Il lavoro? Lo cerco in Brasile

Nel 2011, più di 72 mila giovani italiani sono emigrati in Brasile in cerca di lavoro. Come loro decine di migliaia di altri europei.

13/08/2012

Si ritrovano la sera nelle pizzerie di Bixiga, il bairro italiano per eccellenza, nei pub di Bras o Mooca. O nei bar eleganti nei pressi dell’immensa Avenida Paulista. Abitano a Vila Mariana o a Libertade, oppure in quartieri più periferici, ma ben serviti dalle tante linee metropolitane.

Sono giovani europei, la «generazione mille euro», che negli ultimi anni sta migrando in maniera massiccia a San Paolo come nelle altre maggiori città del Brasile. Per lo più giovani qualificati, molti con una laurea in tasca, cercano sull’altra sponda dell’Oceano quelle opportunità che il Vecchio continente non può più dare. Vengono da Portogallo, Italia, Spagna, Grecia: il futuro si chiama Mondiali di Calcio (che si svolgeranno nel 2014) o Olimpiadi (che si terranno invece nel 2016). Eventi che stanno già da ora creando un nuovo dinamismo sociale e grandi prospettive economiche.

I dati parlano chiaro: le richieste di regolarizzazione per motivi di lavoro dal 2008 ad oggi sono aumentate di oltre il 60%. Nel 2011 i giovani portoghesi in fuga dallo spread che hanno chiesto un permesso di lavoro in Brasile sono stati circa 280 mila, facilitati dalla lingua e dagli aspetti culturali comuni. Gli italiani che hanno preso il volo sono stati, sempre nel 2011, oltre 72 mila, 60 mila gli spagnoli. Tra i Paesi latinoamericani, la classifica è guidata dai boliviani, con oltre 62 mila permessi di lavoro. Sorpresa assoluta il numero di giapponesi: oltre 92 mila. Tra questi giovani immigrati, sia uomini che donne, moltissimi i tecnici, di cui nelle tante imprese in espansione c’è fame. Ma anche esperti in gestione aziendale, informatici, architetti, insegnanti di lingue, ingegneri meccanici e navali, personale di bordo, saldatori, cuochi e perfino musicisti.

In totale, secondo alcuni dati, un milione e mezzo di immigrati con regolare permesso di soggiorno, a cui – probabilmente – si aggiunge un milione di irregolari, che arrivano a San Paolo a Rio o a Fortaleza con un visto turistico, e che poi rimangono a lavorare da clandestini nel Paese.

E per il 2012? Secondo i dati del Ministero del Lavoro della capitale federale Brasilia, è possibile che il numero dei nuovi immigrati lieviti ulteriormente. Alcuni indicatori segnalano che le richieste di ingresso per motivo di lavoro potrebbero anche triplicare. Un fenomeno che coinvolge anche le aziende alla ricerca di nuove fette di mercato in un Paese in rapida espansione. Tante le imprese italiane presenti in Brasile, ormai sesta potenza economica mondiale, con un aumento del 10% nell’ultimo anno, secondo i dati forniti dalla Camera di commercio italiana di San Paolo. Un trend confermato dalla Confindustria brasiliana, che pur registrando un rallentamento dell’economia (nel 2011 la crescita del Pil era stata del 7,6%; nel 2011 si è attestata attorno al 3,5) prevede comunque una espansione, sostenuta anche dalla creazione di nuove infrastrutture.

Tra i 25 e i 30 anni o poco più, i nuovi migranti d’Europa apprezzano del Brasile lo stile di vita e lo sguardo sul futuro. «Ma questa nuova immigrazione – spiega Rosana Beaninger, docente di Demografia presso Unicamp, l’Università statale di Campinas – è profondamente diversa da quella che il Brasile ha conosciuto nel secolo scorso e nell’Ottocento». Allora sbarcavano a Santos intere famiglie, con lo scopo di fondare nuovi paesi e città. E creare opportunità e ricchezze nella nuova patria. «Questi giovani sono perlopiù single e hanno intanto una disponibilità economica che permette loro di viaggiare e di spostarsi prima di trovare una sistemazione adeguata e gradita. Poi, una volta regolarizzati, non è detto che intendano restare nel Paese». Il Brasile è da molti visto come una sistemazione temporanea, in attesa che l’economia nella nazione di origine si rimetta in sesto.

Antonio è un giovane romano, esperto in telecomunicazioni, che si è trasferito a San Paolo un paio d’anni fa. Bazzica all’uscita dal lavoro i locali italiani di Bixiga, dove è più facile incontrare connazionali e amici. Positivo il bilancio sulla sua esperienza nel Paese, anche se, ci tiene a dire, non è affatto il bengodi. «Non dobbiamo fare l’errore di ritenerci superiori ai brasiliani, dobbiamo essere coscienti che abbiamo da dare ma anche molto da imparare in un mondo in costante crescita. Dobbiamo poi fare un cambiamento di mentalità. Qui le referenza italiane non contano, vale quello che dimostri di saper fare. Il lavoro offre molte soddisfazioni anche economiche, ma non ci sono le forme di protezione che abbiamo in Italia: puoi essere licenziato in pochi minuti, al massimo con un mese di preavviso».

Quello che invece colpisce Emma, architetto paesaggista, «sono le grandi differenze che ancora esistono nel Paese» e il costo della vita, in costante crescita. «Qui come a Florianopolis, dove vado spesso per lavoro, è tutto milionario. Comprarsi una casa in un quartiere residenziale è ormai impossibile». Per questa ragione molti di questi immigrati della «generazione mille euro» guardano ormai altrove, a città meno care dell’immenso Brasile (come Porto Alegre) o addirittura ad altri Paesi latinoamericani, Messico in testa.

Giuseppe Caffulli
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