08/05/2011
Massimiliano Allegri.
Essendo che ormai la vita è metafora dello sport - specialmente se lo sport in questione è il gioco del calcio - più di quanto lo sport sia metafora della vita, ci si può e deve chiedere cosa vale questo scudetto del Milan, il diciottesimo rossonero, in chiave diciamo pure politica, cioè per quel che riguarda il presidente del club, Silvio Berlusconi, il quale è anche presidente del consiglio dei ministri. Al primo impatto col ragionamento, sembra che possa valere molto, a pochissimi giorni dalle elezioni amministrative, come prova della bravura dell'uomo a gestire le cose.
Poi c'è pure chi fa un altro calcolo: Berlusconi vince con e per i rossoneri, se ne dolgono, contestando il successo, specialmente i nerazzurri (Inter), i bianconeri (Juve), e poi anche gli azzurri (Napoli) e i giallorossi (Roma) e i celesti (Lazio)…, e alla fine Berlusconi si ritrova sì con più consensi fra i suoi, ma con “contro” milioni e milioni di dolenti o addirittura arrabbiati tifosi dell'Italia non rossonera. Il tutto chiosando che non è colpa nostra se in Italia il calcio e la vita sono quello che sono, ragion per cui certi discorsi vanno comunque tenuti. Tocca comunque ad altri la eventuale complessiva valutazione diciamo pure politica dello scudetto milanista dunque berlusconiano, qui cerchiamo di parlare di calcio.
Dicendo subito che il Milan ha vinto meritatamente, reagendo bene allo schiaffo dell'eliminazione precoce in Champions League e tenendo fra l'altro ancora accesa la fiammella della Coppa Italia. Ha avuto momenti di crisi, con partite da arraffare (e arraffate) comunque, ma in linea di massima ha offerto un gioco sicuro, chiaro, spesso anche bello. Con un nuovo allenatore, Allegri, che ha saputo ottenere tanto da giocatori anche difficili, anche logorati: andando al di là, con i risultati, forse anche delle speranze dello stesso suo presidente Silvio Berlusconi. Allegri fra l'altro ha gestito bene assai l'occaso anagrafico di tipi storicamente importanti come Gattuso e Ambrosini e soprattutto Pirlo, le problematiche fisiche di Nesta. Ha dovuto fronteggiare, peraltro come quasi tutti i suoi colleghi, una lunga serie di infortuni, ormai “normali” in un calcio iperteso, pieno di motori muscolati Ferrari dentro fragili carrozzerie Panda, ha sofferto la rimonta dell'Inter, che per strada aveva ritrovato il successore di Benitez, proprio quel Leonardo allenatore cresciuto ma poi snobbato dal Milan, ha stoppato questa rimonta nel momento più delicato, stravincendo il derby di ritorno.
Tantissimi dicono che lo scudetto sia da intitolare ad Ibrahimovic, lo svedese che, passasto dall'Ajax alla Juventus all'Inter al Barcellona al Milan, ha collezionato sette scudetti (più due revocati), ha segnato acrobatici gol, suoi tipici, nei momenti topici di tante partite. Ma non ci pare giusto, pensando fra l'altro ai cinque turni di squalifica che ha patito per intemperanze davvero tutte sue. Altri, pochi ma decisi, parlano di Cassano, arrivato dalla Sampdoria col mercato di gennaio, un talentuoso pieno, assoluto. Ma Cassano sbaglia ancora molto, e fra gli sbagli c'è forse anche quello di insistere a non essere se stesso artista in senso pieno, consumando invece troppe forze nel tentativo di fare soltanto il bravo ragazzo disciplinato, cosa che a lui risulta difficilissima, estenuante. Personalmente intitoliamo lo scudetto rossonero a due giocatori diciamo “minori”, e dunque neanche al brasiliano Pato, che dicono ami riamato Barbara, la figlia del presidente.
