18/11/2010
Dicono i giornali che Berlusconi ha tempo fino al 14 dicembre per rimpolpare la sua maggioranza, che al Senato può reggere così com’è adesso ma alla Camera vacilla. Anzi non c’è proprio: 305 voti, uno più o uno meno, mentre sotto i 316 il Governo va a casa. Per questo sarebbe in corso una campagna acquisti o, come definirlo, un misto fra lo scambio ad alto livello e il baratto alla paesana: io ti do una cosa a te, tu mi dai una cosa a me. A me il voto di fiducia, è chiaro. Ma a te, che cosa?
Messa così, parrebbe una faccenda non proprio pulita. Ma vai a credere ai giornali, pieni di lingue sacrileghe. E appunto vien voglia di passare oltre, figuriamoci se in un paese come l’Italia si fanno cose simili. Senonché un deputato che infrange una radicata usanza nazionale, quella dell’anonimato, e si presenta con nome, cognome e anagrafe politica, questo deputato fa venire dei dubbi. Si chiama Aldo Di Biagio, milita con Fini e, ad alta voce nel Transatlantico di Montecitorio, dice quanto segue: “Offerte, rialzi, ribassi, sembra di stare a Wall Street”.
Beh, questo è un po’ più che un pettegolezzo di stampa. Il Transatlantico è quel vasto salone, con buvette annessa, dove si incrociano ministri, deputati, giornalisti e, muniti di tesserino, faccendieri. Qui dunque c’è materia quanto basta per capire come vanno rialzi e ribassi, sempre in vista del 14 dicembre. Interessante, senza dubbio, perfino appassionante. Però l’uomo della strada, che non fa il bookmaker, più che dai grafici di Borsa è colpito da un’altra parola. Una paroletta dall’apparenza innocua: “offerte”.
Già, chi offre? E a chi? E come? Vediamo, da incompetenti, dove c’è una logica e dove no. Le offerte potrebbero venire da due parti, sia la maggioranza sia l’opposizione. A lume di naso, tuttavia, la maggioranza potrebbe addurre argomenti più corposi. In primo luogo, ovvio, l’amor patrio: e niente aiuta la Patria come il tenere in piedi un governo. Ma, forse, anche qualcos’altro.
Chiaro che non si può andare da un deputato offrendo bustarelle. Sarebbe corruzione, in Italia come si sa impossibile. Inoltre è già gente che guadagna di suo, e non male. Servono altri elementi di convinzione, che presuppongono anche oculate indagini. Se uno aspira a un sottosegretariato, qualche posto si renderà libero. Pochi però, per il momento.
Se uno, poniamo, ha interessi in una clinica, o in una impresa di grandi costruzioni, o nell’import-export, o in qualche altro settore utile al benessere e allo sviluppo nazionali, beh, si possono trovare degli incentivi. In quei testi pieni di commi indecifrabili si può sempre infilare una leggina “ad hoc”, nessuno se ne accorgerà. Poi ci sono gli enti, utili e specialmente inutili, ma ben remunerati. Sono migliaia. Se non il deputato in persona, ci sarà bene qualche parente da soccorrere. O un amico degli amici.
Così ragiona l’incompetente, certo sbagliando. Non può pensare a Berlusconi che sta col dito sul telefono oppure riceve postulanti a casa sua, una faticaccia a 74 anni. O a Fini che fa lo stesso. O ad emissari, parola anche questa inquietante. O comunque a intenti meno che onesti. E tuttavia. Da noi c’è un modo di dire, “mercato delle vacche”, che sarebbe irrispettoso applicare ai negoziati di cui sopra. Però i francesi, più eleganti, parlano di “marché de dupes”. Dove il “dupe” è il gonzo, il babbeo, il fessacchiotto circuito e ingannato dai furbi.
Il termine vale specialmente in pubblicità, marketing e annessi. Ma figura bene anche in politica. Con questa precisazione, se vogliamo finalmente parlare sul serio. I “dupes” non stanno né a Montecitorio né a Palazzo Chigi. Là hanno capito tutto, da gran tempo. Siamo noi i “dupes”, noi italiani.
Giorgio Vecchiato