L'Italia diversa che non frana

Nel libro di Gabriele Salari, collaboratore di Famiglia Cristiana, 35 anni di ambiente e ambientalismo. E non ci sono solo alluvioni e devastazioni. La sfida della green economy.

24/11/2011
L'ultimo libro di Gabriele Salari, collaboratore di Famiglia Cristiana.
L'ultimo libro di Gabriele Salari, collaboratore di Famiglia Cristiana.

Continua a sbriciolarsi il nostro Paese, travolto da frane e alluvioni. L’Italia è fatta di paradossi: nel Paese con la maggiore diversità di paesaggi in rapporto all’estensione del territorio, questa parola, “paesaggio”, spesso resta un concetto astratto. Basta ripercorrere gli ultimi 35 anni per accorgersene, dal disastro di Seveso del ’76 al petrolchimico di Augusta, in Sicilia, dagli ecomostri più noti fino all'abusivismo dilagante causato anche dalla mancata pianificazione urbanistica. L’Italia diversa (Gribaudo editore) di Gabriele Salari, collaboratore di Famiglia Cristiana, è un libro che fotografa l'ambiente e l'ambientalismo dal 1976 a oggi e l'immagine che viene fuori non è pessimista, perché sono tante le storie di chi è riuscito a fare la differenza. Un intero capitolo, “ce l'abbiamo fatta”, è dedicato ai successi: dalle aree protette, alle specie salvate fino ai boschi che aumentano. È l'Italia del volontariato ambientale, quell'“Italia diversa” così ben rappresentata dall'uomo sardo che ha perso la vita spalando nel fango dell'ultima alluvione, a Monterosso.

Il Parco nazionale del Gargano.
Il Parco nazionale del Gargano.


In un convegno alla Camera dei Deputati, a Roma, ne hanno discusso con l'autore, tra gli altri, Riccardo Petrella, docente all'Università cattolica di Lovanio, Fulco Pratesi, presidente onorario del WWF, Urbano Barelli, vicepresidente di Italia Nostra, Andrea Segrè, docente all'Università di Bologna e Riccardo Valentini, docente all'Università della Tuscia. Se ormai possiamo parlare di una radicata cultura ecologica nel nostro Paese, lo dobbiamo alle associazioni ambientaliste, protagoniste del libro, dal Touring Club Italiano a Italia Nostra, dal WWF, alla LIPU e al FAI. Come racconta Gabriele Salari nel suo blog, nel 2011 ricorrono i vent'anni dalla legge che istituisce i parchi, nazionali, eppure è un anniversario amaro: nella Legge di Stabilità 2012 vengono ridotti della metà i fondi destinati ad interventi dai parchi nazionali e di un terzo i fondi per le are marine protette. Il rischio è la chiusura di 10 parchi marini nazionali su 29, mentre i 25 parchi nazionali terrestri potranno vivacchiare senza però capacità di intervento, essendo garantiti solo i fondi per il loro funzionamento ordinario.

 La via principale di Vernazza, una delle Cinque Terre, in Liguria, a un mese dall'alluvione.
La via principale di Vernazza, una delle Cinque Terre, in Liguria, a un mese dall'alluvione.


La sfida da vincere ora è quella della cura dell'ambiente, che può essere il motore di una nuova economia, la green economy. Come ha detto Massimo Quaini, geografo dell'Università di Genova, uno dei 13 “saggi” che intervengono nella parte finale del libro, curata da Luca Carra: “Occorre aprire un grande cantiere nazionale di manutenzione, costa molto meno prevenire le catastrofi che rattoppare i danni e subire i lutti che le crescenti catastrofi arrecheranno al nostro sistema malato di profonda ignoranza tecnica”. Manca, è evidente, la manutenzione del territorio. Altrimenti non si spiegherebbe quanto accaduto alle Cinque Terre dove la furia dell'acqua distruttrice non si è scatenata per colpa del cemento, ma grazie all'abbandono dei muri a secco.

Un tratto della pista ciclabile della Drava, in Austria.
Un tratto della pista ciclabile della Drava, in Austria.


