03/10/2012
Una scena del film "Diaz". Ma Diaz non è solo un film.
Polizia «sadica e cinica». Gli arresti immotivati «gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero». La sanguinosa irruzione nella scuola Diaz di Genova, al termine del G8 del 2001, definita un «massacro» e «caratterizzata per il sistematico e ingiustificato uso della forza».
Durissime le motivazioni della sentenza depositate dalla Cassazione. Il processo, concluso nel luglio scorso, condannò tutti i vertici della Polizia di Stato che ordinò e condusse l’operazione. Ma la maxisentenza – di 186 pagine – è quasi peggio della condanna.
Le parole usate dalla Suprema Corte confermano quanto era stato detto e scritto in questi anni: fu una notte di “sospensione della democrazia nel nostro Paese”. La Diaz fu trasformata in una “macelleria messicana”. Gli agenti, scrive, «si erano scagliati sui presenti, sia che dormissero, sia che stessero immobili con le mani alzate, colpendo tutti con i manganelli (detti “tonfa”) e con calci e pugni, sordi alle invocazioni di non violenza provenienti dalle vittime, pure insultate al grido di “bastardi”».
Le condanne erano state comminate per le calunnie e i falsi verbali scritti e firmati dai dirigenti della polizia che, dopo i fatti, avevano cercato di giustificare le inusitate violenze costruendo prove fasulle ai danni dei 93 arrestati, 87 dei quali feriti. Tra loro, molti erano stranieri, alcuni vivi per miracolo.
Gianni De Gennaro, all'epoca dell'irruzione alla Diaz era capo della Polizia.
La Cassazione, però, va oltre, e introduce nuovi elementi che faranno discutere. La premessa all’intervento alla Diaz – scrivono i giudici – è stata «l’esortazione rivolta dal capo della Polizia (a seguito dei gravissimi episodi di devastazione e saccheggio cui la città di Genova era stata sottoposta) a eseguire arresti, anche per riscattare l'immagine della Polizia dalle accuse di inerzia».
Un “invito”, quello di Gianni De Gennaro «che ha finito con l’avere il sopravvento rispetto alla verifica del buon esito della perquisizione stessa», condotta in «assetto militare». Un’accusa pesantissima all’ex capo della Polizia. Il problema è che De Gennaro ora è sottosegretario alla sicurezza del governo Monti. Può rimanere al suo posto, dopo le parole espressa dalla Cassazione? Vittorio Agnoletto, all'epoca portavoce del Genova social forum, dice di no, e ne chiede le immediate dimissioni.
Non solo: «È impensabile», dice Agnoletto, «che il capo della Polizia abbia potuto dare ordini senza consultare o almeno informare i responsabili politici: l'allora presidente del Consiglio Berlusconi e il ministro dell'Interno Scajola». In altre parole, il problema politico dell’origine di quell’ordine di irrompere alla Diaz è ancora tutto da chiarire.
Alla Diaz, nonostante le «mistificazioni» della polizia, di armi non ce ne erano e nemmeno black-bloc. I giudici della Cassazione citano una perizia del Ris di Parma che mostra filmati nei quali non compare alcuna forma di resistenza da parte dei cosiddetti no-global.
Vittorio Agnoletto visita la Diaz dopo l'irruzione della Polizia.
L'unico dirigente della polizia al quale sono state concesse le attenuanti è Michelangelo Fournier che, dopo il pestaggio, aveva espresso a Vincenzo Canterini – il capo del reparto mobile che entrò per primo nella scuola – «la volontà di non lavorare più con questi macellai qui». «L’entità delle violenze», sottolineano i magistrati, «gli era risultata, alla fine, ripugnante».
Da luglio scorso tutti i condannati hanno dovuto lasciare la Polizia e ora sono in attesa di sapere se verrà accolta, dal Tribunale di sorveglianza di Genova, la loro richiesta di scontare la pena in affidamento ai servizi sociali.
Per gli alti vertici (Gilberto Caldarozzi, Francesco Gratteri e Giovanni Luperi) la Cassazione non ha alcuna attenuante: erano presenti alla Diaz – scrivono – mentre le violenze erano ancora in corso sotto ai loro occhi. Sapevano che non c'erano le molotov e parteciparono ai «conciliaboli» per appiopparne il possesso ai no-global. Chiesero ai capisquadra di scrivere i verbali falsi dai quali uscisse «legittimato» quello «sproporzionato uso della forza» e la documentazione sugli agenti feriti. Ma nulla di tutto ciò era vero.
Tra l’altro, Gratteri e Caldarozzi videro a terra il corpo massacrato ed esanime del reporter inglese Mark Covell e non fecero nulla. Anzi, Calderozzi disse a un ufficiale dei carabinieri, preoccupato, di lasciar perdere.
È stata proprio la notte più buia di Genova. E per la Polizia un episodio vergognoso che sarà difficile far dimenticare all’opinione pubblica italiana.
Luciano Scalettari