20/12/2010
L'allenatore dell'Inter Rafa Benitez.
L’Inter di Moratti junior che vince il titolo mondiale per club 45 anni dopo l’ultimo successo nerazzurro, quello di Moratti senior, e 3 anni dopo l’ultimo successo italiano, quello del Milan, trae vantaggi e svantaggi dal fatto che il campionato si è fermato per le feste. I vantaggi sono di denaro, di statistica, di prestigio non solo statistico, anzi. Fra gli svantaggi anche il declassamento (a parole) del trofeo, il quinto di un anno formidabile (scudetto, Coppa Italia, Champions League, Supercoppa italiana, Mondiale di club),visto che in finale c’erano soltanto i “facili” congolesi: nessuna colpa dell’Inter, che secondo noi avrebbe sconfitto anche avversari più forti, ma c’è tanta Italia alla quale i nerazzurri provocano il prurito. Anche quella milanista, con la Roma vittoriosa al Meazza sul Milan e la rivalissima a 13 punti da Ibrahimovic e C. però con due partite da recuperare.
Ma è possibile e persino auspicabile che sul calcolo farmacistico dei meriti, delle sfortune, delle invidie e delle soddisfazioni, prevalgano le attenzioni al caso di Benitez allenatore dell’Inter. Il quale Benitez ha dato una lezione di dignità non solo all’Inter, ma a tutto l’ambiente nostro del calcio, dicendosi stufo di essere sempre sul filo del rasoio, alla “o vinci o ti cacciamo”, annunciando anzi ribadendo di non avere avuto i rinforzi che chiedeva, evidenziando le necessità per il mercato di gennaio e facendo sapere che se ne va se non viene soddisfatto.
Parole forti, quando ci si aspettava, come da copione usuale, l’abbraccio con Moratti, la notizia sensazionale e ovvia insieme che le incomprensioni fra loro due erano tutte invenzioni dei giornalisti fraintenditori, magari anche l’annuncio di un paio di acquisti. Parole oneste, dure ma oneste. Che però rischiano di farci trasportare da esse sul terreno dell’attesa per cosa farà Moratti, per cosa farà Benitez, per cosa accadrà sul mercato, trascurando quello di ancora più importante che lo spagnolo poliglotta Benitez ha detto, e nel suo ottimo italiano che non si presta ad equivoci.
Ha detto che ha dovuto allenare giocatori spompati, difficili anche da comandare, ha rivelato che la società non gli aveva dato di loro il pieno controllo, e che da due anni nessuno di loro aveva l’abitudine di farsi le ore e ore di palestra necessarie per completare la preparazione fisica. Ed ha pure aggiunto che, per supplire alla mancanza di palestra, i giocatori si aggiustavano per conto loro (chissà se con preparatori personali o con riti magici). Ha detto insomma che esiste un modo per costruire il fisico, il fisicone senza il semplice lavoro rituale. Ha detto quello che noi scriviamo da tempo. E l’Inter non è diversa dalle altre squadre: Benitez ha parlato per tutte, il suo segnale è in italiese come in esperanto.
Non amiamo le querele e ci fermiamo. Però guai se queste parole di Benitez vengono buttate via, o sommerse da fatti magari più epidermicamente attraenti, anche perché non ci costringono, spupazzandoceli, a duri esercizi di pensiero. La fisiologia insegna che in quarantotto ore si ripuliscono i muscoli dall’acido lattico, cioè dalle scorie della fatica, quale che essa sia. Il resto è questione di testa, di nausea psichica dello sforzo. Ma se la testa non ce la fa a funzionare bene, ci sono altri rimedi. Chiaro, semplice. Ed anche facile. All’insegna del così fan tutti, anche se ne parlano soltanto Benitez e quattro attenti gatti.
Gian Paolo Ormezzano