L'agricoltura ha una funzione essenziale di argine a difesa del territorio e del paesaggio. L'abbandono dei terrazzamenti e la cementificazione crescente della pianura creano degli scompensi a cui è difficile poi rimediare. “Si investono molti soldi nei posti colpiti da frane e alluvioni, proprio dove l'effetto è minimo perché il danno si è già manifestato. Bisognerebbe invece arrivare a una pianificazione del territorio e intervenire preventivamente nei punti critici” commenta Salari. “In Austria, ad esempio, hanno rinaturalizzato 70 chilometri della Drava, riaprendo delle zone umide laterali in modo che il fiume quando si ingrossa ha modo di esondare senza provocare danni. Perché da noi non si fanno interventi di ingegneria naturalistica che oltretutto porterebbero lavoro in abbondanza, sia qualificato che non?”.

Felice D'Agostini
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Postato da Salvatore Giovanni il 25/11/2011 18:27

Gentile sig. Celso, debbo correggerla laddove ella addebita la recente disgrazia in Sicilia all'incuria umana, al dissesto idrogeologico, alla mancanza di interventi preventivi degli enti posti a tutela del territorio; in parte è così, ma ciò che ha causato la frana a Saponara, quella a Vernazza e l'apocalittica alluvione a Genova di appena dieci giorni fa è l'enorme massa d'acqua caduta dal cielo! Dopo lo tusnami in Giappone, il mondo avrebbe dovuto riflettere, ma nè la Chiesa Romana - responsabile della cura morale del popolo - nè i media han fatto il minimo accenno alle profezie bibliche degli ultimi tempi; so bene, per la mia lunga esperienza maturata in seno parrocchiale, che le "profezie" son materia scomode per il clero cattolico, ma le predizioni di Gesù si stanno adempiendo malgrado l'incredulità dell'uomo della strada e lo scetticismo in ambito clericale: legga Luca 21,25 e applichi questo passo allo tsunami e alle frane recenti! Ma perchè la Chiesa tace? Perchè i quotidiani di stampo cattolico non parlano di queste cose, visto che la Bibbia è ricca di avvertimenti profetici? Semplice. Perchè il popolo abbandonerebbe le parrocchie, se venisse a conoscenza di quelle verità scritturali che contrastano la stessa dottrina della Chiesa (Lettera a Tito 1,10-11), e quest'ultima perderebbe popolarità e potere... Ma è Cristo stesso a parlare con estrema chiarezza dei "segni dei tempi", esortando i suoi discepli a vigilare, ragion per cui è irresponsabile il silenzio del Vaticano sulle calamità che segnano il terzo millennio. Pertanto, nell'invitarla a meditare sui passi da me citati, sappi che Dio manderà a effetto le sue parole, così come promesso ad Abramo e come confermato dal Signore medesimo (Mt. 24.37).

