Il Maghreb brucia, l'islam non c'entra

Per il "caro prezzi" in Marocco, per un regime ladro in Tunisia, per le elezioni fasulle in Egitto. Il fondamentalismo è stato spiazzato dalla rivolta del Maghreb tanto quanto i regimi.

30/01/2011
Gli scontri tra polizia e dimostranti al Cairo.
Gli scontri tra polizia e dimostranti al Cairo.

Alla malinconia di avere un ministro degli Esteri che, per ragioni di bottega e di bottegaio, si occupa dello staterello caraibico di Santa Lucia più di quanto faccia con le fiamme di rivolta che incendiano la sponda Sud del "nostro" Mediterraneo, si aggiunge lo sconcerto per quei commentatori che ancora non hanno capito la lezione.

     Con quanto succede in Tunisia e in Egitto, ma non solo lì, l'islam e il fondamentalismo non c'entrano nulla. Al contrario: sono proprio gli islamisti i più spiazzati di fronte a moti popolari improvvisi, imprevisti sia agli occhi dei regimi al potere (e dei loro onnipresenti apparati repressivi), sia agli occhi di chi eventualmente sogna califfati e Stati islamici, sia alle cancellerie internazionali. Dell'Italia (maggior partner commerciale della Tunisia, secondo per l'Egitto) abbiamo detto ma non è che gli altri abbiano fatto meglio. La Gran Bretagna, potenza due volte occupante (1882 e 1956) dell’Egitto, tace. La Francia, ex potenza coloniale, balbetta a sproposito, prima difende l’operato del dittatore tunisino Ben Alì e poi fa finta di non averlo mai conosciuto. La Spagna? Non pervenuta. Gli Usa non hanno ancora deciso se mollare Hosni Mubarak al suo destino o difenderlo.

     E' curioso. Gli stessi che hanno esaltato "rivoluzioni" di breve o brevissimo respiro (quella "dei cedri" in Libano, quella "arancione" in Ucraina, quella "delle rose" in Georgia) ora si esercitano nello scetticismo verso la "rivoluzione dei gelsomini" che ha se non altro un pregio enorme: introduce una variabile importante nell'eterno dibattito tra le dittature filo-occidentali e la minaccia dell'islamismo.

     Per capirlo basterebbe ammettere un fatto peraltro evidente: i tumulti del Maghreb non hanno nulla a che fare con l’islam né con il fondamentalismo islamico. Le proteste in Marocco sono scoppiate per il rincaro del 20% dei generi alimentari, poi annullato dal Governo. In Algeria la protesta si è rivolta contro il regime di Bouteflika, che incassa somme enormi con l’esportazione di gas e petrolio ma ha ancora il 23% della popolazione sotto la soglia della povertà (2 dollari al giorno), e contro uno Stato che dal 1992 governa con lo “stato d’emergenza”. In Libia, dove Gheddafi si appoggia su polizia ed esercito, i libici hanno sfidato i fucili perché, dopo essere stati espropriati delle terre, non avevano nemmeno un tetto sotto cui ripararsi. E il Rais ha dovuto stanziare in tutta fretta 24 miliardi di dollari per placarli.

     In Tunisia la gente si è liberata di Ben Alì, il satrapo ladrone che, con la disoccupazione al 15%, aveva intestato ai propri familiari quasi tutte le attività economiche del Paese. In Egitto l’ira si è rivolta contro Hosni Mubarak, al potere dal 1981, gestore di una finta democrazia che discrimina 10 milioni di cristiani e spende in corruzione il mare di aiuti che arrivano dagli Usa, pari al 10% del prodotto interno lordo del Paese. Che cosa c’entra l’islam?

     Il vero rischio, se parliamo di islamismo, lo correremo tra breve. Se il cambiamento non sarà significativo nei Paesi dominati da decenni da militari e lestofanti, se la virata verso una maggiore democrazia ed efficienza non sarà evidente. E se, soprattutto, l'Occidente (Italia, Francia e Usa in prima fila) mostrerà ancora una volta di avere a cuore i propri interessi e le proprie ossessioni più del benessere di decine di milioni di persone che peraltro, proprio nel Maghreb, guardano all'Europa come a un modello, se non come a un possibile approdo. Quella sì che sarebbe una grande occasione per il fondamentalismo.



