendo dal Risorgimento “da cui non si può prescindere”. Torriero smonta il luogo comune dinastico dell’Unità come espansione dinastica dei Savoia e piemontesizzazione del Paese (è peraltro il tema del film di Mario Martone “Noi credevamo"). In realtà italiani, gli italiani lo diventarono, seppur gradualmente (non è stato certo il plebiscito di ogni giorno di cui parla Renan), attraverso un processo simile a quello illustrato da Rogers brubekar, spesso attuato dalle élites: dallo Statuto albertino alla nostra Costituzione, dall’estensione progressiva del sufffragio all’entrata delle masse cattoliche e socialiste, fino alla legislazione sociale di Giolitti.
Per arrivare a una nuova forma di nazionalità Torriero suggerisce il “civismo territoriale” proposto da Cameron e la regionalizzazione dei partiti. Proprio così: il passaggio da partiti molitici a “partiti arcipelago”, che “dovramnno avere uno spazio ad hoc nei livelli più alti di codecisione politica e istituzionale”. La regionalizzazione dei grandio partiti sarà il modo per cambiare una politica vecchia e logora. Per il momento non sembra sia così. I partiti sono anzi saldamente in mano a un manovratore (da Vendola a Di Pietro, da Casini a Berlusconi, compreso lo stesso Fini con il suo Futuro e libertà). Solo il Pd è in preda agli spasmi di più "correnti", anche se la tendenza delle suddette correnti è quella di centralizzare il partito. Ma per Torriero ciò che è accaduto all’interno del Pdl, l’implosione di un partito nato con una fusione troppo “fredda” è l’inizio di qualcosa che verrà. Lo scopriremo solo vivendo. E quindi lunga vita a tutti noi, di destra, di centro e di sinistra.
Francesco Anfossi