Laurent Fignon, mistero e sospetto

Il ciclismo mondiale segnala decessi di grandi campioni abbattuti dal male del secolo: da Anquetil all'italiano Nencini. La causa è forse l'assunzione di prodotti pericolosi?

01/09/2010
Laurent Fignon attraversa vittorioso gli Champs Elysees al termine del Tour de France nel 1989
Laurent Fignon attraversa vittorioso gli Champs Elysees al termine del Tour de France nel 1989

In morte di Laurent Fignon, l’ultimo ciclista francese vincitore di una grande corsa a tappe (il Giro d’Italia 1989), si deve frequentare un sospetto intanto che ci si deve imporre un ragionamento. Fignon aveva cinquant’anni, lo ha ucciso un tumore all’intestino. Il ciclismo mondiale segnala ultimamente decessi di grandi campioni abbattuti dal male del secolo. In Francia Anquetil, Bobet e Rivière e appunto Fignon, in Italia Nencini e Faggin. E lo stesso Fignon si è in un libro confessato colpevole da giovanissimo ventiduenne (vinse il Tour dell’esordio nel 1983) di assunzione di prodotti pericolosi. Come tanti, forse come tutti.

    Questo è il sospetto. Però non si deve però fare una statistica grossolana: sono sempre tumori diversi, siamo sempre ben lontani da cifre percentualmente allarmistiche. Peggiori assai i sospetti sulla sindrome laterale amiotrofica dei calciatori, specialmente in Italia, specialmente quelli della Fiorentina anni ’70. Ma anche qui la scienza seria, non sensazionalistica, parla di mistero e non ammette verdetti.

    Fignon era un’intellettuale in bicicletta. Parigino di modi eleganti, brusco soltanto se necessario, capelli biondi e radi, occhialini da tecnocrate, diploma per insegnare matematica, molto impegnato con e contro Bernard Hinault da lui distrutto nel Tour 1984. In carriera professionistica dal 1982 al 1993. Ha vinto il Tour del 1983 e 1984, il Giro nel 1989, la Milano-Sanremo 1988 e 1989 e tanto altro. Forte in salita più che in pianura, ha perso sul passo, a cronometro nell’ultima tappa e per soli 8 secondi, il Tour del 1989, a pro di Greg LeMond, lo statunitense che in quell’anno lo sconfisse anche sul traguardo mondiale. Ultima fatale tappa a cronometro per Fignon anche quella del Giro 1984, quando lo scavalcò Moser.

    L’intellettuale ha fatto, nell’ultimo Tour, il commentatore televisivo, con pochi cali fisici e con cruda lucidità mentale: annunciando fra l’altro a tutti che un male invincibile lo stava uccidendo. Per la sua breve agonia, il contorno di moglie e figli ed ex colleghi di pedalate. Il giornale l’Équipe gli ha dedicato tutte le pagine dalla prima alla quinta. Una fine, la sua, molto annunciata, contrastata con l’animo e con la scienza, e quasi gloriosa: comprensiva di interviste rilasciate da lui sulla propria sofferenza. Un classico del campione indomito anche sceso di sella e fuori dall’agone. Per questo ci mancherà, ci deve mancare molto: tipi come lui lo sport di oggi forse non riesce a fabbricarne più.

Gian Paolo Ormezzano
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Postato da angeloriccardo il 03/09/2010 11:43

CHE IL BUON DIO LO ACCOLGA IL CIELO. CAMPIONE SU STRADA IN BICI E CAMPIONE DI SIGNORILITA'.SONO STATO UN SUO GRANDE AMMIRATORE E TIFOSO.

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