Fulvio Scaglione
Preferiti
Condividi questo articolo:
Delicious MySpace

I vostri commenti

Commenta

Per poter scrivere un'opinione è necessario effettuare il login

Se non sei registrato clicca qui

Postato da Andrea Annibale il 30/01/2011 18:48

Vorrei limitarmi a tre considerazioni, che integrano quelle interessantissime che ho appena letto. I Paesi islamici non hanno conosciuto la rivoluzione industriale che, in Occidente ha portato, all’attuale benessere delle società capitaliste. Tra i quattro Paesi emergenti, l’India, la Cina, il Brasile e la Russia, nessuno è islamico. L’occidente ha sviluppato una leadership, assieme al Giappone, economica, militare e scientifico-tecnologica che forse verrà conservata, io mi auguro di sì, anche in futuro. Le cause di questi fatti non le conosco, devono essere indagate da storici, sociologi ed economisti. Siamo destinati a ricevere sempre crescenti flussi migratori di disperati di fronte ai quali si è mostrato preoccupato persino un personaggio aperto e di sinistra come il Prof. Andrea Riccardi su uno degli ultimi numeri di Famiglia Cristiana. La guerra di conquista è preclusa all’Islam, che storicamente l’ha tentata più volte ai danni dell’Europa, dalla superiorità tecnologica e militare dell’Occidente. L’economia di rendita legata al petrolio è destinata prima o poi ad esaurirsi e lo sviluppo dei Paesi Emergenti e l’aumento della popolazione mondiale rischia di portare a nuovi rincari dei generi di prima necessità. La formazione di un melting pot di religioni ed etnie diverse in Occidente non è una prospettiva così tranquillizzante per la nostra identità cristiana, ma necessaria per sostenere l’economia ed il sistema previdenziale dei Paesi occidentali. Non vedo nessuna soluzione all’orizzonte tranne il progressivo, drammatico impoverimento dei Paesi che non riusciranno a vincere la spietata corsa della competizione nell’economia globale. Sbandierare neo paternalismi dei paesi ricchi verso i paesi poveri non è una soluzione che possa sopperire agli squilibri strutturali storici ed economici.

Articoli correlati

Egitto, tutti contro Mubarak

A una settimana dall'inizio delle proteste più dure contro il regime di Hosni Mubarak gli egiziani non si arrendono e continuano a scendere nelle strade, sfidando il coprifuoco, per chiedere un...

Roberto Zichittella

Egitto, l'Italia ai primi posti negli aiuti

Settimi in assoluto, dopo gli Usa e alcuni grandi organismi come la Banca mondiale, l'Unione europea o il variegato sistema delle Nazioni Unite, nonché alle spalle della Germania: nel 2008,...

Alberto Chiara

Egitto: il Faraone se ne va... forse

Il “faraone” se ne va, ma non subito. Con un discorso alla nazione letto in televisione il presidente egiziano Hosni Mubarak ha annunciato che non si candiderà per la sesta volta alla presidenza...

Roberto Zichittella

tag canale

MODA
Le tendenze, lo stile, gli accessori e tutte le novità
FONDATORI
Le grandi personalità della Chiesa e le loro opere
CARA FAMIGLIA
La vostre testimonianze pubblicate in diretta
I NOSTRI SOLDI
I risparmi, gli investimenti e le notizie per l'economia famigliare
%A
Periodici San Paolo S.r.l. Sede legale: Piazza San Paolo,14 - 12051 Alba (CN)
Cod. fisc./P.Iva e iscrizione al Registro Imprese di Cuneo n. 00980500045 Capitale sociale € 5.164.569,00 i.v.
Copyright © 2012 Periodici San Paolo S.r.l. - Tutti i diritti riservati