Postato da Celso Vassalini il 25/11/2011 13:49

Continua la strage di Stato nell'indifferenza della politica, politica rispetto alla quale le persone che muoiono sotto il fango non valgono l'allarme provocato dalla parola 'spread'. E' drammatico constatare che in pochi giorni hanno perso la vita sotto il fango oltre 30 persone senza che non una iniziativa concreta sia stata presa. Quello che sta accadendo è il risultato di anni di aggressione al territorio perpetrata nell'indifferenza della politica che ormai parla del dissesto solo in presenza dei morti per poi tornare, dopo ventiquattrore, a dare il via libera ad abusi edilizi e urbanistici come se niente fosse. Di fronte alle vite spezzate sotto il fango continuare a parlare del Ponte sullo Stretto di Messina sia una vera e propria bestemmia: quelle risorse (8,5 miliardi di euro secondo la Corte dei Conti) devono essere subito liberate per cantierare migliaia di opere per la difesa del suolo; bisogna annullare subito tutte le deroghe ai vincoli paesaggistici che hanno consentito di edificare lungo i fiumi, i corsi d'acqua e le coste; chiediamo al governo un Piano straordinario per la messa in sicurezza del territorio: in Italia 7 comuni su 10 sono a rischio idrogeologico; il parlamento deve varare immediatamente una legge che metta uno Stop al consumo del suolo. Quello delle ultime settimane è un vero e proprio bollettino di guerra non degno di un Paese europeo. Cosa deve ancora accadere prima che si comprenda che il dissesto idrogeologico è una drammatica emergenza dell'Italia? E' il bollettino della quasi quotidiana guerra tra l'uomo e l'ambiente, vittima quest'ultimo e non carnefice del primo. Si chiama dissesto idrogeologico e ormai tutti sanno cos'è. E' un territorio fragile sul quale l'uomo dovrebbe poggiarsi come camminasse sulle uova e invece lo attraversa con i bulldozer. Situazione ulteriormente aggravata certamente da un clima cambiato e da conseguenti precipitazioni atmosferiche diverse da quelle a cui eravamo abituati solo 50anni fa. «È assolutamente urgente che l'Italia prenda atto che ci troviamo in una situazione climatica nuova rispetto a quella degli ultimi altrimenti rincorreremo emergenze su emergenze. Il nostro territorio è stato gestito molto male, comunque la situazione climatica più o meno consentiva di reggere eventi climatici rari». Ma la pioggia ha ora una «frequenza molto più alta e una intensità molto più forte». «Ora c'è una situazione di emergenza, lo abbiamo visto a Messina, in Liguria e Toscana. Ci sono aree che per circostanze climatiche che si creano, sono più esposte. Abbiamo la possibilità di capire che c'è una situazione di vulnerabilità e questa va affrontata subito». Poi che ci sono zone a rischio dove sono state insediate attività produttive. «Paghiamo un prezzo per una visione molto corta. Sono state utilizzate zone che già venti o trenta anni fa, il buon senso avrebbe consigliato di non utilizzare». E' il momento di «cominciare» ad agire sui territori - lì dove non si sarebbe dovuto mai costruire. Certo, si potrebbe far notare che il neoministro è stato decenni burocrate del ministero dell’Ambiente stesso e quindi - al di là dei buoni propositi emersi anche con l'ex titolare Prestigiacomo che però non riuscì a ottenere i finanziamenti richiesti - chieder conto di quanto lui stesso ha fatto in questo lungo periodo, ma tanto in Italia si sa che nessuno comunque pagherebbe il conto. Tranne l'ambiente e tranne le persone che ogni anno al nord, come al centro, come al sud muoiono troppo spesso per colpa di pianificazioni urbanistiche folli. Basti pensare che in quella stessa Messina, che solo due anni fa è stata colpita dallo stesso fenomeno, si trovano o si dice di aver trovato i soldi per costruire il Ponte e non si è mai fatto nulla invece per il dissesto idrogeologico. Se c'è una cosa che unisce l'Italia, è proprio la fragilità e la bellezza del suo territorio, ma al nord come al sud non si è imparata una che sia una lezione dal passato. Dal neogoverno Monti, come da quello che lo succederà dobbiamo come cittadini anche non ambientalisti imporre che almeno questo capitolo di spesa sia nell'agenda nazionale, anche perché se non ci sarà come prevenzione ci sarà comunque (e ben più salata) come ricostruzione. Vedo solo L'unità d'Italia dei morti da cemento e da dissesto idrogeologico. E mia nipote mi chiede e vi chiede: “Zio a cosa serve quel boschetto di piante in piazza della Loggia?” “E’ il boschetto dove si riuniscono le liste civiche”. “Zio ma la nonna ci porta Rin Tin Tin)!” “Be, tutto fa consenso elettorale”. “Zio ma il boschetto è forse l’idea o proposta degli Assessori Vilardi e Labolani perché il monte Maddalena diventi zona protetta e di studio faunistico?” “Sarebbe auspicabile perché il nostro monte polmone paziente, sarebbe da accudire e una costante manutenzione al sottobosco, per evitare inondazioni anche da noi. Come faceva il Gruppo Val Carobbio, che dopo l’alluvione di S.Eufemia tengono pulito il sottobosco della valle e liberi i canali naturali di scolo. E da allora il quartiere è più tranquillo. “Zio per sollecitare gli Assessori, devo mandare un mio pensierino per queste cose a S. Lucia, a Babbo Natale o alla Befana?” “Cara nipote lasa perder ghè za to sio che scif trop”. Celso Vassalini Brescia capitale dell’Europa.

