22/03/2012
Il premier Mario Monti con il ministro del Lavoro Elsa Fornero.
Monsignor Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Bojano e
presidente della Commissione Lavoro, giustizia e pace della Conferenza episcopale italiana, docente di Storia della Chiesa
con una lunga esperienza di operaio in fabbrica negli anni della giovinezza,
continua a porsi una domanda. “Con questa riforma la precarietà sarà vinta? O
resteremo comunque in un clima di precarietà? O addirittura l’aumenteremo?”
- E ha trovato la
risposta, monsignor Bregantini?
“Non entro tanto nel merito tecnico. Ma sulla questione in
atto mi permetto di fare tre rilievi critici. Il primo è il dispiacere che
provo nel vedere la Cgil lasciata fuori da questa riforma. Un fatto che viene
quasi dato come scontato, quasi che il primo sindacato italiano per numero di
iscritti non sia una cosa preziosa per una riforma del lavoro. Dietro questa
fetta di sindacato c’è tutto un mondo importante, cruciale, da coinvolgere per
camminare verso il futuro. Altrimenti c’è il rischio che questa parte sociale,
con i suoi milioni di iscritti, resti disillusa, arrabbiata, ripiegata su
atteggiamenti difensivi, su un passato che non c’è più. Lasciare fuori la Cgil
sarebbe una perdita di speranza notevole, un grave errore”.
- Il secondo rilievo?
“Ci voleva un po' più di tempo per mettere in atto una
riforma così importante. Non era necessaria questa fretta così evidente. La
questione è chiusa, è stato detto da parte del premier Mario Monti. Si poteva
dire: la questione è posta, ora dialoghiamo, nelle fabbriche, negli uffici, in
Parlamento, nella società civile, ovunque perché il lavoro è il tema cruciale
del nostro Paese. Ma c’è un terzo rilievo, forse il più importante e profondo”
- E quale?
“Bisogna chiedersi, davanti alla questione dei licenziamenti,
chiamati elegantemente, con un eufemismo, “flessibilità in uscita”, se il
lavoratore è persona o merce. E’ la grande istanza dell’enciclica sociale Rerum Novarum. La questione di fondo. Il lavoratore non è una merce. Non lo si può trattare come un prodotto da dismettere, da eliminare per motivi di bilancio, perché resta invenduto in magazzino. Leone XIII lo scrisse nella pietra miliare del cattolicesimo sociale, emanata nel 1891, più di un secolo fa. E’ un po’ come nella
questione della domenica derubricata a giorno lavorativo. In politica ormai l’aspetto tecnico sta
diventando prevalente sull’aspetto etico”.
- Del resto questo è
un governo espressamente di tecnici...
“Se con Berlusconi la questione centrale era legata al profitto,
oggi c’è l’aspetto tecnico che domina ogni questione politica. Ma alla fine
tra profitto e aspetto tecnico si crea una sintonia eccessiva. L’aspetto etico
nella politica è necessario. E invece non è più tenuto in considerazione”.
- Il Capo dello Stato
ha invitato il Paese a riflettere sul fatto che non abbiamo più risorse e che
l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è solo un aspetto della riforma.
“La tematica di fondo dell’articolo 18 dovrebbe
coprire tutti i lavoratori, non solo quelli con più di 15 dipendenti, già
garantiti. Va estesa come valori di dignità e difesa come normativa. Ma più in generale, come sollecita il Capo dello Stato, riflettendo sulla
riforma decisa dal governo nel suo complesso mi chiedo: diminuirà o aumenterà il
precariato dei nostri ragazzi? Riusciremo ad attrarre capitali ed investimenti dall'estero solo perché è più facile licenziare? Sarà
snellita la burocrazia? Daremo con questa riforma più vigore all’esperienza
imprenditoriale? Ma non vorremmo nemmeno che
la cosa fosse schiacciata su questi temi, perché ripeto, al centro di tutto ci
deve essere la dignità dell’uomo e della famiglia”.
- Ci sono aspetti che
ritiene positivi in questa riforma?
“Siamo contenti che i licenziamenti discriminatori vengano
contemplati per tutti, anche nelle aziende con meno di 15 dipendenti. Questo è
un discorso molto positivo. Anche la triplice distinzione dei licenziamenti in discriminatori,
economici e disciplinari è molto saggia.
Che ne pensa dei
licenziamenti economici? Se passa la riforma del governo qualunque lavoratore
del privato potrà essere licenziato per la sola motivazione che l’azienda è in
crisi o che non serve più la mansione cui era addetto…
“E’ preziosa la distinzione, ho detto. Ma la modalità con
cui è ipotizzato il licenziamento economico potrebbe rivelarsi infausta. Ho
letto che nemmeno il giudice può intervenire. Siccome siamo in una fase di
paura generalizzata è facilissimo che si arrivi a questo in tutto il Paese”.
Teme che nelle
aziende e nelle famiglie ci sia un’ondata di terrore per paura di vedersi
lasciati in una strada per motivazioni economiche o organizzative dai datori di
lavoro?
“Temo questo. Una siepe protettiva sui licenziamenti
economici bisognava metterla. Rivolgo un appello a livello parlamentare e a livello
di riflessione culturale perché si possa creare una rete di diritti e di
protezioni più solida. Del resto, di fondo, come ho scritto nella mia diocesi
in occasione di San Giuseppe, siamo molto riconoscenti al ministro Fornero e al
premier Monti e ai sindacati per questo dibattito che ha riportato al centro il
lavoro. Ci hanno ridato la consapevolezza che il lavoro è un dono. Ma c’è una
parola chiave che deve rientrare: dignità. Per i nostri giovani e per i loro
padri che temono di essere licenziati per motivi economici. Dobbiamo puntare su
questo più che sulle paure. Capisco che la declinazione di questi temi in una
norma non è facile. Ma è la dignità che
attrae gli investimenti”.
Francesco Anfossi