Pato è stato forte come si sapeva che poteva essere, amen. Ci sono invece due giocatori che non solo hanno svuotato il loro bicchiere, dando cioè tutto quello che hanno, ma che si sono inventati dentro qualcosa di nuovo, di più. Diciamo di Seedorf, 35 anni correndo, uno che ha vinto tutto con Ajax, Barcellona, Inter, Sampdoria e appunto Milan, uno che non importa sapere se ha un ruolo fisso, tanto lui segna e impedisce agli avversari di segnare e gioca sempre bene e non si fa cacciar fuori. Diciamo di Abbiati che fa il portiere che para, non il portiere che compie miracoli e però talora dorme. Abbiati è nato nel Milan, dopo la sua prima esplosione ha trovato critiche, relative soprattutto al suo tasso di classe che non è parso assoluto, la squadra rossonera lo ha scaricato altrove, persino alla Juventus, ha provato invano a cercare altri portieri bravi, con effetti ora esaltanti ora ridicoli (si pensi alla vicenda di Dida, ad un certo punto messo dagli espertoni in concorrenza con l'immenso Buffon).
Forse Allegri ha contato soprattutto nel ridare fiducia ad Abbiati, tornato alla casa madre dopo vagabondaggi più nel dimenticatoio che in altre squadre, dove pure è stato, ha giocato, ha parato. Diceva Platini, da giocatore, che ad un certo livello le squadre professionistiche sono tutte eguali, le partite vengono decise dall'arbitro, dal caso (fortuna) o dalle prodezze individuali, purché siano prodezze (le sole davvero decisive) di chi deve segnare e di chi deve impedire i gol. Giusto, ma ci vuole l'humus perché queste prodezze possano esprimersi, svilupparsi. Ci vogliono le controprodezze grigie - perché grigia talora appare la normalità, grigio il dovere compiuto, il lavoro fatto ed esposto bene ma senza troppe luci in vetrina, o se preferite le prodezze di seconda fascia, difficili da valutare, quelle che attraverso Abbiati hanno spesso salvato la porta del Milan: e lui ha persino parato l'unico rigore fischiato contro la sua squadra.
Il Milan ha avuto anche fortuna: senza fortuna non si vince sempre e neanche sovente, però mai c'è stata azione sfacciata della sorte. Comunque la maggiore fortuna è stata quella di un'Inter in calo nel momento giusto (per il Milan), dunque una fortuna indiretta, che non pialla i meriti: nel senso che uno si provvede dell'ombrello, il suo rivale no, e se questi esce sotto l'acqua e si bagna e si ammala, evviva chi previdente non ha preso neanche una goccia di pioggia. Per quel che riguarda gli arbitri hanno tartassato Ibrahimovic persino più di quanto, per una sudditanza invincibile negli esseri umani, abbiano favorito la squadra. Ripetiamo: successo finale convincente, gioco spesso bello, e adesso, a vellicare la curiosità, ecco l'attesa per il mercato, dove il club cercherà gli uomini, pochi ma assai buoni, per tentare di rivincere la Champions League che gli manca dal 2003. Naturalmente le rivali possono trovare appigli assortiti nel caso, o nello stesso arbitraggio, possono dolersi di occasioni perdute, oppure di opportunità anguillescamente sfuggite loro al momento buono.
Qualcuno ha anche provato a parlare di campionato avvelenato da favoritismi a Tizio e dal favori a Caio. Noi pensiamo che specialmente nelle fase finali questo campionato abbia perso nitore, ma assolutamente non pensiamo che lo scudetto del Milan sia, come dire?, anche lontanamente imparentabile con una neocalciopoli. Altre non resistibile ascese e altre resistibilissime discese ci intrigano. Ma speriamo di sbagliarci, ci mancherebbe altro.
Dimenticavamo: lo scudetto torna a Milano per il sesto anno consecutivo: cinque scudetti all'Inter e uno al Milan. Come dire Milàn (con l'accento sulla a) l'è semper un gran Milàn. Al massimo si sposta l'accento sulla prima vocale.
Gian Paolo Ormezzano