Postato da Franco Salis il 25/11/2011 09:13

Ebbene, per “rinaturalizzare” 70 km di della Drava , è stato necessario l’impiego di un “fiume” di tecnici? Quanto è costato allo stato, solo la progettazione ? Se lo avessero detto a me, che sino a qualche anno fa facevo il muratore per hobby avrei saputo fare “consulenze” in cambio di un buon bicchiere di vino. Per determinati lavori conoscevo il dosaggio del calcestruzzo per lo più dosavo a 350 cioè tre cariole di pietrisco due di sabbia e un sacco di cemento. quando mi si guastava la impastatrice, lavoravo il calcestruzzo a mano. Facevo la “fontana” come quella che si fa con la farina per il pane o i dolci, ma molto più grandi. Quindi mettevo l’acqua. In caso di abbondanza d’acqua non tentavo di tamponare le fughe col calcestruzzo, ma al contrario allargavo la fontana. Chi fra quei tecnici osa dirmi che non è la stessa cosa? Altro che tombare i fiumi, altro che costruire sugli argini, altro che, come i fraticelli nel secolo scorso,che hanno tentato di rubare terreno al Po per acquistare terreno coltivabile. Basta un po’ di pioggia più abbondante o qualche giorno di scirocco, vento caldo dall’Africa che arriva tranquillamente sino ai ghiacciai alpini ,che sciogliendosi, aumentano repentinamente la portata di torrenti e fiumi. Anche i muretti a secco svolgono la funzione di trattenimento delle fango e acqua. Manderei alla manutenzione i membri del parlamento, magari quelli trombati alle elezioni, o gli aspiranti vice ministri e sottosegretari, abilissimi nel conservare i “diritti acquisiti”. Per non scomodare questi signori, è un lavoro faticoso, manderei quei proprietari dei terreni e boschi che, avvalendosi del principio della “sacralità” della proprietà privata, ma avendola abbandonata per lavoro più soddisfacente a valle, rompono anche le scatole ai pastori transumanti che col pascolo puliscono i boschi e prati. Ma quanti sono i pastori transumanti? Sono rimasti in pochi, ma ci sono. Ma se fanno un lavoro così pregiato, io stato mi posso servire di loro incentivando col fisco o con contributi. Mi costerà sempre molto meno delle perdite di vite umane e finanziarie. E poi se la prendono con i sardi che per attuare l’"Editto delle chiudende", hanno utilizzato i “nuraghi” radendoli al suolo, non tutti! Che cosa è l’editto delle chiudende:Carlo Felice, per risollevare le sorti dell’agricoltura e della pastorizia e per regolare i difficili rapporti fra mondo agricolo e pastorale, ravvisò l’opportunità di chiudere i campi, e rese esecutivo ciò con “l’Editto delle Chiudende” (1823) che aboliva l’uso comunitario delle terre e stabiliva la liceità della proprietà privata. Successivamente Carlo Alberto 1833,sospese l’editto, affidando i terreni “liberi” agli enti locali o al demanio. Nel frattempo però chi già possedeva terreni e armenti con le pietre derivanti anche dall’abbattimento dei nuraghi delimitò, allargandolo ampiamente il perimetro (fatto lecito)dei propri campi e boschi e così la società sarda per lo più agropastorale cambiò la condizione delle due categorie: “sos meres e sos ziraccos” (= i padroni e i servi).Oggi quest’ultimi sono quasi del tutto scomparsi e hanno assunto il nome di dipendenti. Così la forbice si è allargata:sos meres sono diventati padroni di terreni molto più ampi, mentre sos ziraccos hanno solo cambiato nome. Oggi il termine di ziraccos viene attribuito a quei politici sardi che non difendono adeguatamente l’autonomia (“autonomia e non indipendenza” che sono due concetti diametralmente opposti) della Sardegna nei confronti di Roma. CONCLUSIONE: NON È QUESTIONE DI TECNICA, MA DI CULTURA (pardon c’è qualcuno che ha asserito che la cultura non dà da mangiare).Buona giornata.

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